Nel 2008-2009 l’occupazione nella provincia di Potenza è diminuita del 3,1%, con un calo di circa 4.000 addetti. Industria manifatturiera, edilizia e terziario sono stati i settori maggiormente colpiti. Dal punto di vista della scolarizzazione, la crisi ha colpito soprattutto la fascia di chi ha titoli di studio intermedi. Le nuove assunzioni previste dalle imprese potentine per il 2010, secondo l’indagine Excelsior, hanno rappresentato appena il 4% del totale degli occupati provinciali nel 2009; un valore relativamente modesto, anche perché comprende il fenomeno delle assunzioni per lavori stagionali o le pluri-assunzioni di un medesimo addetto nel corso dell‘anno. Nello scenario disegnato dallo studio sul “Mercato del lavoro e figure professionali in provincia di Potenza: le evoluzioni recenti e i fabbisogni professionali”, realizzato dall’Istituto “Tagliacarne” su incarico della Camera di Commercio di Potenza e dell’azienda speciale Forim, emerge un evidente disallineamento fra lo stock degli occupati - spostato soprattutto su profili formativi e culturali medio-bassi - ed uno stock di disoccupati in cui la percentuale di laureati è invece relativamente alta. In parte, tale risultato riflette alcuni limiti del sistema formativo ed educativo: chi ha conseguito diplomi tecnici o professionali, o è munito di attestati di formazione professionale, non è in realtà “professionalizzato”, cioè non ha gli skills adatti alle esigenze delle imprese. «La conferma di questo cortocircuito ci obbliga a immaginare un futuro diverso sul piano delle politiche per il lavoro – dichiara il presidente della Cciaa di Potenza, Pasquale Lamorte -, altrimenti si rischierà di cronicizzare la disoccupazione e non riuscire più a arrestare l’emorragia di giovani ad alta qualificazione che emigrano, sfuggendo alla realtà produttiva della nostra provincia. Parallelamente, sarà necessaria anche un’opera di “cultura d’impresa” rivolta alle PMI locali, per far loro capire l’importanza di investire su giovani ad alto livello di scolarizzazione. Ciò cambierebbe i modelli di governante, aprirebbe scenari nuovi sui mercati extraregionali e porterebbe dosi di creatività e capacità innovativa del tutto preziose ed essenziali, se si vuole competere nella globalizzazione attuale. Ciò comporterà inevitabilmente anche uno sforzo di crescita dimensionale delle piccole imprese e la creazione di strutture organizzative più complesse, in grado di assorbire figure professionali di livello dirigenziale o direttivo». Altri dati Lo studio del Tagliacarne evidenzia un’altra tendenza che conferma il disallineamento generale tra domanda e offerta. Se la qualificazione scolastica o formativa non è particolarmente richiesta, è invece molto richiesto il possesso di esperienze lavorative pregresse maturate sul campo. Anche in questo caso, si riflettono alcune carenze del sistema educativo e formativo, per cui le imprese non possono sostenere i costi di formazione “on the job” dei neo assunti, e devono quindi affidarsi a persone già esperte nel settore. Da questo punto di vista, il forte calo di interesse per gli apprendisti registrato fra il 2008 ed il 2009 è un pezzo del più generale disinteresse nei confronti del sistema della formazione professionale pubblica. La conseguenza ovvia di una simile struttura della domanda di lavoro è che vengono penalizzati i laureati, coloro i quali hanno effettuato percorsi di formazione professionale pubblica, e i giovani. Infatti, se per la maggior parte delle imprese intervistate il fattore-età è irrilevante, ma è invece rilevante l’esperienza lavorativa accumulata, è chiaro che i giovani si trovano in condizioni di particolare difficoltà, specie se altamente scolarizzati. Invece, i giovani che hanno cominciato a lavorare prestissimo, ovviamente in mansioni di tipo operaio o manuale, abbandonando quindi gli studi, si trovano ad essere favoriti rispetto alla domanda di lavoro presente sul territorio in esame. Però questo significa, ancora una volta, che la qualità del capitale umano di cui le imprese potentine si dotano non è tale da determinarne una prospettiva di crescita di competitività strutturale, che solo maggiori dosi di innovazione, qualità e professionalità possono garantire. Ciò quindi significa che l’espansione verso sbocchi di mercato diversi da quelli meramente localistici è preclusa: per competere su scala globale, bisogna essere competitivi; per essere competitivi, occorre avere il capitale umano che sostenga i processi di sviluppo aziendale. Molte imprese potentine si limitano ad un futuro di mera sopravvivenza su piccoli contesti di mercato locale anche a causa della non completa adeguatezza del sistema scolastico e formativo. Gli occupati con più di 34 anni rappresentano oltre il 71% del totale; quelli con 55 anni e più quasi il 15%. E’ ovvio che una simile struttura occupazionale non può promuovere quei processi di creatività ed innovazione di cui il sistema produttivo provinciale ha bisogno per rilanciarsi. In positivo, c‘è che la tendenza delle imprese della provincia in esame va verso la stabilizzazione dei lavoratori sui quali investono. Infatti, prevale la ricerca di personale da assumere a tempo indeterminato, soprattutto nel settore delle costruzioni, i servizi informatici e il commercio. Cosa fare, allora? Occorre puntare maggiormente su una riqualificazione complessiva del sistema scolastico (con riferimento particolare alla scuola tecnica e professionale) e formativo, mettendo a disposizione delle imprese giovani in uscita dal sistema formativo che abbiano già una professionalizzazione di base, e che quindi possano essere prontamente utilizzati, senza necessità di ulteriore formazione in azienda. E’ necessario, al contempo, rilanciare l’apprendistato, strumento preziosissimo per fornire alle imprese giovani lavoratori che costruiscono, dentro l’impresa stessa, un percorso di formazione “firm specific”, ovvero tarato sulle specifiche esigenze produttive dell’impresa. Si potrebbero attivare dunque specifici incentivi, che riducano l’onere della formazione aziendale a carico degli imprenditori, e sollecitare alle associazioni di categoria ed ai sindacati, affinché si attivino, in sede di definizione dei CCNL di categoria, per regolamentare tale istituto. Alcuni settori produttivi, pur in un contesto di crescente disoccupazione, evidenziano degli “shortages” quantitativi di personale: si tratta in particolare del settore delle public utilities e di quello delle costruzioni. Tali settori richiedono soprattutto operai specializzati con esperienza e tecnici specializzati nel settore. Vi potrebbe quindi essere un interessante bacino di opportunità occupazionali, che la Provincia e i Centri per l’impiego potrebbero esplorare in modo più approfondito, al fine di orientare alcuni disoccupati verso tali settori di attività. Il problema delle pari opportunità è ben lungi dall’essere risolto e, anzi, in una fase recessiva tende ad aggravarsi, spingendo molte donne nell’area dell’inattività, un’area in cui le perdite di competenze e skills lavorativi connesse proprio alla non partecipazione al mercato del lavoro rendono poi molto difficile rientrare sul mercato del lavoro con qualche chance di trovare un’occupazione. E’ chiaro quindi che se si vuole evitare di trasformare tali lavoratrici in disoccupate/inattive perenni, anche quando arriverà la ripresa, occorre lavorare con maggiore intensità sulla questione delle pari opportunità. E’ un discorso che vale, sia pur in termini diversi, anche rispetto ai lavoratori extracomunitari. Se la crisi spinge un numero crescente di imprese a rivolgersi al mercato dei lavoratori extracomunitari, al fine di risparmiare sul costo del lavoro e sugli oneri di sicurezza del lavoro, occorre vigilare in modo ancor più incisivo in ordine al rispetto delle norme di legge e delle regole contrattuali da parte dei datori di lavoro, nei confronti degli immigrati. Altrimenti, il rischio è quello di produrre un “sotto mercato del lavoro”. La domanda di lavoro chiede sempre meno “dipendenti” e sempre più “imprenditori di se stessi”, ovvero lavoratori in grado di sapersi adattare continuamente ai mutamenti dell’economia e della tecnologia, “inventandosi” e “reinventandosi” un mercato sul quale vendere la propria professionalità. D’altra parte, il declino dell’occupazione in settori tradizionali, e in particolare nell’industria manifatturiera e nelle costruzioni (fra il 2004 ed il 2008, gli occupati in tali settori, in Basilicata, diminuiscono, rispettivamente, del 20% e del 13%) impone non solo di ripensare alle modalità “nuove” del lavoro, ma anche a nuovi settori forieri di nuove opportunità occupazionali. Le nuove professionalità dovrebbero incrociare fabbisogni presenti in provincia di Potenza ed in Basilicata, di modo che possano trovare immediatamente rispondenza in un bacino di mercato locale, evitando quindi che si creino profili di capitale umano che poi andranno ad arricchire altre regioni italiane.
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