LA CLASSE DIRIGENTE ITALIANA
Un club esclusivo di una certa età
Ciò che più colpisce nell'elenco dei grandi manager pubblici percettori di alti redditi, reso noto nei giorni scorsi, è sì l'ammontare di denaro che ognuno di essi intasca ma insieme, e forse soprattutto, è il loro sesso e la loro età. Non ce n'è uno che abbia meno di cinquant'anni (a dir poco: la media è senz'altro assai più alta) e, tranne un paio di eccezioni che confermano la regola, sono tutti invariabilmente maschi. È una situazione che non riguarda solo il settore pubblico. In generale, infatti, è tutta la classe dirigente italiana che corrisponde a questa caratteristica: un gruppo di maschi maturi, o più che maturi, con retribuzioni enormemente superiori alla media, ognuno titolare di una quantità straordinaria di incarichi. Non si tratta dunque solo dei politici che anzi, secondo me, possono essere annoverati da molti punti di vista tra i meno privilegiati. In misura assai più pronunciata presentano i caratteri di un'oligarchia di anziani colmi di benefici vari (non sempre monetari) pure i vertici delle aziende e delle amministrazioni pubbliche, dell'università, della magistratura e al tempo stesso anche quelli del settore privato: dalla finanza (dove qualche tempo fa, non a caso, un novantenne si sentì vittima di una colossale ingiustizia perché invitato a lasciare il suo posto) all'industria, fino al giornalismo, dove spesso i direttori, i commentatori e i titolari di rubriche costituiscono un vero e proprio club esclusivo dei soliti noti.
Intendiamoci: parole d'ordine come «largo ai giovani» o «rottamiamo i vecchi» di per sé non hanno mai portato da nessuna parte, ma ciò non toglie che una società com'è per l'appunto quella italiana attuale, ai cui posti di comando non c'è neppure un quarantenne, sia inevitabilmente una società poco dinamica, incapace di rischiare, di misurarsi con il futuro. Cioè una società destinata alla decadenza oltre a essere una società profondamente ingiusta. Infatti - poiché è difficile pensare che l'eccellenza, guarda caso, corrisponda sempre e comunque all'età - nulla come un così diffuso dominio dei vecchi indica fino a che punto in Italia il merito non sia tenuto quasi in alcun conto come criterio decisivo per l'assegnazione di un qualunque incarico. Dappertutto sempre uomini di una certa età, accumulatori spesso a dismisura di cariche e incarichi sottratti ai più giovani: anche in questo modo il nostro Paese si è venuto privando di quella grande risorsa che in mille occasioni passate ha rappresentato il suo capitale umano.
Quanto detto riguarda anche i partiti. Stretti nella tenaglia del discredito pubblico che li colpisce dal basso e del commissariamento del governo Monti che li insidia dall'alto, non riusciranno a sopravvivere se non cambieranno profondamente. Innanzi tutto evitando di presentarsi con le stesse voci e gli stessi volti di sempre. In nessun Paese sono oggi al potere persone che già negli anni 70-80 occupavano posti di rilievo sulla scena pubblica. E di conseguenza in nessun Paese capita di sentire oggi sulla bocca dei politici affermazioni, proposte, enunciazioni programmatiche, che sono l'esatto contrario, o comunque diversissime, da quelle che i medesimi, con la medesima sicurezza, dicevano ieri. Uno ieri che in più di un caso era soltanto pochi mesi fa.
di Ernesto Galli Della Loggia, dal corriere
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