di PAOLO BARONI,dalla stampa
La corruzione è il cancro italiano». Il titolo choc de la Stampa di due anni fa oggi si rispecchia nel nuovo allarme delle Corte dei conti: «In Italia corruzione e malaffare sono ancora molto forti». Non solo, come ha spiegato ieri il presidente Luigi Giampaolino si tratta di «fenomeni ancora notevolmente presenti e le cui dimensioni sono di gran lunga superiori a quelle che vengono alla luce».
Oramai siamo assuefatti agli allarmi ed alle denunce. Quelli della Corte dei conti sono ricorrenti, arrivano a cadenza regolare, raccolgono sempre un coro di consensi, ma purtroppo restano lettera morta. La riprova, l’ultima, ma andando a ritroso si potrebbero trovare decine e decine d’esempi, arriva dalla Camera: il ddl anticorruzione è bloccato da più di anno nei cassetti delle commissioni Giustizia e Affari costituzionali. E poi ci sono le cronache di questi giorni che ci raccontano la storia dei contributi ai partiti per i rimborsi elettorali o i fondi destinati ai loro giornali: i casi Lusi-Margherita, le vicende di An, la truffa l’Avanti-De Gregorio-Lavitola da 23 milioni di euro sono solo gli ultimi scandali venuti a galla. Senza contare poi le consulenze date per fini clientelari o ancora le tante società controllate dagli enti locali che si rivelano «gusci vuoti», come denuncia sempre la Corte dei Conti. E ancora, le assunzioni clientelari come quelle al Comune di Gubbio finite con 8 arresti e la piaga delle auto blu che si fatica a curare.
E’ più o meno la stessa storia che si ripete e che non trova soluzione. Oggi, come vent’anni fa quando scoppiava Mani pulite. Vent’anni non sono serviti assolutamente a nulla. Perché nulla, o troppo poco, è cambiato.
Non è cambiato il costume politico, ma non sono nemmeno cambiate le abitudini private. I comportamenti dei singoli. Perché come spiegare altrimenti il fatto che l’Italia sia uno dei paesi dove si evade di più. Roba da 100-120 miliardi di euro l’anno sottratti al Fisco, grandi truffe milionarie e piccole spilorcerie, come lo scontrino del caffè che il barista si ostina a non battere. E’ anche per questo che l’Italia, in Europa seconda solo dopo la Spagna, è il paese che evade più Iva, addirittura il 36% segnala Giampaolino.
Sorpresi? Assolutamente no, perché abbiamo appena letto i numeri dei controlli effettuati l’altro ieri dalla Finanza a Napoli, dove in un mercato di quartiere su 50 ambulanti in 40 non avevano nemmeno il registratore di cassa e dove l’82% degli negozi controllati non batteva scontrini, e ci ricordiamo i risultati degli analoghi blitz fatti a Sanremo, Milano, Portofino e Cortina.
Ma anche questo scandalo, con la pressione fiscale alle stelle, le pensioni sotto scacco e gli stipendi che non tengono ormai più il passo dell’inflazione, non può continuare. Il governo dei tecnici promette riforme in questo ed in quel campo: con la lotta all’evasione fiscale, che si intende intensificare, si vogliono tagliare le aliquote; mentre per stroncare la corruzione il ministro Severino annuncia «un grande progetto» e parla di «battaglia seria».
Speriamo bene, perché il livello di sofferenza (e di insofferenza) della gente ha toccato il limite ed il «governo del rigore», dopo aver drizzato i conti, in questa partita ha l’obbligo di essere ancor di più rigoroso. Deve dare un segnale e dimostrare in concreto che i suoi interventi non colpiscono sempre e solo i soliti noti.
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