Mentre trionfano i localismi, un'opera titanica curata da autorevoli linguisti rischia di fermarsi al settimo volume: non ci sono i soldi per continuare
RAPHAËL ZANOTTI
torino
Uno dei più grandi patrimoni linguistici d’Italia rischia di finire in un armadio dell’Università di Torino ad ammuffire. E tutto questo nel disinteresse generale delle istituzioni.
L’Atlante Linguistico Italiano, la più vasta e approfondita ricerca sui dialetti mai compiuta in Italia, è un’opera titanica la cui pubblicazione è prevista in venti volumi. In pratica l’equivalente, per il dialetto, di ciò che è la Crusca per la lingua italiana. Domani (ore 10, aula magna del Rettorato) verrà presentato il settimo volume, edito come i precedenti dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. «Purtroppo, però, i volumi a seguire potrebbero non vedere mai la luce» denuncia Lorenzo Massobrio, preside della facoltà di Lettere dell’Università torinese e direttore dell’Atlante. Il problema è che non ci sono più soldi per continuare il lungo lavoro di catalogazione, digitalizzazione e pubblicazione che dal 1995 ha permesso l’uscita dei primi sette volumi.
Un paradosso, se si considera il ritorno di un interesse non solo accademico verso i dialetti. Di recente linguisti, glottologi e studiosi, ma anche esponenti della Lega Nord, si sono scagliati contro l’ultimo spot del canone Rai, quello in cui alcuni attori parlano nei diversi dialetti italiani senza farsi capire. L’idea della Rai era quella di elogiare il ruolo di promotore dell’unità nazionale svolto dalla televisione grazie alla diffusione dell’italiano. Ma dov’erano i difensori del «regionalismo» e della ricchezza culturale dei dialetti prima di oggi? «In questi ultimi quindici anni - racconta Massobrio - nessuno studioso ha mai recensito anche uno solo dei volumi dell’Atlante e la stessa Lega Nord, che governa la Regione Piemonte, ha tagliato uno dei pochi contributi che riceviamo: da 60.000 a 48.000 euro».
A livello governativo le cose non vanno meglio. L’Atlante non è inserito nel catalogo del ministero dei Beni culturali e persino il ministero dell’Istruzione e della Ricerca non ha mai dato un euro. E dire che fu proprio il suo antenato, il ministero dell’Educazione nazionale, a commissionare la ricerca nel lontano 1925. Un lavoro durato 40 anni e condotto con oltre settemila interviste in più di mille città italiane. Padre spirituale dell’Atlante fu il filologo friulano Ugo Pellis che, sacco in spalla, percorse centinaia di chilometri a piedi per raggiungere 727 dei 1009 punti di rilevamento. Il suo appassionato lavoro, interrotto durante la seconda guerra mondiale, venne ripreso nel dopoguerra e concluso nel 1965. Il risultato è un’imponente mole di materiale costituito da oltre 6 milioni di schede, 10.000 foto e 36 milioni di parole. Il progetto che si sta portando avanti è quello di creare un database computerizzato che consenta la pubblicazione di 2000 carte geografiche riportanti i diversi modi di dire ancora oggi utilizzati, o ormai estinti, degli italiani.
«Un patrimonio culturale gigantesco - spiega Massobrio. - In Italia si può dire che esiste un dialetto praticamente per ogni comune, circa 8000, e può cambiare anche a distanza di poche centinaia di metri. Il concetto di “pollice”, per esempio, può venir detto in centinaia di modi diversi. L’Atlante riporta parole del mondo marinaresco, di quello rurale, di mestieri perduti come i mestolai, di professioni artigiane come i venditori di cavalli. La ricchezza lessicale corrisponde a quella della cultura materiale. Si pensi che alcuni tipi di aratro catalogati in Sardegna da Pellis all’inizio del ‘900 risalivano addirittura ai punici».
Eppure tutto questo rischia di sparire. Alla redazione lavorano oggi otto persone, compresi due tecnici messi a disposizione dall’Università. Finora sono stati pagati con contratti a progetto, dottorati di ricerca, assegni universitari, ma alcuni hanno superato l’età per essere pagati in questo modo e non è possibile far loro altri contratti per mancanza di soldi. «Servirebbero almeno 100-150.000 euro l’anno per portare avanti il progetto - spiega Massobrio. - Un progetto vitale per la conservazione del dialetto se si considera che oggi solo il 35% della popolazione lo parla e la percentuale è il calo vertiginoso».
Per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, la redazione dell’Ali regalerà i primi sette volumi, rilegati in tela azzurra con impressioni in oro, al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Sono il compendio di ciò che eravamo e dunque di ciò che diventeremo».
L’Atlante Linguistico Italiano, la più vasta e approfondita ricerca sui dialetti mai compiuta in Italia, è un’opera titanica la cui pubblicazione è prevista in venti volumi. In pratica l’equivalente, per il dialetto, di ciò che è la Crusca per la lingua italiana. Domani (ore 10, aula magna del Rettorato) verrà presentato il settimo volume, edito come i precedenti dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. «Purtroppo, però, i volumi a seguire potrebbero non vedere mai la luce» denuncia Lorenzo Massobrio, preside della facoltà di Lettere dell’Università torinese e direttore dell’Atlante. Il problema è che non ci sono più soldi per continuare il lungo lavoro di catalogazione, digitalizzazione e pubblicazione che dal 1995 ha permesso l’uscita dei primi sette volumi.
Un paradosso, se si considera il ritorno di un interesse non solo accademico verso i dialetti. Di recente linguisti, glottologi e studiosi, ma anche esponenti della Lega Nord, si sono scagliati contro l’ultimo spot del canone Rai, quello in cui alcuni attori parlano nei diversi dialetti italiani senza farsi capire. L’idea della Rai era quella di elogiare il ruolo di promotore dell’unità nazionale svolto dalla televisione grazie alla diffusione dell’italiano. Ma dov’erano i difensori del «regionalismo» e della ricchezza culturale dei dialetti prima di oggi? «In questi ultimi quindici anni - racconta Massobrio - nessuno studioso ha mai recensito anche uno solo dei volumi dell’Atlante e la stessa Lega Nord, che governa la Regione Piemonte, ha tagliato uno dei pochi contributi che riceviamo: da 60.000 a 48.000 euro».
A livello governativo le cose non vanno meglio. L’Atlante non è inserito nel catalogo del ministero dei Beni culturali e persino il ministero dell’Istruzione e della Ricerca non ha mai dato un euro. E dire che fu proprio il suo antenato, il ministero dell’Educazione nazionale, a commissionare la ricerca nel lontano 1925. Un lavoro durato 40 anni e condotto con oltre settemila interviste in più di mille città italiane. Padre spirituale dell’Atlante fu il filologo friulano Ugo Pellis che, sacco in spalla, percorse centinaia di chilometri a piedi per raggiungere 727 dei 1009 punti di rilevamento. Il suo appassionato lavoro, interrotto durante la seconda guerra mondiale, venne ripreso nel dopoguerra e concluso nel 1965. Il risultato è un’imponente mole di materiale costituito da oltre 6 milioni di schede, 10.000 foto e 36 milioni di parole. Il progetto che si sta portando avanti è quello di creare un database computerizzato che consenta la pubblicazione di 2000 carte geografiche riportanti i diversi modi di dire ancora oggi utilizzati, o ormai estinti, degli italiani.
«Un patrimonio culturale gigantesco - spiega Massobrio. - In Italia si può dire che esiste un dialetto praticamente per ogni comune, circa 8000, e può cambiare anche a distanza di poche centinaia di metri. Il concetto di “pollice”, per esempio, può venir detto in centinaia di modi diversi. L’Atlante riporta parole del mondo marinaresco, di quello rurale, di mestieri perduti come i mestolai, di professioni artigiane come i venditori di cavalli. La ricchezza lessicale corrisponde a quella della cultura materiale. Si pensi che alcuni tipi di aratro catalogati in Sardegna da Pellis all’inizio del ‘900 risalivano addirittura ai punici».
Eppure tutto questo rischia di sparire. Alla redazione lavorano oggi otto persone, compresi due tecnici messi a disposizione dall’Università. Finora sono stati pagati con contratti a progetto, dottorati di ricerca, assegni universitari, ma alcuni hanno superato l’età per essere pagati in questo modo e non è possibile far loro altri contratti per mancanza di soldi. «Servirebbero almeno 100-150.000 euro l’anno per portare avanti il progetto - spiega Massobrio. - Un progetto vitale per la conservazione del dialetto se si considera che oggi solo il 35% della popolazione lo parla e la percentuale è il calo vertiginoso».
Per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, la redazione dell’Ali regalerà i primi sette volumi, rilegati in tela azzurra con impressioni in oro, al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Sono il compendio di ciò che eravamo e dunque di ciò che diventeremo».
Fonte : La stampa
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