di MARCELLO SORGI, dalla stampa
Se davvero alle prossime amministrative avremo una fioritura inattesa di liste civiche, non diciamo, per favore, che la crisi politica e dei partiti ha trovato una soluzione: semmai è il contrario. Le liste civiche infatti erano già diventate un problema tra il '98 e il '99, quando furono scoperte dai primi sindaci di centrosinistra che avevano sperimentato l'elezione diretta.
Dopo cinque anni di governo delle città, i primi cittadini avevano acquisito un potere personale così forte che l'idea di ripresentarsi sotto il simbolo di un partito la consideravano una costrizione. al massimo, erano disposti ad accettare un collegamento con la coalizione che li sosteneva. Ma di rinunciare a una propria lista, o a una lista con il loro nome, non volevano sentirne.
Come disse D'Alema, allora il leader di partito più sorpreso da questa sorta di insubordinazione, i sindaci si erano trasformati in «cacicchi», ras locali disposti al massimo a riconoscere ai partiti il ruolo di portatori d'acqua (e di voti). Ovviamente la sottrazione dei consensi che, invece di confluire sui simboli dei partiti, andavano alle liste civiche, faceva sì che i risultati delle amministrative fossero spesso a sorpresa; senza dire che alle successive politiche, il sindaco rieletto, forte del peso della propria lista, era pronto a negoziare in proprio posti in Parlamento per i suoi.
Non per niente in molti casi i sindaci preferirono non concludere il secondo mandato e tornare a dedicarsi alla politica nazionale. Come molte incompiute della lunga transizione italiana, anche questo della frammentazione locale è rimasta irrisolto. Anzi, cammin facendo, il problema rischia addirittura di diventare la soluzione. Le primarie, specie a sinistra, hanno finito col complicare il rapporto tra il potere centrale dei partiti e quello periferico dei padroni di pacchetti di voti.
L'idea che affiora adesso nel centrodestra, di capovolgere il quadro e sostituire direttamente, dove conviene, i simboli nazionali dei partiti screditati con quelli locali delle liste, per limitare i danni dell'attacco dell'antipolitica, sembra piuttosto una scorciatoia. Anche perché la Lega, da una parte, e Di Pietro e Vendola, per non dire Grillo, dall'altra, non rinunceranno a presentarsi con i loro volti e simboli. Di questo passo, presto, forse già pure questa volta, diventerà impossibile capire chi ha vinto e chi ha perso le elezioni. E magari anche chi potrà candidarsi, domani, alla guida del Paese.
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