Il bivio del premier: equilibrio istituzionale o una rischiosa deriva
Portare in piazza la nevrosi istituzionale rischia di essere l'ultimo errore. Finirebbe per certificare una condizione non più solo di malessere, bensì di autentico sfascio generale. Eppure è quello che potrebbe accadere il prossimo 13 febbraio se davvero il Pdl, il partito del presidente del Consiglio, scendesse nelle strade di Milano con il proposito di manifestare contro la procura e contro le inchieste in corso. Soprattutto perchè la volontà di denunciare la «giustizia politica» e chi l'amministra è rivendicata ogni giorno dallo stesso premier in un crescendo inquietante.
Berlusconi ha il diritto di sentirsi perseguitato; forse ha persino ragione nel lamentare l'accanimento nei suoi confronti e l'uso mediatico delle intercettazioni. Ma ha torto nel voler alimentare, da presidente del Consiglio in carica, uno scontro aspro e senza fine con l'ordine giudiziario. Come pure ha torto nel voler aizzare la contrapposizione permanente fra la legittimità popolare (il voto) e la sostanziale illegittimità di una magistratura «eversiva».
L'idea che i seguaci del capo del governo vadano in piazza, con il suo pieno sostegno, a gridare la loro rabbia e la loro frustrazione contro i pubblici ministeri pone la polemica ai confini dello Stato di diritto. E infatti ieri Umberto Bossi è intervenuto di nuovo per frenare la deriva in corso.
Non è la prima volta, come è noto. Nei giorni scorsi il capo della Lega aveva consigliato a Berlusconi di prendersi «un po' di riposo» e ora dice che «bisogna finirla con questa confusione». Non sembra che si tratti di un semplice auspicio. Bossi è il vero partner politico del presidente del Consiglio, da lui dipendono le sorti del governo. Quando consiglia di «abbassare i toni» conviene seguire il suggerimento, tanto più che l'uomo è stato ed è leale a Berlusconi e non ha alcuna intenzione di buttare a mare la coesione del centrodestra.
A questo punto è augurabile che prevalga il buonsenso. Sappiamo che il premier ha da tempo deciso di non chiarire la vicenda di Arcore recandosi a parlare con i magistrati. Dobbiamo attenderci perciò il conflitto di attribuzione presso la Corte Costituzionale e il ricorso al tribunale dei ministri. Tutto questo mentre la procura di Milano insiste per stringere i tempi del processo. E' un incrocio pericoloso che va gestito con moderazione sul piano dei comportamenti politici. Bossi l'ha capito, Berlusconi è assai più incerto.
Lo spirito del combattente gli fa dire che «le tempeste non mi spaventano»; ma al di là delle parole resta il dubbio su quali saranno le scelte dei prossimi giorni. Il premier è davanti a un bivio decisivo: dovrà decidere se assumere con convinzione un profilo istituzionale ovvero trasformarsi in un capo-popolo, con tutti i pericoli connessi. Il suo richiamo al Parlamento e alla maggioranza che più volte ha confermato la fiducia all'esecutivo è sacrosanto: ma naturalmente ne discendono dei doveri, non solo dei diritti.
Va colto nella giornata di ieri anche il riferimento di Casini, a Todi, all'esigenza di dare a questa crisi uno sbocco politico e non giudiziario. Le lacerazioni derivanti da una rimozione di Berlusconi per via giudiziaria, anzichè attraverso un processo politico ed elettorale, sarebbero insondabili. Di sicuro molto gravi per l'equilibrio del paese. E' un punto su cui il ventaglio delle forze politiche d'opposizione non ha ancora espresso un'idea chiara.
Stefano Folli
Fonte :Il sole 24 ore
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