mercoledì 12 gennaio 2011

LEADERSHIP E SCELTE ECONOMICHE
Il cavaliere e il professore
LEADERSHIP E SCELTE ECONOMICHE
Il cavaliere e il professore
Dalla rappresentazione che ne danno i media, si direbbe che il (supposto) contrasto fra Berlusconi e Tremonti si riduca alla preoccupazione del Sovrano che il suo ministro gli porti via il Trono e a quella del ministro di non farsi avanti prima del tempo. Rappresentazione buona per un titolo di giornale; inadeguata a spiegare la fase che sta attraversando il Paese. Che ha bisogno di politiche liberali — di lungo periodo, contro quelle keynesiane di breve, come metodo di governo — che non solo lo facciano uscire dalla crisi, ma ne facilitino l’ingresso nella Modernità.
Giulio Tremonti è forse il successore più accreditato del Cavaliere (quando verrà il momento) perché è intelligente, internazionalmente noto e, ciò che non guasta, più... settentrionale dei (potenziali) concorrenti. Deve molto al Cavaliere e, lealmente, non lo dimentica. È anche realista; può succedere a Berlusconi solo col suo consenso, che poi vuol dire con i suoi voti, perché di propri — a parte quelli che gli assicura la Lega — non ne ha molti. In ballo non è, dunque, la successione che sarà, probabilmente, lo stesso Berlusconi a decidere quando, come e a favore di chi. Non sono in discussione neppure una maggiore propensione del capo del governo ad allargare i cordoni della borsa, per rilanciare la crescita, e il rigore del suo ministro delle Finanze che si preoccupa delle conseguenze di uno sforamento del bilancio. I soldi — a meno di non finire nelle sabbie mobili della spesa che fa esplodere il deficit — non ci sono e, senza soldi, diceva il Borbone, la guerra non si fa.
Ora che il rischio di bancarotta non riguarda solo i privati, ma anche gli Stati, la finanza pubblica non è più un pozzo cui attingere senza limiti per finanziare una spesa ormai insostenibile. Ma chi governa il Paese — se lo vuole far uscire dal «virtuoso immobilismo» — dovrebbe anche sapere che il controllo della spesa pubblica non è un fine in sé, ma il mezzo per liberare la crescita economica. Senza rigore non c’è sviluppo, ma senza sviluppo si piomba nella collettivizzazione della povertà.
E qui torniamo a Tremonti. È nato socialista, ma oggi è un mercantilista, un dirigista di destra, che tende a subordinare l’economia alla volontà politica. Un po’ per gusto della provocazione intellettuale anti mercatista; molto per scelta protezionista a difesa della piccola e media industria lombarda contro le insidie della globalizzazione. Potrebbe essere un vero modernizzatore se si liberasse di un certo integralismo fiscale, eredità del moralismo pauperista socialista, e delle scorie del colbertismo, ostile — a differenza del mercantilismo inglese— al liberalismo.
il Big Government e il Government spending si sostanziano nell’invasività regolatoria e fiscale. All’amico Giulio — che so cultore di buone letture — consiglio, allora, quella del Program for Economic Recovery (Programma per la ripresa economica) del 1981 di Ronald Reagan: riduzione della spesa, della tassazione sul lavoro e il capitale, dell’interposizione pubblica sulle regole dell’economia; contenimento dell’inflazione.

RISPOSTA A PIERO OSTELLINO
Liberalizzare: le troppe leggi
sono la tirannia da abbattere
La proposta: una legge costituzionale che dia efficacia
al principio di responsabilità dei singoli cittadini
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RISPOSTA A PIERO OSTELLINO
Liberalizzare: le troppe leggi
sono la tirannia da abbattere
La proposta: una legge costituzionale che dia efficacia
al principio di responsabilità dei singoli cittadini
Cominciamo dalla liberalizzazione delle attività d’impresa. Le regole giuste sono un investimento. Sono le regole sbagliate ad essere un costo. E le regole possono essere sbagliate anche perché sono troppe. Con la globalizzazione il mondo è radicalmente cambiato e nella globalizzazione la competizione non è più solo tra imprese, ma anche tra blocchi continentali e sistemi giuridici. In linea di principio si può essere a favore o contro la competizione economica globale. Ma in concreto non si può fare finta che non ci sia. Non ci si può illudere che tutto possa continuare come prima. Nello scenario globale che si è aperto, l’Italia ha davanti a sé l’alternativa tra declino e sviluppo. Se si vuole lo sviluppo si deve cambiare, a partire dal dominio giuridico. Che effetto ha prodotto e produce sull’attività d’impresa l’attuale bulimia giuridica, la massa sconfinata e crescente di regole? Alcuni dati ne danno la cognizione (guarda le tabelle).
I TRE SISTEMI - Come agire su questa massa di regole, per ridurla? Una prima tecnica è quella dell’«abrogazione». E’ questa senz’altro una buona tecnica, ma non risolve definitivamente il problema. Le uova depositate dal serpente legislativo si riproducono infatti in continuazione. E anzi, paradossalmente, tra il beneficio che dà l’abrogazione di una legge e il maleficio costituito dallo stress normativo che l’innovazione comunque causa, il saldo rischia di rimanere comunque negativo. Una seconda tecnica è quella della «delegificazione», passare cioè dalla legge al regolamento, che è come passare dalla padella nella brace. Perché i regolamenti sono pesanti come le leggi ed essendo intercambiabili non alleggeriscono ma anzi spesso appesantiscono la burocrazia. La terza tecnica è quella della «semplificazione». I processi e i metodi adottati in passato nel nostro Paese sono stati utili, ma non risolutivi. Le norme dirette a semplificare si sono infatti esse stesse strutturate come «lenzuoli» normativi, che a loro volta hanno prodotto decreti legislativi torrenziali e dunque ulteriori alluvioni di normative.
LA SOLUZIONE COSTITUZIONALE - In sintesi le pratiche sopra citate hanno prodotto e possono produrre risultati buoni, ma ancora insoddisfacenti: come i tentacoli dei mostri mitologici, per ogni legge delegificata rinasceva un regolamento, per ogni norma di semplificazione rinascevano una o più norme di complicazione. In realtà il nodo di Gordio, la metafora millenaria della semplificazione, non si scioglie ma si taglia con un colpo di spada. Con una norma che dia efficacia costituzionale e definitività al principio di responsabilità, all'autocertificazione, al controllo ex post, estendendoli con la sua forza obbligatoria a tutti i livelli dell’ordinamento, superando così i problemi del complicato riparto delle competenze legislative. Alla obiezione sui tempi lunghi di una legge costituzionale si può rispondere ricordando che la Legge costituzionale istitutiva della Bicamerale D’Alema fu approvata in 4 mesi (agosto compreso). Pare corretto assumere che la legge costituzionale di cui sopra, per la sua non minore importanza (!), possa ottenere dal Parlamento uguale impegno di lavoro.
FOLLIA REGOLATORIA - Non ci sono reali alternative: la cappa delle regole che pesa sull’economia, una cappa che è cresciuta a dismisura negli ultimi tre decenni ed è aggrovigliata dalla moltiplicazione delle competenze – centrali, regionali, provinciali, comunali - è ormai divenuta tanto soffocante da creare un nuovo Medioevo. Dietro la follia regolatoria c’è in specie qualcosa che in realtà va nel profondo dell’antropologia culturale: una visione dell’uomo che è o negativa o riduttiva. La visione negativa è quella della gabbia (l’homo homini lupus). Il lupo va ingabbiato: è Hobbes. Da questa filosofia sono derivati l’assioma e la contrapposizione moderna fra pubblico e privato, dove «pubblico» è stato assiomaticamente associato a «morale» e «privato» a «immorale». La visione riduttiva si basa invece sull’assunto che l’uomo non è certo «a priori» malvagio, ma è tuttavia insufficiente a sé stesso, in parte incapace di fare da solo il suo bene. Ad esso soccorre dunque la benevolenza del potere pubblico.
IL NUOVO MEDIOEVO - Questi due pregiudizi hanno ormai impiantato un nuovo Medioevo. Come nel vecchio Medioevo tutta l’economia era bloccata da dazi e pedaggi d’ingresso e di uscita, alle porte delle città, nei porti, nei valichi, da status soggettivi e personali discriminatori, così oggi il nostro territorio è popolato da un’infinità di totem giuridici. E’ stato Alexis de Tocqueville, in La democrazia in America, a fare profeticamente la più efficace sintesi del processo che oggi ci troviamo, nonostante tutto, a subire: «Il sovrano estende il suo braccio sull’intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose ed uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la folla; esso non sprezza le volontà, ma le infiacchisce, le piega e le dirige; raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente di impedire che si agisca, non distrugge, ma impedisce di creare, non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi ed industriosi della quale il governo è pastore. Ho sempre creduto che questa specie di servitù regolata e tranquilla, che ho descritto, possa combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della libertà e che non sia impossibile che essa si stabilisca anche all’ombra della sovranità del popolo».
VISIONE POSITIVA - Il Medioevo vero è finito, ma il nuovo Medioevo, che ci si presenta come la caricatura giuridico-democratica di quello precedente, ci fa scivolare verso il declino. Non è questa la visione giusta, se della persona si ha una visione positiva, perché si crede giusto investire sulla sua capacità di produrre ricchezza sociale ed economica, sulla sua capacità di concorrere al bene comune. Sull’uomo non si può avere un pregiudizio, ma un giudizio. Come in Sant’Agostino, che riconosceva l’esistenza di una socialità originaria, di una civitas primaria che nasce dalla socialità propria della natura umana; e che è un ordine che ha una sua bellezza propria (Agostino, De vera religione 26, 48). Per questo, si può (si deve) avere una visione positiva della persona, delle sue associazioni, della sua capacità d’intrapresa. Con questa visione si può (si deve) cambiare il metodo politico: si può (si deve) considerare il cittadino, prima che come un controllato dallo Stato, come una risorsa della collettività. Si può sostituire il controllo ex ante della pubblica amministrazione con un controllo ex post (che avviene senza ritardare l’inizio dell’attività); si può considerare il bene comune non più come monopolio esclusivo del potere pubblico, ma come un’auspicata prospettiva della responsabilità nell’agire privato.
E' TEMPO DI CAMBIARE - L’articolo 41 della Costituzione italiana dispone quanto segue: «L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali». In teoria potrebbe essere formulata l’ipotesi di modificarlo radicalmente. Non credo che questa sia l’idea giusta. Nel «vecchio» articolo 41 della Costituzione ci sono infatti elementi fondamentali che assolutamente devono essere conservati. Ma è arrivato il tempo per operarne un aggiornamento. E’ arrivato il tempo di intervenire su quell’articolo, integrandolo per rimuovere tipi e forme di interpretazione che hanno riportato il Medioevo. E’ stato obiettato che l’articolo 41 della Costituzione ha in realtà sempre funzionato, perché non ha impedito nessuna legge di semplificazione. E’ vero. E’ però anche vero che non ha neppure impedito nessuna legge di complicazione! E’ per questo che con una legge costituzionale non solo va «potenziato» l’articolo 41, in raccordo con la successiva modifica dell’articolo 118 della Costituzione, ma lo si può, lo si deve riformare valorizzando i princìpi morali, sociali, liberali della responsabilità, dell’autocertificazione, del controllo ex post, contro i costi di manomorta e di immobilizzo tipici del vecchio-presente regime. Non è tempo per cercare le colpe della situazione presente. E’ tempo di cambiarla. In questo od in un altro modo che si vorrà (potrà) prospettare in libero dibattito.
Giulio Tremonti
 Fonte: il corriere della sera




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