Il premier: "Ruby? Io mi diverto.
Non mi presenterò dai giudici"
Stavolta a rompere gli indugi è stato per primo il Pd. Dario Franceschini in aula alla Camera, Anna Finocchiaro al Senato hanno formalmente chiesto le dimissioni del premier Silvio Berlusconi. L’Idv si associa subito. Poi è la volta dell’Udc di Pier Ferdinando Casini: «Se fossi in Berlusconi farei un passo indietro...», suggerisce il leader centrista. Arriva anche Fli, più cauta: il premier «non si sottragga, chiarisca in tribunale, lo faccia subito», dice Adolfo Urso. Non c’è la parola "dimissioni" perchè sono le conseguenze, ovvero il possibile voto anticipato, a consigliare prudenza tra i finiani. In serata la secca replica del Cavaliere: «Dimettermi? Non sono matto». E dice pure che si sta «divertendo» e di essere «sereno», il presidente del Consiglio, che non si presenterà davanti ai giudici: «I miei avvocati mi hanno detto che non essendo Milano il tribunale competente non c'è obbligo che io vada, non è logico».
Intanto, però, si torna a parlare e molto di voto anticipato. «Il Paese ha bisogno di un governo che faccia le riforme, non di un ulteriore devastante scontro istituzionale, altrimenti è meglio andare al voto», osserva Urso ma Roberto Menia non fa mistero che «di fronte alla prospettiva di una campagna elettorale basata sul bunga bunga, sarebbe meglio non andare alle elezioni». Ma nel Terzo Polo non tutti la pensano così. Casini il voto ora non lo esclude: «Sconsiglio a Berlusconi di percorrere questa strada ma se intende farlo allora andiamoci il prima possibile». E pure nel Pd crescono le voci a favore del voto subito: «Voto anticipato? A questo punto si pensa a tutto», valuta Bersani.
Ma questa, comunque, è un’altra storia. Per ora c’è il compattarsi di Pd e Terzo Polo, più l’Idv, sulle dimissioni del Cavaliere. Una mossa suggerita anche dalla voci che si rincorrono nel Palazzo: si sussurra di altri nuovi pesanti addebiti nei confronti del presidente del Consiglio. «Quello che è uscito sui giornali è solo una piccola parte...», vociferano i bene informati in Transatlantico. In tutto questo la Lega, l’alleato di ferro del Cavaliere, non nasconde la preoccupazione per i destini del federalismo che resta l’obiettivo numero uno del Carroccio. Ma le notti di Arcore e le sue implicazioni giudiziarie interessano anche fuori dal Palazzo: sia dal Quirinale che dalla Cei arriva un invito alla chiarezza e a farlo presto.
Il presidente Napolitano affida in mattinata ad una nota, nella quale si smentisce un colloquio con il premier Berlusconi (i due comunque si sono incontrati nel pomeriggio di oggi), la preoccupazione per gli effetti dell’inchiesta milanese. «Il Presidente della Repubblica è ben consapevole del turbamento dell’opinione pubblica», si legge nella nota, per le «gravi ipotesi di reato» e la «divulgazione di numerosi elementi riferiti ai relativi atti d’indagine. Senza interferire nelle valutazioni e nelle scelte politiche che possano essere compiute dal presidente del Consiglio, dal governo e dalle forze parlamentari, egli auspica - si conclude nel testo diffuso dal Quirinale- che nelle previste sedi giudiziarie si proceda al più presto ad una compiuta verifica delle risultanze investigative».
Poco dopo arriva l’affondo del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, con la richiesta di dimissioni per il premier: «Berlusconi si liberi, e ci liberi, dall’imbarazzo. Vada a farsi giudicare, si dimetta e affidi il percorso al presidente della Repubblica e al Parlamento se ha un minimo di consapevolezza della situazione». Nel primo pomeriggio la richiesta formale in aula a Montecitorio: «Se Silvio Berlusconi ha un sussulto di responsabilità si dimetta», scandisce Franceschini. Quindi al Senato: «Non si comprende come una persona che appare incapace di darsi dei limiti in preda a istinti e pulsioni incontrollabili soggetta a ricatti più incresciosi, come non si comprende come possa esercitare con dignità ed onore le funzioni di presidente del Consiglio», sottolinea Finocchiaro.
L’Idv si associa subito nella richiesta di dimissioni, quindi da Milano arriva anche Casini: «A questo punto della vicenda -evidenza il leader dell’Udc- non serve più minimizzare quello che sta uscendo, siamo alla sostanza e non più alla forma, e non serve prendersela con la magistratura. Se fossi il presidente del Consiglio valuterei con molta serenità l’ipotesi di fare un passo indietro per far sì che la politica torni ad occuparsi dei problemi degli italiani e non solo di quelli di Berlusconi».
Fonte : la Stampa'
Nessun commento:
Posta un commento