Undici anni fa, usciva “ No Logo”, un libro di Naomi Klein ,venduto in milioni di copie in tutto il mondo. La giornalista/scrittrice canadese analizzava e denunciava all’opinione pubblica mondiale, un fenomeno già maturo, che vedeva coinvolti i maggiori “marchi “mondiali, i quali spostavano, delocalizzavano diremmo oggi, la produzione dai Paesi originari nel sud est asiatico, affidando a terzi la produzione del proprio prodotto. Venne così a galla, al grande pubblico,concretamente, come i palloni di cuoio con cui giocavano i propri figli ,nell’opulento mondo occidentale,firmati Nike, Adidas, ecc… fossero cuciti a mano da bambini che lavoravano per la paga quotidiana di un misero dollaro americano fino a 14/16 ore al giorno . Venne fuori che la stessa fabbrica lavorava notte e giorno, a ciclo continuo per “marchi” diversi: in pratica una stessa fabbrica sfornava ( ad esempio)televisori per tutti, di diverso c’era solo il marchio. Venne, ancora fuori ,che tutti i bei grandi nomi del panorama mondiale di tutti i settori dell’economia , sposando quel sistema ,erano pienamente coscienti, responsabili dello sfruttamento e dello stato di schiavitù nel quale vivevano e vivono milioni di esseri umani. Erano e sono i nuovi schiavisti. Gli schiavisti in giacca e cravatta con il sorriso sempre stampato in faccia , sempre uguale per tutte le occasioni, anche quando vanno ai funerali. Hanno il volto delle multinazionali,dietro il quale nascondono le impresentabili facce ,con le quali controllano i governi,l’economia, la finanza, i sistemi di informazione, il colossale mercato della pubblicità,controllano tutto: hanno in mano le redini del mondo.
Tutti quanti sapevamo, sappiamo di questa realtà. Ma pochi hanno boicottato , in pochi boicottiamo quei prodotti, quelle marche. Tutti quanti sapevamo che un giorno, prima o poi, avremmo dovuto fare, da vicino, i conti con questa realtà: prima o poi ce la saremmo trovata faccia a faccia, in casa nostra. E così è stato.
Anche l’Italia ha avuto le sue grandi imprese, i suoi grandi marchi che hanno optato per produrre, tramite terzi, i propri prodotti, in Asia,lasciando in Italia solo la sede con il marchio. I più piccoli, invece ,hanno scelto di de localizzare nell’Est dell’Europa ( Romania, Polonia, Slovenia …) dove grazie alla politica di quei governi hanno goduto e godono di un regime fiscale di favore. Chi poteva e voleva fuggire dall’Italia l’ha fatto. E Chi non poteva fuggire ha fatto fuggire i capitali .
Anche la Fiat ha delocalizzato la propria produzione in Paesi dove assieme al basso costo della manodopera ha beneficiato di agevolazioni fiscali e di contributi statali. Ed oggi, forte di una rendita di posizione che vede gli stabilimenti produttivi de localizzati trainare la locomotiva aziendale, dice agli operai: “ bisogna aumentare i turni di lavoro settimanali, bisogna aumentare le ore di lavoro dei turni, bisogna ridurre le pause, bisogna punire chi si assenta per malattia, bisogna ridurre( annullare) il potere della rappresentanza sindacale. Bisogna , in parole povere, confrontarci con le realtà dove si produce a basso costo, per continuare a salvare il posto di lavoro. A noi , a queste condizioni , non conviene restare in Italia. Confrontarsi con queste realtà significa : rinunciare allo stato di diritto, calpestare la dignità umana, accrescere lo stato di ricchezza di chi produce, ridurre l’uomo alla fame, alla disperazione fisica , morale, civile.
Ora , sulla vicenda Fiat ,non voglio ripetere, quanto questo blog, ha registrato da parte di autorevoli firme del mondo culturale, sindacale e imprenditoriale italiano .Però, una domanda sul prodotto Fiat consentitemela: ma perché i ministri, i politici,gli imprenditori italiani girano in macchine di produzione tedesca anziché in macchine targate Fiat? Perché sono il frutto di un lavoro complessivo di qualità superiore . Ora si dà il caso che la gente, non solo i ministri, la qualità la riconosca , la apprezzi, la paghi. Le case automobilistiche tedesche vendono e fanno utili. Peccato che la Fiat , e Berlusconi scelgano le macchine tedesche per viaggiare e il modello asiatico per produrre.
Ma perché siamo arrivati a questo punto? Di chi la colpa? Qual è il ruolo che il nostro Paese vuole nel nuovo contesto mondiale, se diamo per scontato una sempre maggiore fuga delle imprese dal nostro Paese ?
Accettiamo di confrontarci sul terreno scelto dalla Fiat , che poi è quello asiatico: dello sfruttamento senza diritti? Facendo diventare l’Italia come il sud est asiatico?L’Italia senza diritti, la prostituta del mondo, che per un pezzo di pane si offre e si consuma al miglior offerente? E che ruolo strategico può avere nel contesto dei grandi Paesi che contano, una simile scelta?
Oppure è possibile un altro ruolo per questa nostra Italia? E qual è questo ruolo?Il solo che riesco ad immaginare: L’esatto contrario del modello asiatico. Il modello tedesco : auto di qualità.
L’ Italia che non arretra sul terreno dei diritti, che investe nella ricerca, nella istruzione, nella formazione, nei nuovi saperi, che fa fruttare il suo immenso e riconosciuto patrimonio culturale , artistico, storico , paesaggistico,facendo turismo vero; l’Italia che riscopre il piacere di produrre , ripartendo dall’agricoltura di qualità, alla lavorazione, trasformazione e commercializzazione dei suoi prodotti. Il futuro dell’Italia è nel suo passato :nella sua civiltà, nella sua storia, nelle sue tradizioni, nella sua arte, nella sua cultura , nella sua bellezza. Questo è il DNA dell’Italia.
Mi rifiuto di pensare che il futuro dell’Italia possa essere il modello asiatico : quello che ho già visto, e vedo , durante l’Estate nella mia Nova Siri, nella mia Basilicata, dove cittadini rumeni, lavorano fino a 20 ore al giorno, a volte, senza neanche riuscire a mangiare, per 20 euro al giorno. La loro è la scelta di chi non ha scelta. Facciamo tesoro dell'esperienza : Difendiamo la libertà di chi ancora può scegliere. Difendiamo le ragioni di lavora, produce, paga le tasse e non ruba. Difendiamo le ragioni dei lavoratori.
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