venerdì 28 gennaio 2011

Il riscatto di Passannante
l'anarchico lucano
in anteprima al Bif&st
di CARMELA FORMICOLA
BARI - Violento, emozionante, grottesco. Un film che spiega cosa significhi avere un’idea, difenderla, crederci, perfino morire.
Le idee sono taglienti come un coltello. Ed è spiazzante la straordinaria attualità d’una pellicola su un anarchico lucano dell’800.
Passannante è il film di Sergio Colabona in anteprima oggi al Bif&st di Bari (Galleria, 18.30). Tragedia e commedia, insieme.

Le immagini sono subito una citazione, con quei «tre uomini in barca» che remano verso il sinistro torrino di Portoferraio.
 I protagonisti: il teatrante, il giornalista e il cantante, personaggi da fumetto, teneri e indistruttibili, picareschi: hanno deciso
 di dare finalmente sepoltura ai resti dell’anarchico. Perché le storie sono due: quella di Passannante, l’uomo che tentò di
 uccidere il giovane re Umberto con un coltello da due soldi, e quella dei tre amici, che tentano di ripristinare la giustizia
naturale delle cose. Mettere mano alla memoria di Giovanni Passannante ha tinte sofoclee, perché è evidente il richiamo ad Antigone.

La scommessa è la messa in scena di una tragedia con la leggerezza di quel cinema italiano del Terzo Millennio, che nel sorriso
 prova a diluire l’impegno o la denuncia. Ma chi è Passannante? Nato nella Basilicata remota, rurale e analfabeta, cresce con la
 ribellione nel sangue. Va a Napoli e nel novembre 1878 tenta di uccidere il re. Viene fermato, imprigionato, torturato e sepolto
 vivo, a Portoferraio. Alla morte gli tagliano la testa e il cervello e il teschio vengono esposti nel Museo Criminologico di Roma,
 simbolo della punizione per i criminali. O i ribelli.

Nel rutilare di ministri distratti o cialtroni o razzisti, i tre picari bussano e chiedono e si indignano e provano e riprovano. Film veloce
 e ispirato. Bel cast, da Fabio Troiano a Ninni Bruschetta a Roberto Citran. Fino a Ulderico Pesce, lucano, ribelle quanto Passannante.
Pesce ha portato sulle scene di tutta Italia questo testo leggero ma intenso, si è battuto per riportare i resti dell’anarchico nel cimitero
 lucano di Salvia (che però, beffardamente, si chiama ancora Savoia), ed è suo quel sorriso lieve, nell’anonimo corridoio ministeriale,
 che annuncia un sacrosanto lieto fine.

Fonte : La gazzetta del mezzogiorno

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