Le primarie di Genova le ha vinte il Pds
13 FEBBRAIO 2012
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Nel 1997 ho compiuto 18 anni e mi sono iscritto al Pds. Cosa volete che vi dica, non sono mai stato un rivoluzionario, io. Nel 1997 il Pds di Genova esprimeva il sindaco di Genova (anche se…), il vicesindaco di Genova, la Presidente della Provincia di Genova, il vicepresidente della Provincia di Genova, il presidente dell’Autorità Portuale di Genova, il vicepresidente della Regione Liguria (quello che aveva le deleghe vere, tanto per capirci), un eurodeputato e il Ministro dei Trasporti.
Quindici anni dopo, alla fine di quest’anno, il Pds di Genova (sì sì, dico il Pds, né i Ds né il Pd) esprimerà il presidente della Regione Liguria e – nella migliore delle ipotesi – il vicesindaco di Genova. Dal ’15 è plausibile che non esprimerà neppure più il Presidente della Regione, anche se dovesse vincere il centrosinistra (o quel che ci sarà in quel tempo). Pensavo a questo, mentre venivo in BnF e valutavo che poi tanto freddo oggi non fa. E ho provato a ripensare cosa è successo quando. Mi è venuto in mente quando in sezione si è cominciato a dire che non si poteva avere tutto e che bisognava lasciare dei posti anche al PPI. E mi sono chiesto com’è possibile che un partito imploda in questo modo, in una città. Non che perda le elezioni o le primarie, ma che non sia più in grado di esprimere una idea e neppure di esprimersi. Mi sono chiesto che cosa hanno combinato, negli anni, i suoi dirigenti locali. E ho ripensato ai suoi dirigenti locali, dal 1997 a oggi. Ho pure deglutito, ma non perché Con questa classe dirigente non vinceremo mai, che mi danno allergia ‘ste cose dette tra l’aperitivo e il cineforum ivoriano. Mi son chiesto davvero a cosa pensavano, quando hanno preso le varie decisioni che hanno preso (o che si sono fatti prendere). Me lo son chiesto, anche se mi ricordo bene le risposte.
Mi son chiesto anche che fine hanno fatto quegli elettori che il Pds lo votavano.
Poi ho guardato le foto della festa di Marco Doria e li ho riconosciuti, quegli elettori. C’era il mio ex segretario di sezione, c’era quello con cui facevamo rappresentanza studentesca in università, c’era quella che ho iscritto io, quello che faceva il coordinatore di zona, quell’altro che faceva solo il volontario alla festa dell’Unità. C’era anche quel professore universitario che faceva le iniziative assieme a noi, cioè Marco Doria. Stava là il Pds, più che nel quartier generale della Sindaco, immensamente più che nel comitato devozionale di quella che è arrivata terza.
La vittoria di Marco Doria nelle primarie di Genova non è la vittoria di Vendola (come non lo era quella di Pisapia, come non lo è mai stata nessuna vittoria tranne quelle di Vendola alle primarie in Puglia), non è la vittoria della gauche de la gauche, non è la vittoria del Cambiamento. E’ la vittoria di un cambiamento, questo sì, ma non del Cambiamento nel senso che danno a questa parola Repubblica, Renzi o quelli che sono arrivati terzi alle primarie. E’ la vittoria di Marco Doria, che ha saputo radunare, unire e motivare (che sono le cose più importanti, non decidere, dirigere e comandare). E’ la sconfitta delle ambizioni di qualcuna, la dichiarazione di codardia di chi non ha saputo sostenere il sindaco del proprio partito (vi siete accorti che non stanno facendo le primarie per il candidato democratico in America, vero?), l’emersione della pochezza di chi sta là ma non sa. Ed è la vittoria del Pds, che è il partito che non esiste più ma che rispecchia Genova, nel bene e nel male. Un partito un po’ polveroso, con ancora la falce e martello nel simbolo, ma pragmatico. Un partito che difende una idea industriale e operaia del mondo in una città che industriale e operaia lo è nella testa, molto più che nel tessuto sociale.
Genova è socialista e repubblicana, lo era anche quando votava comunista, lo è tutte le volte che provano a contrapporre le generazioni, le classi, le origini geografiche, lo era anche quando tutto il Nord votava Berlusconi, Dc o semplicemente se ne fregava. Nel bene e nel male – lo ripeto – Genova è questa cosa qui: un blocco ruvido, impermeabile al postmoderno, al postideologico, diffidente verso i personalismi, i divismi. A Genova non vinci se fai l’occhiolino alla Destra, se fai il populista e non vuoi la moschea, se dici che c’è bisogno di te o meglio: sì che vinci, ma solo se dall’altra parte c’è uno davvero di Destra perché se no, se i genovesi possono scegliere, no.
Fonte : L'Unità
di solito si cita la fonte, sai?
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