.."quando dò da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista…”.Helder Camara
lunedì 31 gennaio 2011
Centrale del Mercure: "Qual'è il gioco della Regione"?
Mercure, "Qual'è il gioco della Regione?"
Per Rosa e Pici c’è il dubbio che la mancata notifica all’Enel non sia un semplice errore. Ola e Autilio (Idv) chiedono ricorso al Consiglio di Stato per la vicenda della centrale
Emilia Manco
Fonte :Il quotidiano
L'INGRANDIMENTO DELL'ITREC E IL MEGACAPANNONE
Mentre le notizie di stampa parlano sempre con più insistenza di una
Basilicata in pole position per il sito nazionale di scorie con i calanchi di
Craco, Scanzano o peggio ancora con il sito di Trisaia, la Sogin in Trisaia
acquisisce nuove aree nel centro di ricerche Enea. Lo apprendiamo da un
comunicato diffuso dalla stessa Sogin che con un accordo con Enea acquisisce
nuove aree per accessi indipendenti e la cantieristica.
Ricordiamo che Sogin vorrebbe realizzare in Trisaia due capannoni per
complessivi 20.000 mc di cui uno riservato allo stoccaggio delle scorie di III
attività pari a 14000 mc (come un palazzo di 46 appartamenti da 100 mq). Il
progetto è in attesa della valutazione d’impatto ambientale del Ministero dell’
Ambiente. Sogin all’ultimo tavolo della trasparenza non ha fornito adeguate
risposte su tale volumetria (a ns. giudizo quasi triplicata per lo stoccaggio
), né il presidente De Filippo, il Comune di Rotondella e la neonata cabina di
regia dell’assessore Mancusi si sono ancora espressi in merito. All'Itrec
inoltre non servirebbe alcun capannone di III cat. qualora ci fosse un
accordo per la restituzione dei prodotti del riprocessamento e delle 64 barre
di elk river agli Stati Uniti .
Senza nulla togliere alle attività di messa in sicurezza delle scorie nucleari
e per evitare che quello che abbiamo cacciato dalla porta con Scanzano
rientri ora dalla finestra , qualsiasi operazione in quell’area sia concertata
con le istituzioni e la popolazione. A tal fine chiediamo che sia riconvocato
subito il tavolo della trasparenza regionale
Da sogin.it
Enea-Sogin: siglato accordo integrativo all’affidamento degli impianti
nucleari per favorire il decommissioning a Saluggia e Trisaia
A cinque anni dall’affidamento degli impianti di ricerca Enea del ciclo del
combustibile, gli stessi attori che firmarono quell’accordo, e cioè Giuseppe
Nucci, amministratore delegato (oggi come allora) di Sogin e Giovanni Lelli,
Commissario Enea, (all’epoca Direttore generale dell’Ente), hanno sottoscritto
un atto aggiuntivo all’accordo del 2006 con cui l’Enea affidava in gestione a
SOGIN gli impianti Itrec Trisaia, Eurex di Saluggia e Opec e Ipu di Casaccia,
affinché provvedesse al loro smantellamento. Con questo accordo Sogin
acquisisce nuove aree all’interno dei Centri ENEA di Saluggia (Vercelli) e di
Trisaia (Rotondella-Matera), che si rendono necessarie sia per supportare l’
attività cantieristica sia per migliorare le condizioni di accesso del
personale, con la realizzazione di ulteriori ingressi indipendenti, più
appropriati alle esigenze territoriali.
Il comunicato e il documento Sogin provengono dall'associazione ambientalista "NO SCORIE TRISAIA".
Per approfondimenti :
www.scanziamolescorie.org
www.ilbrigantelucano.com
www.sortirdunucleaire.org
http://zonanucleare.atspace.com
www.terrejoniche.it
www.amicidinduguzangu.org
http://indirizzarionoscorie.blogspot.com/
Mentre le notizie di stampa parlano sempre con più insistenza di una
Basilicata in pole position per il sito nazionale di scorie con i calanchi di
Craco, Scanzano o peggio ancora con il sito di Trisaia, la Sogin in Trisaia
acquisisce nuove aree nel centro di ricerche Enea. Lo apprendiamo da un
comunicato diffuso dalla stessa Sogin che con un accordo con Enea acquisisce
nuove aree per accessi indipendenti e la cantieristica.
Ricordiamo che Sogin vorrebbe realizzare in Trisaia due capannoni per
complessivi 20.000 mc di cui uno riservato allo stoccaggio delle scorie di III
attività pari a 14000 mc (come un palazzo di 46 appartamenti da 100 mq). Il
progetto è in attesa della valutazione d’impatto ambientale del Ministero dell’
Ambiente. Sogin all’ultimo tavolo della trasparenza non ha fornito adeguate
risposte su tale volumetria (a ns. giudizo quasi triplicata per lo stoccaggio
), né il presidente De Filippo, il Comune di Rotondella e la neonata cabina di
regia dell’assessore Mancusi si sono ancora espressi in merito. All'Itrec
inoltre non servirebbe alcun capannone di III cat. qualora ci fosse un
accordo per la restituzione dei prodotti del riprocessamento e delle 64 barre
di elk river agli Stati Uniti .
Senza nulla togliere alle attività di messa in sicurezza delle scorie nucleari
e per evitare che quello che abbiamo cacciato dalla porta con Scanzano
rientri ora dalla finestra , qualsiasi operazione in quell’area sia concertata
con le istituzioni e la popolazione. A tal fine chiediamo che sia riconvocato
subito il tavolo della trasparenza regionale
Da sogin.it
Enea-Sogin: siglato accordo integrativo all’affidamento degli impianti
nucleari per favorire il decommissioning a Saluggia e Trisaia
A cinque anni dall’affidamento degli impianti di ricerca Enea del ciclo del
combustibile, gli stessi attori che firmarono quell’accordo, e cioè Giuseppe
Nucci, amministratore delegato (oggi come allora) di Sogin e Giovanni Lelli,
Commissario Enea, (all’epoca Direttore generale dell’Ente), hanno sottoscritto
un atto aggiuntivo all’accordo del 2006 con cui l’Enea affidava in gestione a
SOGIN gli impianti Itrec Trisaia, Eurex di Saluggia e Opec e Ipu di Casaccia,
affinché provvedesse al loro smantellamento. Con questo accordo Sogin
acquisisce nuove aree all’interno dei Centri ENEA di Saluggia (Vercelli) e di
Trisaia (Rotondella-Matera), che si rendono necessarie sia per supportare l’
attività cantieristica sia per migliorare le condizioni di accesso del
personale, con la realizzazione di ulteriori ingressi indipendenti, più
appropriati alle esigenze territoriali.
Il comunicato e il documento Sogin provengono dall'associazione ambientalista "NO SCORIE TRISAIA".
Per approfondimenti :
www.scanziamolescorie.org
www.ilbrigantelucano.com
www.sortirdunucleaire.org
http://zonanucleare.atspace.com
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domenica 30 gennaio 2011
Massimo D'Alema rilancia l'idea di una grande coalizione da Fini a Vendola per liberarsi del Caimano D'accordo Udc e Sel, Idv e Fli prendono tempo. Intanto B, travolto dagli scandali, crolla nei sondaggi
Berlusconi “ha capito che è cambiato qualcosa e si è barricato nel Palazzo”. Il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, esprime chiaramente quella che ormai è opinione condivisa da tutti. Compresi gli uomini del Pdl, che per la prima volta hanno stoppato il premier sulla manifestazione contro la magistratura (leggi l'articolo). Quelle che fino a pochi giorni fa erano indiscrezioni delle stanze politiche, oggi sono dichiarazioni pubbliche: l’obiettivo condiviso è liberarsi del Cavaliere. Come? O accetta di farsi da parte e lascia il passo a un esecutivo tecnico o, se decide di resistere a ogni costo, presentarsi a elezioni anticipate uniti in una grande alleanza. La proposta la riformula Massimo D'Alema, che incassa subito la disponibilità di Casini e di Sel. Idv e Fli prendono tempo ma non bocciano l'idea lanciata dal presidente del Copasir per ridare al Paese un governo, anche ricorrendo alle urne (leggi l'articolo). Ipotesi che B. non invoca più: i sondaggi che lo danno in forte calo. Persino quelli di Renato Mannheimer: 28 italiani su 100 hanno fiducia nel presidente del Consiglio, 70 ne hanno poca o pochissima. Lo stesso sondaggio rivela che gli italiani sono pronti a un gesto forte del Colle, tanto che ben l’84% dice di avere “molta o moltissima fiducia” in Giorgio Napolitano. Il Quirinale è deciso a sbloccare la situazione. Anche sciogliendo le Camere (leggi l'articolo di Sara Nicoli). E mentre Pisanu invita il Cavaliere a presentarsi dai giudici, i pm di Milano convocano il consigliere regionale Nicole Minetti. L'igenista dentale ed ex soubrette, indagata con Lele Mora ed Emilio Fede per favoreggiamento della prostituzione, è stata sentita dagli inquirenti per due ore (leggi l'articolo)
Fonte: Il fatto quotidiano
Mille sfide per un lavoro. Viaggio nella generazione che non riesce a guadagnare e a crescere.
Mentre Roberto risponde trafelato al telefono, Betty sta preparando la cena per il compagno, la figlia, la nipote. Roberto è a Roma, Betty a casa, provincia veneta. Roberto, sono le sette di sera ed è ancora in ufficio: sta chiudendo una riunione. «Ci sentiamo dopo», dice. Richiama un'ora più tardi. «Ora possiamo parlare» e si sente in sottofondo il fruscio che fanno gli auricolari. «Sono in motorino - spiega - ma se rinviamo domani sarà anche peggio». Betty e Roberto sono madre e figlio. Lui è un ingegnere con una specializzazione nel settore ambientale, un trentenne che cerca di costruirsi professione e vita, lei un'infermiera oggi in pensione. Roberto non fa parte di quel 28,9%, certificato dall'Istat, di giovani disoccupati. Non si sente un "bamboccione" perché un lavoro ce l'ha e sembra rifuggire anche da quella retorica «secondo cui i giovani sono indistitamente vittime» di cui scrive il professore Alberto Alesina in un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore dello scorso venerdì. Roberto e Betty fanno parte dello stesso mondo e allo stesso tempo appartengono ai due mondi radicalmente diversi. La loro è una storia comune e quotidiana. Soddisfatto? «Abbastanza - racconta - almeno io riesco a fare quello per cui ho studiato». Specifica "almeno" perché a molti suoi amici non è andata così: «Un mio amico ha due lauree, una in arte e una in lettere moderne, e al momento fa la guida turistica free lance». Poi aggiunge che questo non è affatto un caso isolato. La gran parte dei suoi coetanei colleziona specializzazioni, un po' per colmare un vuoto un po' perché il mercato del lavoro cambia a una velocità tale che ciò che in teoria va bene quando si comincia a studiare, cinque anni dopo può già non servire più. Gli ingegneri gettonatissimi, ad esempio, fino a poco tempo fa, lo sono diventati già meno quando è stata la volta di Roberto e poco ha contato la sua passione per l'ambiente e i due anni trascorsi in Australia, uno dei quali investito per preparare la tesi. «Dopo la laurea in realtà ci ho messo abbastanza poco, due o tre mesi, per trovare un lavoro. Il problema è che si è sempre trattato di collaborazioni pagate al minimo». Ora che di anni ne sono trascorsi cinque, Roberto guadagna 1.350 euro circa netti al mese. È la condizione standard e diffusa. Di prendere casa, da solo a Roma, ovviamente non se ne parla. «Con i prezzi degli affitti non riuscirei proprio». Visto che per un monolocale si va in media dagli ottocento ai mille euro.
Nel 1970, quando sua madre Betty ha cominciato a lavorare, i laureati erano appena 883.188 su un totale di 54.136.551 milioni di italiani (sono i dati del Censimento Istat del 1971). Oggi che gli italiani sono circa 60.600.000 i laureati sono 3.480.535. Quando una pizza e una birra costavano ottocento lire la ventenne Betty aveva già un diploma da infermiera professionale e non aveva neanche avuto bisogno di cominciare il pellegrinaggio dei colloqui di lavoro. Il suo stipendio era di 90mila lire e per pagare l'affitto di un appartamento vero (niente condivisione con altri lavoratori) spendeva 38mila lire. Il suo primo lavoro è stato anche l'ultimo, infermiera cioè per quasi trent'anni. Una rassicurante stabilità non impoverita neanche dalla crisi petrolifera del 1973. «Per un giovane laureato - spiega Ignazio Visco, vice direttore generale della Banca d'Italia - i salari d'ingresso nel mercato del lavoro sono oggi pari in termini reali (depurati cioè dall'incremento del costo della vita, ndr) a quelli di 30 anni fa». Questo vuol dire che «i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro sono quindi esclusi dai benefici della crescita del reddito occorsa negli ultimi decenni». E per di più per mettere insieme un solo stipendio in molti casi servono più lavori. Veronica che ha 30 e lavora a Brescia, ad esempio, riesce a guadagnare anche 1.500 euro al mese. Per farlo deve però insegnare storia dell'arte come supplente, dedicare qualche ora («è un piccolo corso», dice) all'accademica, poi al museo, e infine dipingere. Quest'ultimo sarebbe in teoria il suo vero lavoro, «solo che - spiega - per potermi impegnare a tempo pieno dovrei avere all'inizio un minimo di autonomia economica». Il risultato è per Veronica quasi una beffa: più part time per fare un full time e così tempo azzerato per investire in se stessa.
Eppure a fare confronti, Betty non ha avuta neanche una delle possibilità che l'appartenere a un mondo trasformato ha dato al figlio. A cominciare dall'offerta di corsi di laurea e master, per proseguire con gli orizzonti geografici sempre più dilatati. Solo gli studenti in Erasmus sono due milioni. Ma il programma voluto nel 1987 dall'allora Comunità europea è solo una delle possibilità. Ormai gli accordi tra università sono una costante, così spesso gli studenti utilizzano l'esperienza all'estero per svolgere corsi che altrimenti non avrebbero frequentato in Italia. Come ha fatto Giulia, 24 anni, dottoranda in criminologia all'università Cattolica di Milano che ha studiato in Belgio. «Certo - dice - la borsa di studio che avevo mi copriva appena l'affitto, tuttavia è stata un'opportunità irripetibile». Luca, 24 anni, ha quasi le valigie pronte per la Slovenia, ci passerà cinque mesi. Ha già vissuto per un anno a Londra e pensa che a laurea conclusa comincerà a setacciare le università straniere. «A me - spiega - andrebbe pure bene l'assegno di ricerca da mille euro, in cambio di un obiettivo da raggiungere. Quello che non potrei sopportare è il sacrificio a vuoto».
Persino la porta girevole della flessibilità va bene se in fondo si delinea la chimera della stabilità. «A cosa punto? - dice Roberto - naturalmente alla stabilizzazione contrattuale». Niente posto fisso che quello ormai è fuori dal linguaggio e dalla concettualizzazione. Solo un'idea di programmazione. Nella consapevolezza che il mondo lineare, fatto di poche scelte essenziali, conosciuto dai genitori, è archeologia. La priorità di Luca, Veronica, Giulia è semplicemente non far parte di quei 2.869.000 di persone che «dopo aver avuto una prima esperienza di lavoro per oltre tre mesi consecutivi» l'hanno interrotta e si trovano o disoccupati o a fare un altro lavoro. E soprattutto non vogliono attardarsi in un eterno presente. Un eterno presente in cui la transizione verso la vita adulta è costantemente rinviata. In parte ciò «è imputabile all'innalzamento dei livelli di scolarizzazione» come scrivono Nicola Negri e Marianna Filandri in Restare di ceto medio - Il passaggio alla vita adulta nella società che cambia (Edizioni Il Mulino), in parte al fatto, come ha registrato l'Istat, che «occorrono cinque anni perché la probabilità di passare da una prima occupazione temporanea a una stabile interessi la metà dei giovani entrati nel mercato del lavoro con un contratto a termine».Con un rischio: «Nell'ultimo anno - spiega Andrea Ceccherini, presidente dell'Osservatorio dei Giovani Editori - ho avvertito una trasformazione profonda del clima tra i giovanissimi. Si è passati da una sostanziale astrazione rispetto alla politica e alle istituzioni pubbliche, a una crescente e irrefrenabile contrapposizione. I ragazzi pensano al futuro con timore, sono convinti che ieri era meglio di oggi e che domani sarà ancora peggio».
Serena Uccello
Fonte : Il sole 24 ore
“Alleanza costituente"
Casini apre a D'Alema
Casini apre a D'Alema
Lo spiraglio del leader dell'Udc:
"La sua proposta va considerata"
Fli frena ma non dice netto "no"
"La sua proposta va considerata"
Fli frena ma non dice netto "no"
ROMA
L’orizzonte del voto anticipato e la «alleanza costituente» proposti da D’Alema prendono in contropiede il Terzo Polo. Pier Ferdinando Casini chiede una «riflessione seria» e non liquidatoria sulle tesi dell’esponente del Pd, ma poi relega l’alleanza ad «ultima spiaggia». Esattamente quello che da subito fa il finiano Italo Bocchino, assai freddo sull’ipotesi dalemiana.
La coalizione uscita ieri dall’assemblea di Todi appariva compatta, al di là delle differenze tra il radical-finiano Della Vedova e il cattolico Buttiglione sui temi etici. Oggi, complice D’Alema, appare più incerta sulla tattica per mandare a casa Berlusconi e il berlusconismo. «Sulla proposta di D’Alema serve una riflessione molto seria. Non si può liquidarla con una battuta», dice Casini ai microfoni di SkyTg24, aprendo un credito alle tesi del presidente del Copasir. «Se bisogna andare avanti - aveva detto poco prima ad una manifestazione bolognese - meglio andare al votare» perchè, dice, il Terzo Polo «vuole cambiare la politica italiana», vuole «girare pagina».
Intenti non troppo diversi da quelli enunciati da D’Alema nella sua intervista-proposta a Repubblica. Più tardi, nel salotto di Fazio, il leader dell’Udc rimodula il suo giudizio. La proposta di D’Alema, sottolinea, può essere presa in considerazione ma, in tal caso, «bisognerebbe fare un discorso chiaro e franco: vorrebbe dire che siamo in una situazione di emergenza». Non tutti, nel partito di Casini, erano del resto pronti a trasferirsi armi e bagagli nell’alleanza con il centrosinistra rinunciando alla ipotesi di un nuovo polo che sostituisca in prospettiva quello berlusconiano. Di certo non appare pronto un "ex" come Pierluigi Mantini, arrivato ai centristi dai democratici, che punta l’indice sulla inconsistenza della proposta di governo che può offrire agli elettori una coalizione così disomogenea.
Chi sicuramente mostra fin dall’inizio grande distacco dalla «santa alleanza» (come la battezza il Pdl ma anche il coordinatore di Fli Adolfo Urso) è Italo Bocchino, che pure ieri sera aveva, dagli schermi di La7, inneggiato al ritorno alle urne («Noi dobbiamo andare a votare e dobbiamo farlo presto. Gli italiani si devono esprimere e lo faranno in maniera chiara contro Berlusconi»). Di fronte alla svolta ’elettoralè di D’Alema e alla proposta di ’alleanzà, Bocchino mette le mani avanti proprio come, più tardi, fa Casini: «D’Alema indica un orizzonte ipotizzabile soltanto di fronte a un’emergenza democratica, purtroppo assai vicina, ma ancora possibile da scongiurare». Tutti uniti invece nel chiedere che Berlusconi lasci Palazzo Chigi: «Sta inquinando le istituzioni e i normali rapporti politici ed è giunto il momento di uscire dalla palude in cui sta costringendo l’Italia», dice Bocchino. Vada dai magistrati a chiarire, dice dal canto suo Casini, perchè ai complotti su Ruby e feste di Arcore «non crede più nessuno».
Antonio Di Pietro della proposta di D’Alema condivide solo una parte: quella di andare al voto anticipato. Non convide però il "come" andarci. Per intendersi, «l’alleanza costituente» lanciata dal presidente del Copasir, per il leader Idv è «un accoppiamento contro natura», una coalizione «senza un programma» perchè troppo diversa e quindi «non convincente». «Mi fa piacere -dice Di Pietro - che buon ultimo D’Alema si accorga oggi della necessità di liberarsi di Berlusconi». «Altra cosa è poi, una volta sciolte le Camere, l’individuazione di una proposta programmatica e di una coalizione da presentare agli elettori: io -sottolinea il leader dell’Idv- sono convinto che, una volta detronizzato Berlusconi, si possa tornare ad una serena dialettica politica in cui il programma e la coalizione siano all’insegna del bipolarismo, senza accoppiamenti contro natura e contro natura considero gli accoppiamento tra destra e sinistra per il diverso programma che propongono e per le radici culturali che hanno». Sarcastici i commenti che arrivano invece dalle file della maggioranza. Tra i tanti, Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera Deputati, che definisce l'alleanza ipotizzata da D'Alema «una Armata Brancaleone».
L’orizzonte del voto anticipato e la «alleanza costituente» proposti da D’Alema prendono in contropiede il Terzo Polo. Pier Ferdinando Casini chiede una «riflessione seria» e non liquidatoria sulle tesi dell’esponente del Pd, ma poi relega l’alleanza ad «ultima spiaggia». Esattamente quello che da subito fa il finiano Italo Bocchino, assai freddo sull’ipotesi dalemiana.
La coalizione uscita ieri dall’assemblea di Todi appariva compatta, al di là delle differenze tra il radical-finiano Della Vedova e il cattolico Buttiglione sui temi etici. Oggi, complice D’Alema, appare più incerta sulla tattica per mandare a casa Berlusconi e il berlusconismo. «Sulla proposta di D’Alema serve una riflessione molto seria. Non si può liquidarla con una battuta», dice Casini ai microfoni di SkyTg24, aprendo un credito alle tesi del presidente del Copasir. «Se bisogna andare avanti - aveva detto poco prima ad una manifestazione bolognese - meglio andare al votare» perchè, dice, il Terzo Polo «vuole cambiare la politica italiana», vuole «girare pagina».
Intenti non troppo diversi da quelli enunciati da D’Alema nella sua intervista-proposta a Repubblica. Più tardi, nel salotto di Fazio, il leader dell’Udc rimodula il suo giudizio. La proposta di D’Alema, sottolinea, può essere presa in considerazione ma, in tal caso, «bisognerebbe fare un discorso chiaro e franco: vorrebbe dire che siamo in una situazione di emergenza». Non tutti, nel partito di Casini, erano del resto pronti a trasferirsi armi e bagagli nell’alleanza con il centrosinistra rinunciando alla ipotesi di un nuovo polo che sostituisca in prospettiva quello berlusconiano. Di certo non appare pronto un "ex" come Pierluigi Mantini, arrivato ai centristi dai democratici, che punta l’indice sulla inconsistenza della proposta di governo che può offrire agli elettori una coalizione così disomogenea.
Chi sicuramente mostra fin dall’inizio grande distacco dalla «santa alleanza» (come la battezza il Pdl ma anche il coordinatore di Fli Adolfo Urso) è Italo Bocchino, che pure ieri sera aveva, dagli schermi di La7, inneggiato al ritorno alle urne («Noi dobbiamo andare a votare e dobbiamo farlo presto. Gli italiani si devono esprimere e lo faranno in maniera chiara contro Berlusconi»). Di fronte alla svolta ’elettoralè di D’Alema e alla proposta di ’alleanzà, Bocchino mette le mani avanti proprio come, più tardi, fa Casini: «D’Alema indica un orizzonte ipotizzabile soltanto di fronte a un’emergenza democratica, purtroppo assai vicina, ma ancora possibile da scongiurare». Tutti uniti invece nel chiedere che Berlusconi lasci Palazzo Chigi: «Sta inquinando le istituzioni e i normali rapporti politici ed è giunto il momento di uscire dalla palude in cui sta costringendo l’Italia», dice Bocchino. Vada dai magistrati a chiarire, dice dal canto suo Casini, perchè ai complotti su Ruby e feste di Arcore «non crede più nessuno».
Antonio Di Pietro della proposta di D’Alema condivide solo una parte: quella di andare al voto anticipato. Non convide però il "come" andarci. Per intendersi, «l’alleanza costituente» lanciata dal presidente del Copasir, per il leader Idv è «un accoppiamento contro natura», una coalizione «senza un programma» perchè troppo diversa e quindi «non convincente». «Mi fa piacere -dice Di Pietro - che buon ultimo D’Alema si accorga oggi della necessità di liberarsi di Berlusconi». «Altra cosa è poi, una volta sciolte le Camere, l’individuazione di una proposta programmatica e di una coalizione da presentare agli elettori: io -sottolinea il leader dell’Idv- sono convinto che, una volta detronizzato Berlusconi, si possa tornare ad una serena dialettica politica in cui il programma e la coalizione siano all’insegna del bipolarismo, senza accoppiamenti contro natura e contro natura considero gli accoppiamento tra destra e sinistra per il diverso programma che propongono e per le radici culturali che hanno». Sarcastici i commenti che arrivano invece dalle file della maggioranza. Tra i tanti, Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera Deputati, che definisce l'alleanza ipotizzata da D'Alema «una Armata Brancaleone».
Fonte:La stampa
Lontre in Basilicata
Ben 3 esemplari di lontra sono stati avvistati ieri dagli esperti del WWF Basilicata e dell’Ufficio Natura del Parco dell’Appennino Lucano mentre erano intenti a nutrirsi in un laghetto. L’osservazione è durata diversi minuti durante i quali è stato possibile riprendere l’evento con foto e filmati.
Soddisfazione da Parte del Commissario del Parco, Domenico Totaro, e del Presidente del WWF Basilicata ,Vito Mazzilli.
“Ancora una volta il parco ed i territori limitrofi si contraddistinguono per l’eccezionale patrimonio di biodiversità che contengono - ha dichiarato Domenico Totaro - Tale avvistamento non deve però farci abbassare la guardia, anzi: è necessario continuare a controllare e monitorare tutto il territorio del parco per tutelare la specie ed in tal senso sono state date direttive agli organi di sorveglianza del Parco.”
“Una notizia eccezionale” ha commentato Vito Mazzilli, “ dopo i tragici ritrovamenti dello scorso anno con ben 4 lontre morte, il nuovo anno lascia ben sperare per il futuro della specie come confermano le diverse segnalazioni ed osservazioni di esemplari vivi giunte ad oggi al WWF”.
Il WWF ed il Parco dell’Appennino Lucano, nell’ambito del protocollo di intesa sottoscritto con i Parchi Nazionali dell’Appennino Lucano, del Pollino e del Cilento per la realizzazione di un piano per la conservazione della biodiversità, intende individuare misure di salvaguardia per la rara specie, che nei 3 parchi presenta le maggiori popolazioni italiane, finalizzate a salvaguardare gli habitat e le connessioni ecologiche che possano garantirne la sopravvivenza e l’espansione.
Il WWF ed il Parco dell’Appennino Lucano, nell’ambito del protocollo di intesa sottoscritto con i Parchi Nazionali dell’Appennino Lucano, del Pollino e del Cilento per la realizzazione di un piano per la conservazione della biodiversità, intende individuare misure di salvaguardia per la rara specie, che nei 3 parchi presenta le maggiori popolazioni italiane, finalizzate a salvaguardare gli habitat e le connessioni ecologiche che possano garantirne la sopravvivenza e l’espansione.
L'INTERVISTA
D'Alema: "Al voto per salvare l'Italia
Un'alleanza costituente manderà a casa il governo"
Un'alleanza costituente manderà a casa il governo"
Poi, referendum sulle istituzioni. "Una consultazione potrebbe chiedere agli italiani di scegliere tra parlamentarismo e presidenzialismo". "La legittimazione maggioritaria usata contro il principio di legalità: questo il vero atto eversivo". "Siamo in una crisi democratica gravissima. Le opposizioni mettano da parte politicismi e interessi personali"
di MASSIMO GIANNINI
ROMA - "Il Paese attraversa una crisi democratica gravissima. Se Berlusconi non si dimette, l'unico modo di evitare l'impasse e il caos politico-istituzionale è andare alle elezioni anticipate. Chiedendo agli elettori di promuovere quel governo di responsabilità nazionale che è necessario al Paese, per uscire da una crisi così profonda. Lancio un appello alle forze politiche di questo potenziale schieramento: uniamoci, tutti insieme, per superare il berlusconismo". Massimo D'Alema rompe gli indugi. Di fronte alla "notte della Repubblica" in pieno corso, il presidente del Copasir apre per la prima volta al voto anticipato, e invita tutti, dal Terzo Polo all'Idv alla sinistra radicale, ad allearsi con il Pd in una sorta di "Union sacrè" elettorale.
Presidente D'Alema, siamo al punto di non ritorno: il Quirinale lancia un serio altolà contro la degenerazione politica, tanto da far ipotizzare ad alcuni ministri un ricorso all'articolo 88 della Costituzione, e quindi lo scioglimento delle Camere. Lei che ne pensa?
"Mi lasci essere prudente su iniziative che vengono attribuite al Capo dello Stato. Ma il solo fatto che circolino ipotesi di questo tipo dimostra quanto sia drammatica la situazione in cui ci troviamo. Ormai siamo in piena emergenza democratica. Non voglio parlare dello scenario morale, che pure è uno dei lasciti più devastanti del berlusconismo come disgregazione dei valori condivisi. Mi riferisco alla crisi politica e istituzionale,
Presidente D'Alema, siamo al punto di non ritorno: il Quirinale lancia un serio altolà contro la degenerazione politica, tanto da far ipotizzare ad alcuni ministri un ricorso all'articolo 88 della Costituzione, e quindi lo scioglimento delle Camere. Lei che ne pensa?
"Mi lasci essere prudente su iniziative che vengono attribuite al Capo dello Stato. Ma il solo fatto che circolino ipotesi di questo tipo dimostra quanto sia drammatica la situazione in cui ci troviamo. Ormai siamo in piena emergenza democratica. Non voglio parlare dello scenario morale, che pure è uno dei lasciti più devastanti del berlusconismo come disgregazione dei valori condivisi. Mi riferisco alla crisi politica e istituzionale,
al conflitto tra i poteri dello Stato innescati da un premier che rifiuta la legge. Questo è il vero fatto eversivo: la legittimazione maggioritaria che si erge contro il principio di legalità. Una situazione insostenibile, che ci ha portato alla paralisi totale delle istituzioni, e persino all'idea pericolosa di fare appello alla piazza contro i magistrati, di cui stavolta tutto si può dire fuorché non abbiano agito sulla base di un'ipotesi accusatoria fondata. La vera anomalia è nel fatto che in tutti i paesi del mondo un leader nelle condizioni di Berlusconi si sarebbe dimesso già da tempo, o sarebbe stato già "dimesso" dal suo partito".
Qui non succede. Il premier si dichiara innocente, e dice che ad andarsene deve essere Fini, invischiato nella vicenda della casa di Montecarlo. Chi ha ragione?
"Trovo paradossale questa campagna contro Fini. Ciò che gli si imputa non ha alcuna rilevanza pubblica e non c'entra nulla con il modo con cui presiede la Camera dei deputati. In realtà le istituzioni sono state trasformate in un campo di battaglia e davvero non vedo, nella maggioranza, senso dello Stato".
Ma è con questa realtà che dovete fare i conti. Come se ne esce?
"Noi abbiamo dato la nostra disponibilità a lanciare una fase costituente con le forze che ci stanno, per aprire una crisi e proporre un governo alternativo. Ma a questo punto, se Berlusconi non prende atto dell'insostenibilità della sua posizione di premier, l'unica soluzione è quella delle elezioni anticipate".
Non avete più paura del voto?
"Non abbiamo mai avuto paura. Era doveroso esperire tutti i tentativi per impedire una fine traumatica della legislatura. Ma ora anche questa fase si sta consumando. Quando Bossi ripete che è ancora possibile fare il federalismo - al di là del merito assai discutibile dei decreti in esame, definiti con sconcertante solennità "federalismo" - esprime una pia illusione: non si accorge che proprio la paralisi creata da Berlusconi è il principale ostacolo per raggiungere lo scopo? Ora vedo che Casini parla di larghe intese come in Germania. E' bello questo riferimento, salvo che al posto della signora Merkel noi abbiamo il presidente Berlusconi, che non è esattamente la stessa cosa. In ogni caso, Casini aggiunge che se le larghe intese non fossero possibili, bisognerebbe andare alle elezioni anticipate. Lo giudico un fatto positivo, che rafforza il mio appello sul voto e sul governo di responsabilità nazionale. Non c'è altra strada. L'idea di ricomporre un centrodestra "europeo", rispettoso dei magistrati e dell'etica pubblica, non è più all'ordine del giorno. In quella metà campo c'è solo un blocco di potere, creato da Berlusconi, e una minoranza fanatica che lo segue sempre e comunque".
"Minoranza", dice lei? L'hanno votato milioni di italiani.
"Le confermo: minoranza. Oggi Pdl e Lega, insieme, sono al 40%. Le forze dell'opposizione rappresentano il restante 60%, cioè la maggioranza degli italiani".
Ma non rappresentano un'alternativa credibile, e dunque votabile. Lo dicono tutti i sondaggi.
"Questo è il punto. L'opposizione appare debole perché finora non ha saputo delineare un progetto alternativo, né contrastare il ricatto del premier che afferra il Paese per la gola e gli dice: o me o il nulla, non esiste alternativa possibile. Per questo propongo di rompere lo schema. Di fronte al conflitto istituzionale permanente e alla paralisi politica, le opposizioni sono chiamate a una forte assunzione di responsabilità. Qui c'è una vera e propria emergenza democratica. Se ne esce solo con un progetto di tipo costituente, che fa coincidere la conclusione del ciclo berlusconiano con la fine di una certa fase del bipolarismo e raduna il vasto schieramento di forze che si oppongono a Berlusconi: presentiamoci agli elettori e chiediamogli di sostenere un governo costituente che abbia tre obiettivi di fondo".
Ce li riassuma. Primo obiettivo?
"Primo obiettivo. Sciogliere il nodo della forma politico-istituzionale del bipolarismo italiano. Siamo in un sistema plebiscitario e populista, costruito intorno a Berlusconi. Dobbiamo finalmente costruire un bipolarismo democratico. Occorre stabilire un nuovo equilibrio. Quale forma di governo vogliamo? Non demonizzo l'ipotesi presidenzialista, sul modello francese. L'importante è ridefinire in un quadro organico il sistema delle garanzie, dei contrappesi, dei conflitti di interesse, dell'informazione. E a tutto questo occorre collegare un modello di legge elettorale coerente, che ci consenta di salvare il bipolarismo, ma rifondandolo su basi nuove. La scelta del modello istituzionale si potrebbe persino affidare ai cittadini. Si potrebbe pensare ad un referendum popolare di indirizzo, per far cominciare davvero la Seconda Repubblica, chiedendo agli italiani di esprimersi: repubblica presidenziale o repubblica parlamentare?".
Gli altri due obiettivi?
"Il secondo è un grande patto sociale per la crescita. Lo sperimentammo sull'euro, e fu il vero successo degli Anni Novanta. Oggi ce n'è altrettanto bisogno. Ma non può essere affidato solo alle parti sociali, nè può essere pagato solo da una delle parti. E questo mi sembra il vero limite dell'accordo Fiat: la modernizzazione solo sulle spalle degli operai. Il nuovo patto deve contenere un'impronta liberale, ma temperata da una forte carica di giustizia sociale e di lotta alle disuguaglianze. Il terzo obiettivo è il funzionamento dello Stato. Lo stesso federalismo, se non è collegato a una vera riforma della Pubblica Amministrazione (e quella di Brunetta non lo è) si riduce a semplice redistribuzione del potere tra le elite".
Ma perché questa idea del governo dell'emergenza dovrebbe funzionare ora, visto che se ne discutete inutilmente da mesi?
"Perché la situazione precipita. La crisi politico-istituzionale, l'accavallarsi delle vicende giudiziarie, la guerra tra i poteri dello Stato. Cos'altro deve succedere, per convincerci della necessità di una svolta?".
Chi è il candidato premier di questo Cln che si presenta alle elezioni anticipate? È vero che lei punta su Casini, per chiudere l'accordo con il Terzo Polo?
"Non punto su nessuno e non spetta a me questa indicazione. Se questa riflessione sarà condivisa, sarà il mio partito con il suo segretario e i suoi organismi dirigenti a compiere le scelte necessarie".
La scelta può cadere anche su un "papa straniero", tipo Draghi o Monti?
"Mi creda, questa è una partita troppo importante per essere giocata nel solito toto-nomi. L'importante è avere chiara la portata della posta in gioco".
Il Pdl è in pieno disfacimento, ma anche il Pd non sta messo bene. Che mi dice del disastro delle primarie a Napoli?
"Intanto a Napoli spero che venga accolto l'appello di Bersani a trovare una soluzione unitaria. Più in generale, mi auguro che questa vicenda ci aiuti a fare una discussione serena e non ideologica. L'ho detto un migliaio di volte, guadagnandomi sul campo l'accusa di "nemico del popolo": ci sarà pure un motivo se gli americani, che le primarie le hanno inventate, hanno un sistema che assicura il voto solo agli iscritti al partito, e non al primo che passa. Se avessimo adottato questo sistema anche noi, oggi sapremmo chi ha votato a Napoli, e non ci troveremmo in questo caos. La democrazia è fatta di regole, altrimenti è pura demagogia. Io non sono contro le primarie. Anzi, le voglio salvare. Ma per salvarle, so che dobbiamo regolarle in un altro modo".
Qui non succede. Il premier si dichiara innocente, e dice che ad andarsene deve essere Fini, invischiato nella vicenda della casa di Montecarlo. Chi ha ragione?
"Trovo paradossale questa campagna contro Fini. Ciò che gli si imputa non ha alcuna rilevanza pubblica e non c'entra nulla con il modo con cui presiede la Camera dei deputati. In realtà le istituzioni sono state trasformate in un campo di battaglia e davvero non vedo, nella maggioranza, senso dello Stato".
Ma è con questa realtà che dovete fare i conti. Come se ne esce?
"Noi abbiamo dato la nostra disponibilità a lanciare una fase costituente con le forze che ci stanno, per aprire una crisi e proporre un governo alternativo. Ma a questo punto, se Berlusconi non prende atto dell'insostenibilità della sua posizione di premier, l'unica soluzione è quella delle elezioni anticipate".
Non avete più paura del voto?
"Non abbiamo mai avuto paura. Era doveroso esperire tutti i tentativi per impedire una fine traumatica della legislatura. Ma ora anche questa fase si sta consumando. Quando Bossi ripete che è ancora possibile fare il federalismo - al di là del merito assai discutibile dei decreti in esame, definiti con sconcertante solennità "federalismo" - esprime una pia illusione: non si accorge che proprio la paralisi creata da Berlusconi è il principale ostacolo per raggiungere lo scopo? Ora vedo che Casini parla di larghe intese come in Germania. E' bello questo riferimento, salvo che al posto della signora Merkel noi abbiamo il presidente Berlusconi, che non è esattamente la stessa cosa. In ogni caso, Casini aggiunge che se le larghe intese non fossero possibili, bisognerebbe andare alle elezioni anticipate. Lo giudico un fatto positivo, che rafforza il mio appello sul voto e sul governo di responsabilità nazionale. Non c'è altra strada. L'idea di ricomporre un centrodestra "europeo", rispettoso dei magistrati e dell'etica pubblica, non è più all'ordine del giorno. In quella metà campo c'è solo un blocco di potere, creato da Berlusconi, e una minoranza fanatica che lo segue sempre e comunque".
"Minoranza", dice lei? L'hanno votato milioni di italiani.
"Le confermo: minoranza. Oggi Pdl e Lega, insieme, sono al 40%. Le forze dell'opposizione rappresentano il restante 60%, cioè la maggioranza degli italiani".
Ma non rappresentano un'alternativa credibile, e dunque votabile. Lo dicono tutti i sondaggi.
"Questo è il punto. L'opposizione appare debole perché finora non ha saputo delineare un progetto alternativo, né contrastare il ricatto del premier che afferra il Paese per la gola e gli dice: o me o il nulla, non esiste alternativa possibile. Per questo propongo di rompere lo schema. Di fronte al conflitto istituzionale permanente e alla paralisi politica, le opposizioni sono chiamate a una forte assunzione di responsabilità. Qui c'è una vera e propria emergenza democratica. Se ne esce solo con un progetto di tipo costituente, che fa coincidere la conclusione del ciclo berlusconiano con la fine di una certa fase del bipolarismo e raduna il vasto schieramento di forze che si oppongono a Berlusconi: presentiamoci agli elettori e chiediamogli di sostenere un governo costituente che abbia tre obiettivi di fondo".
Ce li riassuma. Primo obiettivo?
"Primo obiettivo. Sciogliere il nodo della forma politico-istituzionale del bipolarismo italiano. Siamo in un sistema plebiscitario e populista, costruito intorno a Berlusconi. Dobbiamo finalmente costruire un bipolarismo democratico. Occorre stabilire un nuovo equilibrio. Quale forma di governo vogliamo? Non demonizzo l'ipotesi presidenzialista, sul modello francese. L'importante è ridefinire in un quadro organico il sistema delle garanzie, dei contrappesi, dei conflitti di interesse, dell'informazione. E a tutto questo occorre collegare un modello di legge elettorale coerente, che ci consenta di salvare il bipolarismo, ma rifondandolo su basi nuove. La scelta del modello istituzionale si potrebbe persino affidare ai cittadini. Si potrebbe pensare ad un referendum popolare di indirizzo, per far cominciare davvero la Seconda Repubblica, chiedendo agli italiani di esprimersi: repubblica presidenziale o repubblica parlamentare?".
Gli altri due obiettivi?
"Il secondo è un grande patto sociale per la crescita. Lo sperimentammo sull'euro, e fu il vero successo degli Anni Novanta. Oggi ce n'è altrettanto bisogno. Ma non può essere affidato solo alle parti sociali, nè può essere pagato solo da una delle parti. E questo mi sembra il vero limite dell'accordo Fiat: la modernizzazione solo sulle spalle degli operai. Il nuovo patto deve contenere un'impronta liberale, ma temperata da una forte carica di giustizia sociale e di lotta alle disuguaglianze. Il terzo obiettivo è il funzionamento dello Stato. Lo stesso federalismo, se non è collegato a una vera riforma della Pubblica Amministrazione (e quella di Brunetta non lo è) si riduce a semplice redistribuzione del potere tra le elite".
Ma perché questa idea del governo dell'emergenza dovrebbe funzionare ora, visto che se ne discutete inutilmente da mesi?
"Perché la situazione precipita. La crisi politico-istituzionale, l'accavallarsi delle vicende giudiziarie, la guerra tra i poteri dello Stato. Cos'altro deve succedere, per convincerci della necessità di una svolta?".
Chi è il candidato premier di questo Cln che si presenta alle elezioni anticipate? È vero che lei punta su Casini, per chiudere l'accordo con il Terzo Polo?
"Non punto su nessuno e non spetta a me questa indicazione. Se questa riflessione sarà condivisa, sarà il mio partito con il suo segretario e i suoi organismi dirigenti a compiere le scelte necessarie".
La scelta può cadere anche su un "papa straniero", tipo Draghi o Monti?
"Mi creda, questa è una partita troppo importante per essere giocata nel solito toto-nomi. L'importante è avere chiara la portata della posta in gioco".
Il Pdl è in pieno disfacimento, ma anche il Pd non sta messo bene. Che mi dice del disastro delle primarie a Napoli?
"Intanto a Napoli spero che venga accolto l'appello di Bersani a trovare una soluzione unitaria. Più in generale, mi auguro che questa vicenda ci aiuti a fare una discussione serena e non ideologica. L'ho detto un migliaio di volte, guadagnandomi sul campo l'accusa di "nemico del popolo": ci sarà pure un motivo se gli americani, che le primarie le hanno inventate, hanno un sistema che assicura il voto solo agli iscritti al partito, e non al primo che passa. Se avessimo adottato questo sistema anche noi, oggi sapremmo chi ha votato a Napoli, e non ci troveremmo in questo caos. La democrazia è fatta di regole, altrimenti è pura demagogia. Io non sono contro le primarie. Anzi, le voglio salvare. Ma per salvarle, so che dobbiamo regolarle in un altro modo".
Fonte:Repubblica
sabato 29 gennaio 2011
Democrazia contrattata
di Gian Enrico Rusconi, La Stampa,
Sin tanto che al suo fianco rimangono i Letta, i Tremonti, i Bossi, e la gerarchia ecclesiastica si limita ad ammonire con toni alti ma politicamente elusivi, Berlusconi ce la farà anche questa volta. Al resto penserà una comunicazione mediatica selvaggia, creando nei prossimi giorni grande confusione. Poi c’è la complicità di una classe politica di maggioranza che è terrorizzata dall’idea di «andare a casa». E da ultimo c’è l’invincibile ostilità verso la sinistra di una parte considerevole dell’elettorato che la rende ricettiva della campagna contro la magistratura.
Il destino di Berlusconi non è deciso dalla questione morale, ma dalla concretezza degli interessi in gioco. E questi interessi sono per il mantenimento del Cavaliere a Palazzo Chigi. Ogni altra alternativa fa paura più della sua totale perdita di credibilità. I berlusconiani e i beneficiari del suo sistema di governo non si sentono ancora tanto forti da fare a meno di lui. Soprattutto perché ora lo tengono in pugno. Alzeranno il prezzo del loro sostegno.
Il resto lo farà l’incredibile impotenza dell’opposizione politica, inesorabilmente minoritaria e strutturalmente divisa. Se questo è il quadro politico, ci resta soltanto la vergogna.
Tra qualche settimana si ricomincerà da capo, con il tira e molla del Terzo Polo su come condizionare il governo, con i leghisti che manipoleranno il federalismo in chiave secessionista, con i cattolici preoccupati soltanto del pacchetto dei loro «valori non negoziabili»? Oppure qualcosa è cambiato irreversibilmente?
Un fatto è certo: il governo berlusconiano sopravviverà intensificando la contrattazione con due suoi punti di appoggio indispensabili. Uno interno, la Lega; l’altro esterno, la Chiesa. In un momento in cui il mondo cattolico è turbato e scandalizzato come non mai, in un momento in cui ha la chance di tradurre in politica la sua tanto decantata centralità nella «società civile», la gerarchia ecclesiastica avrà un ruolo oggettivamente ambiguo. Certo, nei prossimi giorni la sua voce si alzerà alta e forte, ma sarà rigorosamente impolitica.
Il paradosso è che la Chiesa si vanterà di svolgere il suo magistero morale senza interferire nella politica. Ma è una finzione. Come se le fortissime pressioni esercitate in questi anni sulla legislazione a proposito delle questioni bioetiche o sulla scuola cattolica non fossero politiche. In realtà presso alcuni influenti esponenti della gerarchia c’è la reticente volontà di mantenere in vita il governo «più compiacente verso la Chiesa», a costo di abbandonare alla frustrazione e all’impotenza quella rilevante parte del mondo cattolico che vorrebbe valorizzare in termini politici efficaci il soprassalto morale e civile di questi giorni. Invece il tutto si tradurrà in qualche nuovo favorevole patteggiamento del governo.
Siamo ridotti ad una democrazia contrattata. Mai come in coincidenza del 150° anniversario della sua fondazione, come Stato unitario, l’Italia appare una «nazione contrattata». Al Nord una Lega nervosa e ricattatrice patteggia, a suon di concessioni fiscali e cedimenti simbolici con un governo debolissimo, per decidere quanta e quale nazione siamo ancora e saremo.
Berlusconi che vuole sopravvivere ad ogni costo (mai espressione è stata più corretta) è magari già disposto a fare di Arcore la seconda residenza ufficiale del governo dopo Palazzo Chigi, pur di essere sempre il premier. Bossi, che sta giocando la carta più difficile della sua carriera, gli ha detto in faccia di «riposarsi». Ci penserà lui a sistemare le cose, ormai da leader virtualmente nazionale: se il suo progetto federalista vuol avere un futuro, deve fare i conti non solo con il Terzo Polo ma con la stessa sinistra.
Rimane l’enigma Tremonti. Il ministro intende piegare la sua politica nazionale di rigore finanziario agli interessi di una parte che non nasconde le sue tentazioni secessioniste? Intende avallare un federalismo come paravento del governo del Nord e dal Nord sull’intera nazione? Chiesa permettendo, naturalmente. Si sta preparando ad una nuova Italia contrattata?
Sin tanto che al suo fianco rimangono i Letta, i Tremonti, i Bossi, e la gerarchia ecclesiastica si limita ad ammonire con toni alti ma politicamente elusivi, Berlusconi ce la farà anche questa volta. Al resto penserà una comunicazione mediatica selvaggia, creando nei prossimi giorni grande confusione. Poi c’è la complicità di una classe politica di maggioranza che è terrorizzata dall’idea di «andare a casa». E da ultimo c’è l’invincibile ostilità verso la sinistra di una parte considerevole dell’elettorato che la rende ricettiva della campagna contro la magistratura.
Il destino di Berlusconi non è deciso dalla questione morale, ma dalla concretezza degli interessi in gioco. E questi interessi sono per il mantenimento del Cavaliere a Palazzo Chigi. Ogni altra alternativa fa paura più della sua totale perdita di credibilità. I berlusconiani e i beneficiari del suo sistema di governo non si sentono ancora tanto forti da fare a meno di lui. Soprattutto perché ora lo tengono in pugno. Alzeranno il prezzo del loro sostegno.
Il resto lo farà l’incredibile impotenza dell’opposizione politica, inesorabilmente minoritaria e strutturalmente divisa. Se questo è il quadro politico, ci resta soltanto la vergogna.
Tra qualche settimana si ricomincerà da capo, con il tira e molla del Terzo Polo su come condizionare il governo, con i leghisti che manipoleranno il federalismo in chiave secessionista, con i cattolici preoccupati soltanto del pacchetto dei loro «valori non negoziabili»? Oppure qualcosa è cambiato irreversibilmente?
Un fatto è certo: il governo berlusconiano sopravviverà intensificando la contrattazione con due suoi punti di appoggio indispensabili. Uno interno, la Lega; l’altro esterno, la Chiesa. In un momento in cui il mondo cattolico è turbato e scandalizzato come non mai, in un momento in cui ha la chance di tradurre in politica la sua tanto decantata centralità nella «società civile», la gerarchia ecclesiastica avrà un ruolo oggettivamente ambiguo. Certo, nei prossimi giorni la sua voce si alzerà alta e forte, ma sarà rigorosamente impolitica.
Il paradosso è che la Chiesa si vanterà di svolgere il suo magistero morale senza interferire nella politica. Ma è una finzione. Come se le fortissime pressioni esercitate in questi anni sulla legislazione a proposito delle questioni bioetiche o sulla scuola cattolica non fossero politiche. In realtà presso alcuni influenti esponenti della gerarchia c’è la reticente volontà di mantenere in vita il governo «più compiacente verso la Chiesa», a costo di abbandonare alla frustrazione e all’impotenza quella rilevante parte del mondo cattolico che vorrebbe valorizzare in termini politici efficaci il soprassalto morale e civile di questi giorni. Invece il tutto si tradurrà in qualche nuovo favorevole patteggiamento del governo.
Siamo ridotti ad una democrazia contrattata. Mai come in coincidenza del 150° anniversario della sua fondazione, come Stato unitario, l’Italia appare una «nazione contrattata». Al Nord una Lega nervosa e ricattatrice patteggia, a suon di concessioni fiscali e cedimenti simbolici con un governo debolissimo, per decidere quanta e quale nazione siamo ancora e saremo.
Berlusconi che vuole sopravvivere ad ogni costo (mai espressione è stata più corretta) è magari già disposto a fare di Arcore la seconda residenza ufficiale del governo dopo Palazzo Chigi, pur di essere sempre il premier. Bossi, che sta giocando la carta più difficile della sua carriera, gli ha detto in faccia di «riposarsi». Ci penserà lui a sistemare le cose, ormai da leader virtualmente nazionale: se il suo progetto federalista vuol avere un futuro, deve fare i conti non solo con il Terzo Polo ma con la stessa sinistra.
Rimane l’enigma Tremonti. Il ministro intende piegare la sua politica nazionale di rigore finanziario agli interessi di una parte che non nasconde le sue tentazioni secessioniste? Intende avallare un federalismo come paravento del governo del Nord e dal Nord sull’intera nazione? Chiesa permettendo, naturalmente. Si sta preparando ad una nuova Italia contrattata?
Il bivio del premier: equilibrio istituzionale o una rischiosa deriva
Portare in piazza la nevrosi istituzionale rischia di essere l'ultimo errore. Finirebbe per certificare una condizione non più solo di malessere, bensì di autentico sfascio generale. Eppure è quello che potrebbe accadere il prossimo 13 febbraio se davvero il Pdl, il partito del presidente del Consiglio, scendesse nelle strade di Milano con il proposito di manifestare contro la procura e contro le inchieste in corso. Soprattutto perchè la volontà di denunciare la «giustizia politica» e chi l'amministra è rivendicata ogni giorno dallo stesso premier in un crescendo inquietante.
Berlusconi ha il diritto di sentirsi perseguitato; forse ha persino ragione nel lamentare l'accanimento nei suoi confronti e l'uso mediatico delle intercettazioni. Ma ha torto nel voler alimentare, da presidente del Consiglio in carica, uno scontro aspro e senza fine con l'ordine giudiziario. Come pure ha torto nel voler aizzare la contrapposizione permanente fra la legittimità popolare (il voto) e la sostanziale illegittimità di una magistratura «eversiva».
L'idea che i seguaci del capo del governo vadano in piazza, con il suo pieno sostegno, a gridare la loro rabbia e la loro frustrazione contro i pubblici ministeri pone la polemica ai confini dello Stato di diritto. E infatti ieri Umberto Bossi è intervenuto di nuovo per frenare la deriva in corso.
Non è la prima volta, come è noto. Nei giorni scorsi il capo della Lega aveva consigliato a Berlusconi di prendersi «un po' di riposo» e ora dice che «bisogna finirla con questa confusione». Non sembra che si tratti di un semplice auspicio. Bossi è il vero partner politico del presidente del Consiglio, da lui dipendono le sorti del governo. Quando consiglia di «abbassare i toni» conviene seguire il suggerimento, tanto più che l'uomo è stato ed è leale a Berlusconi e non ha alcuna intenzione di buttare a mare la coesione del centrodestra.
A questo punto è augurabile che prevalga il buonsenso. Sappiamo che il premier ha da tempo deciso di non chiarire la vicenda di Arcore recandosi a parlare con i magistrati. Dobbiamo attenderci perciò il conflitto di attribuzione presso la Corte Costituzionale e il ricorso al tribunale dei ministri. Tutto questo mentre la procura di Milano insiste per stringere i tempi del processo. E' un incrocio pericoloso che va gestito con moderazione sul piano dei comportamenti politici. Bossi l'ha capito, Berlusconi è assai più incerto.
Lo spirito del combattente gli fa dire che «le tempeste non mi spaventano»; ma al di là delle parole resta il dubbio su quali saranno le scelte dei prossimi giorni. Il premier è davanti a un bivio decisivo: dovrà decidere se assumere con convinzione un profilo istituzionale ovvero trasformarsi in un capo-popolo, con tutti i pericoli connessi. Il suo richiamo al Parlamento e alla maggioranza che più volte ha confermato la fiducia all'esecutivo è sacrosanto: ma naturalmente ne discendono dei doveri, non solo dei diritti.
Va colto nella giornata di ieri anche il riferimento di Casini, a Todi, all'esigenza di dare a questa crisi uno sbocco politico e non giudiziario. Le lacerazioni derivanti da una rimozione di Berlusconi per via giudiziaria, anzichè attraverso un processo politico ed elettorale, sarebbero insondabili. Di sicuro molto gravi per l'equilibrio del paese. E' un punto su cui il ventaglio delle forze politiche d'opposizione non ha ancora espresso un'idea chiara.
Stefano Folli
Fonte :Il sole 24 ore
A Melfi , la pioggia non ferma gli operai. Assente il PD!
Belisario si fa intervistare sotto i vessilli di Italia dei Valori. Sinistra e libertà c¹è per la sua gran parte tra militanti e volti noti: fanno capannello Petrone, Romaniello e Pesacane. C'è pure il segretario del Pdci. La sinistra è unita al fianco dei lavoratori sfruttati dai «maggiordomi di Marchionne», non per questo va d'accordo. Ma almeno è presente. Pesa come un macigno l'assenza del Pd: nel piazzale non se ne vede uno, nemmeno per sbaglio. Ci sono invece gli studenti Unibas e giovani dei movimenti a dire basta. Gli slogan, così come la musica in
sottofondo, sanno un po' dei tempi in cui nessuno si sarebbe mai sognato di dire: «Se vi va bene è questo, sennò chiudo». La parola «ricatto» risuona come un mantra, quasi a convincersi che la linea dell'intransigenza è l¹unica percorribile.
Anche il rappresentante della Cgil nazionale Francesco Martini ci va giù pesante: «Teniamo insieme questo sindacato - dice tra i musi lunghi - E' ovvio che se il governo e i padroni andranno avanti su questa linea si andrà verso lo sciopero generale. Ma facciamo uscire la Cgil unita». Fosse facile. Qualche delegato aziendale si cuce la bocca e rinuncia a intervenire per evitare di dire cosa ne pensa realmente del profilo basso della Cgil. Si punta all'unità, ma gli attriti sono evidenti. E' la parola sciopero quella che l¹uditorio vuole sentire, per capirlo basta leggere anche solo uno delle decine di volantini che vengono fatti girare di mano in mano. Quando però la Cgil sembra essersi avvicinata al clima della piazza, ecco che però la Fiom continua ad alzare i toni: «Marchionne è un personaggio eversivo» tuona Sabina Petucci, delegata nazionale dell'area
più oltranzista. Del resto come chiamare uno che «non rispetta la Costituzione, fa saltare i tavoli» e giustifica le perdite di mercato con l'assenteismo dei lavoratori. «Quale piano di sviluppo ha in mente l'azienda?», continua la sindacalista. La risposta si legge agevolmente sui giornali, dove intanto è uscita la notizia che il 'capo' ha intenzione di comprare il 51% della Chrysler. Resta da capire cosa cambierà a Melfi nel momento in cui l¹accordo di Mirafiori si riverserà anche sullo stabilimento lucano. «La verità è che qui non hanno capito ancora che la cancellazione dei diritti sdoganata a Mirafiori toccherà anche questa fabbrica», si mormora ai piedi del furgoncino. «Si passa a 18 turni, ci toccherà lavorare 6 mesi senza pause, avremo 120 ore di straordinario obbligatorio e se da gennaio a giugno superiamo il 4% di assenteismo non ci pagheranno i primi giorni di malattia. E soprattutto «se ti iscrivi a un sindacato diverso ti metti contro i padroni».
Rosamaria Aquino
Fonte : Il quotidiano
Ora il Cavaliere si gioca la carta del rimpasto.
Dodici posti vacanti, e anche Bondi potrebbe rientrare nel partito
UGO MAGRI
ROMA
Il grande Gaber che cantava «far finta di essere sani» torna in mente quando si ascoltano i piani di riscossa berlusconiana. Il Cavaliere vuole far credere che nulla è perduto, si procede esattamente com’era deciso allargando la maggioranza, riformando la giustizia, esorcizzando la crisi. I suoi discorsi privati non si scostano di una virgola dagli sfoghi pubblici, l’ultimo ieri col video-messaggio anticipato qualche ora prima in Consiglio dei ministri. Con Berlusconi che intorno al tavolo ovale prende subito la parola e, tra sguardi interdetti, giura: tutto procede al meglio, «abbiamo vinto in Parlamento 7 volte consecutive». Il governo scoppia, ma di salute.
Nessun accenno di autocritica, un vero panzer. «Procede a tutto vapore», tenta di stargli dietro Bonaiuti. E Ruby, come la spiega agli intimi? Anche con loro il Cavaliere sbraita: «E’ tutto un complotto, solo una montatura». Quando l’altra sera un gerarca ha buttato lì che forse la Chiesa meriterebbe qualche cenno di attenzione, magari la promessa di stare più attento in futuro, non l’avesse mai detto! Silvio s’è irrigidito con occhi furenti: «Io non ho nulla da rimproverarmi, le mie cene sono sempre molto eleganti». Nessuno ha insistito più.
Ora ha in mente di cominciare con il rimpasto. I posti vacanti sono 12, alcuni di molto peso: 2 ministri, 3 vice ministri, 7 sottosegretari. Vuole usare le poltrone per acchiappare qualche altro deputato. Però deve procedere con cautela. Se decidesse di assegnare le caselle tutte in una volta, soddisferebbe certi appetiti, senza dubbio, però scatenerebbe l’ira degli esclusi, e ciò non gli conviene. Per cui farà solo qualche nomina, in modo da mostrare che dà le carte e scatenare dunque una specie di riffa per le poltrone rimaste. Già la prossima settimana potrebbe premiare la Destra di Storace con un posto da sottosegretario per Musumeci, cosicché tanti altri aspiranti (lui conosce l’animo umano) non tarderanno a mostrarsi. Nel frattempo forse si chiarirà la sorte di Bondi, che resta dubitoso sul proprio futuro, medita di tornare al partito. Nel qual caso si libererebbe una cadrega in più da mettere all’asta.
C’è chi studia proposte ambiziose, e lui le incoraggia: dal ritorno all’immunità parlamentare, alle primarie obbligatorie per legge (un modo per far scoppiare le contraddizioni nella sinistra, povero Bersani). Altri vellicano gli istinti del Capo suggerendo bagni di folla che poi però abortiscono, tipo la manifestazione del 13 febbraio a Milano: cento pullman da riempire in quattro e quattr’otto, salvo contrordine perché le manifestazioni contro i pm a favore della Minetti non piacciono al Colle, tantomeno a Bossi (i suoi in piazza non ce li porta sicuro).
Viene in mente Gaber poiché i primi a non credere nella propaganda sono proprio i berlusconiani. Quelli ai posti di comando. Compresi ministri di rango. Si adeguano ai voleri del Capo, nessuno certo lo tradirà, quantomeno adesso.
Non c’è un 25 luglio dietro l’angolo, con l’arresto di Mussolini. Però aleggia lo stesso disfattismo, la stessa sensazione di una guerra perduta. «Per ora piove forte, anzi diluvia», è l’opinione di molti, «ma tra poco arriverà la grandine». Foto. Intercettazioni. Dio non voglia, retate. Si salvi chi può. E «in quelle condizioni al voto non potremo di certo andare». Il fantasma del governo senza Berlusconi torna a volteggiare. Mentre l’astuto Casini, guarda un po’, torna a difendere la dignità della politica contro le invasioni di campo dei pm: una scialuppa per chi si vorrà salvare.
Il grande Gaber che cantava «far finta di essere sani» torna in mente quando si ascoltano i piani di riscossa berlusconiana. Il Cavaliere vuole far credere che nulla è perduto, si procede esattamente com’era deciso allargando la maggioranza, riformando la giustizia, esorcizzando la crisi. I suoi discorsi privati non si scostano di una virgola dagli sfoghi pubblici, l’ultimo ieri col video-messaggio anticipato qualche ora prima in Consiglio dei ministri. Con Berlusconi che intorno al tavolo ovale prende subito la parola e, tra sguardi interdetti, giura: tutto procede al meglio, «abbiamo vinto in Parlamento 7 volte consecutive». Il governo scoppia, ma di salute.
Nessun accenno di autocritica, un vero panzer. «Procede a tutto vapore», tenta di stargli dietro Bonaiuti. E Ruby, come la spiega agli intimi? Anche con loro il Cavaliere sbraita: «E’ tutto un complotto, solo una montatura». Quando l’altra sera un gerarca ha buttato lì che forse la Chiesa meriterebbe qualche cenno di attenzione, magari la promessa di stare più attento in futuro, non l’avesse mai detto! Silvio s’è irrigidito con occhi furenti: «Io non ho nulla da rimproverarmi, le mie cene sono sempre molto eleganti». Nessuno ha insistito più.
Ora ha in mente di cominciare con il rimpasto. I posti vacanti sono 12, alcuni di molto peso: 2 ministri, 3 vice ministri, 7 sottosegretari. Vuole usare le poltrone per acchiappare qualche altro deputato. Però deve procedere con cautela. Se decidesse di assegnare le caselle tutte in una volta, soddisferebbe certi appetiti, senza dubbio, però scatenerebbe l’ira degli esclusi, e ciò non gli conviene. Per cui farà solo qualche nomina, in modo da mostrare che dà le carte e scatenare dunque una specie di riffa per le poltrone rimaste. Già la prossima settimana potrebbe premiare la Destra di Storace con un posto da sottosegretario per Musumeci, cosicché tanti altri aspiranti (lui conosce l’animo umano) non tarderanno a mostrarsi. Nel frattempo forse si chiarirà la sorte di Bondi, che resta dubitoso sul proprio futuro, medita di tornare al partito. Nel qual caso si libererebbe una cadrega in più da mettere all’asta.
C’è chi studia proposte ambiziose, e lui le incoraggia: dal ritorno all’immunità parlamentare, alle primarie obbligatorie per legge (un modo per far scoppiare le contraddizioni nella sinistra, povero Bersani). Altri vellicano gli istinti del Capo suggerendo bagni di folla che poi però abortiscono, tipo la manifestazione del 13 febbraio a Milano: cento pullman da riempire in quattro e quattr’otto, salvo contrordine perché le manifestazioni contro i pm a favore della Minetti non piacciono al Colle, tantomeno a Bossi (i suoi in piazza non ce li porta sicuro).
Viene in mente Gaber poiché i primi a non credere nella propaganda sono proprio i berlusconiani. Quelli ai posti di comando. Compresi ministri di rango. Si adeguano ai voleri del Capo, nessuno certo lo tradirà, quantomeno adesso.
Non c’è un 25 luglio dietro l’angolo, con l’arresto di Mussolini. Però aleggia lo stesso disfattismo, la stessa sensazione di una guerra perduta. «Per ora piove forte, anzi diluvia», è l’opinione di molti, «ma tra poco arriverà la grandine». Foto. Intercettazioni. Dio non voglia, retate. Si salvi chi può. E «in quelle condizioni al voto non potremo di certo andare». Il fantasma del governo senza Berlusconi torna a volteggiare. Mentre l’astuto Casini, guarda un po’, torna a difendere la dignità della politica contro le invasioni di campo dei pm: una scialuppa per chi si vorrà salvare.
Fonte:La Stampa
Le false promesse del nucleare
Un’intensa campagna pubblicitaria, fintamente imparziale, cerca di indurre da qualche settimana nelle teste dei cittadini l’idea che sia ora di tornare all’energia nucleare. Gli italiani si erano peraltro espressi, in assoluta maggioranza, contro già nel 1987, e hanno sempre ribadito, nei sondaggi, la loro generale contrarietà all’atomo. Oggi si cerca di far pensare che il contesto sia cambiato, che è giusto cambiare idea e che Cernobil è ormai lontana. All’interno di un auspicato dibattito di idee il cui risultato, però, sembra già scritto: i tempi sono maturi perché l’Italia abbracci questa forma di energia. Nessuno di questi presupposti è, però, purtroppo vero. Purtroppo, perché chi non vorrebbe una forma di energia potentissima (un kg di uranio arricchito fornisce tutta l’energia di cui un italiano ha bisogno nella sua intera vita), sicura, priva di inquinanti o di emissioni clima-alteranti e magari inesauribile e a buon mercato?
Il contesto non è cambiato rispetto a 25 anni fa, anzi, semmai è peggiorato rispetto alla scelta atomica. La tecnologia è ancora sostanzialmente quella, figlia del lavoro di Fermi negli Anni Quaranta: non esistono impianti nucleari di quarta generazione. È come se, entrando in un negozio di elettrodomestici, chiedeste una radio a valvole. I miglioramenti non hanno impedito incidenti come quello di Tokaimura (Giappone 1999), né che i reattori francesi siano spesso arrestati per problemi. L’Italia dipende forse di più oggi dall’estero per i combustibili fossili, ma l’uranio non evita questa dipendenza, semmai l’accentua, visto che non ne abbiamo nel sottosuolo patrio e che le riserve mondiali sono valutate in 5 miliardi di tonnellate, che basteranno, forse, per ancora mezzo secolo (se non si costruiscono nuovi impianti, altrimenti le scorte si riducono di conseguenza, tanto che si rischia di costruire impianti che non avranno più combustibile, vista la vita media di oltre 40 anni).
I costi sono addirittura, in proporzione, aumentati: una centrale necessita di 8-9 miliardi di euro (stima Areva, che costruisce i reattori Epr) che non si capisce bene quale investitore privato possa mettere in campo. Secondo il Mit il costo medio del capitale nucleare è superiore (10%) a quello delle altre fonti energetiche (7,8%). E secondo Moody’s il prezzo medio dell’energia nucleare è più elevato del gas (+26%), ma anche dell’eolico (+21%), arrivando alla media, per MWh, di 151 dollari. In realtà noi sapremmo quanto costa esattamente 1 kWh prodotto per via atomica solo quando il primo kg di uranio della prima centrale nucleare al mondo sarà reso innocuo. Cioè più o meno fra 30.000 anni. Sono le spese di smantellamento e di inertizzazione delle centrali e delle scorie, le «esternalità» nucleari, del tutto comparabili a quelle del petrolio o del carbone: costi sociali che pagano sempre i cittadini in termini di sanità e benessere.
Il problema delle scorie è irrisolto: non esiste al mondo nemmeno un sito definitivo per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi. Pensare che un giorno sarà disponibile una tecnologia adatta significa addossare alle prossime generazioni un fardello che nessuno ha il diritto di affibbiare. Non si sa poi bene dove costruire la prossima centrale in un Paese che è sismico, soggetto a rischio idrogeologico e vulcanico, densamente popolato e quasi privo di pianure e di grandi corsi d’acqua. Una nuova centrale Epr necessita di oltre 65 metri cubi al secondo di acqua e non si sa nemmeno se il Po possa sostentarla in eventuali periodi di secca. Resta il mare, con tutti i problemi di inurbamento residenziale che si possono immaginare.
Il ricorso al nucleare è una scelta di grossi gruppi industriali supportati dalle banche d’affari, che non tiene in nessun conto l’ambiente e le esigenze dei cittadini (in Italia la gran parte dei comuni si è dichiarata denuclearizzata). Certo, è lecito fare i soldi sul nucleare, ma li si fanno anche sulle mine antiuomo o sulle armi senza che ciò susciti cori d’entusiasmo. Efficienza energetica nella produzione e negli usi finali dell’energia, migliore coibentazione di case e palazzi (1/3 dei consumi totali, che può essere ridotto del 50-70% senza perdite di benessere, ma solo costruendo meglio e isolando termicamente), eliminazione degli sprechi, risparmio energetico, decentramento: questi sono i comandamenti da seguire oggi. Aspettando magari un nucleare senza scorie o l’idrogeno che verrà.
Da "Micromega"
Usura: Sos impresa Basilicata, nuovo campanello d'allarme
In aumento i fenomeni di 'sofferenza' per le famiglie lucane
29 gennaio, 09:18
(ANSA) - POTENZA, 29 GEN - Il Rapporto Eurispes 2011 sull'usura ''conferma che in Basilicata, in un contesto socio-economico di difficolta', come e' quello attuale, i fenomeni di 'sofferenza' delle famiglie tendono ad aumentare spingendo un numero elevato di lucani nelle mani dei 'cravattari''. Lo ha detto, in una nota, il presidente di ''Sos impresa Basilicata'' della Confesercenti, Salvatore Groia, sottolineando che ''l'indice di rischio usura attribuito alla Basilicata e' pari a 79,9 (l'indice oscilla in Italia da un minimo di 60 ad un massimo di 90)''. (ANSA).
Centrale Mercure, l'Ola su decisone Tar Calabria
29/01/2011 10:05
BAS"La Ola, Organizzazione Lucana Ambientalista - si legge in un comunicato - ha appreso che il Tar della Calabria ha giudicato corretto l’operato della ” Regione Calabria per la riattivazione della centrale del Mercure di Borgo Laino (Cosenza)”. In proposito la Ola chiede che l’Ente Parco del Pollino, la Regione Basilicata ed i Comuni di Rotonda e Viggianello ricorrano al Consiglio di Stato contro la decisione assunta dal Tar della Calabria che ha respinto le istanze di sospensiva del decreto del 13 settembre scorso emesso dal settore politiche energetiche del dipartimento attivita’ produttive della Regione, relativo alla modifica dell’autorizzazione alla riattivazione della centrale. Le istanze erano state proposte dal Parco Nazionale del Pollino, dalla Regione Basilicata e dai comuni di Rotonda e Viggianello (Potenza)".
"La Ola - conlcude il comunicato - auspica che riprenda la mobilitazione delle comunità per scongiurare la riapertura della centrale del Mercure ed invita la Regione Calabria a ritornare sui propri passi con la revoca del provvedimento oggetto della sentenza del Tar Calabria che oltre a penalizzare e danneggiare le popolazioni della Valle del Mercure Pollino costituisce il lascia passare ad ENEL di disporre a proprio piacimento e per mero interesse economico delle risorse naturali del Pollino".
"La Ola - conlcude il comunicato - auspica che riprenda la mobilitazione delle comunità per scongiurare la riapertura della centrale del Mercure ed invita la Regione Calabria a ritornare sui propri passi con la revoca del provvedimento oggetto della sentenza del Tar Calabria che oltre a penalizzare e danneggiare le popolazioni della Valle del Mercure Pollino costituisce il lascia passare ad ENEL di disporre a proprio piacimento e per mero interesse economico delle risorse naturali del Pollino".
venerdì 28 gennaio 2011
A lezione di crisi. Da sinistra
Parte a Roma un ciclo di seminari su “la crisi vista da sinistra”. A partire dal 27 gennaio, ogni giovedí alle 18 presso l’Associazione “Forum Terzo Millennio” professori e ricercatori critici del pensiero neo-liberista dominante presenteranno la propria visione sulla crisi economica e sulle politiche possibili per uscirne. [1]
I seminari sono rivolti a non esperti di economia e vogliono in primo luogo informare i/le cittadini/e che l’economia, come ogni altra scienza, é un luogo di dibattito - ben lungi dal possedere verità conclamate. Il tentativo di esponenti e partiti politici di farla invece apparire come il tempio dell’unica Verità (quella liberista) sono una deformazione che si cura con l’informazione. Gli economisti che interverranno avranno opinioni diverse dalla Verità, ma anche tra loro, proprio a rimarcare come nell’accademia il dibattito sia in corso, e se nella società non é ancora partito vuol dire che abbiamo un problema. Anche a sinistra.
Infatti, col sopraggiungere della crisi molti pensavano che un certo spostamento elettorale avrebbe preso corpo in direzione della sinistra progressista. Ciò é avvenuto negli Stati Uniti (con le presidenziali), in Giappone e in Australia, ma non in Europa. La mia opinione é che questa discrepanza sia la conseguenza non di particolari meriti della destra, ma del fatto che la sinistra europea (più che altrove) é stata presa di soppiatto nel mezzo di un processo inverso: in cui il Labour britannico, la SPD tedesca e il Pd italiano avevano abbandonato i lidi socialdemocratici per spostarsi su posizioni più tipicamente liberali e a volte anche conservatrici. [2]
Ciò é dovuto a considerazioni politico-elettorali ma anche ad un processo culturale che sempre più ha visto emergere la tesi nuovista, che riassumerei cosí: ignorare i conflitti sociali, assumendo che non esistano e proclamando l’ “alleanza tra produttori”; dichiarare la globalizzazione un fenomeno nuovo, che le “vecchie” ideologie non sono in grado di comprendere; comprimere il ruolo del settore pubblico e potenziare quello del mercato (spesso fingendo di vedere che il mercato é cosa diversa dalla concorrenza, e che solo quest’ultima produce effetti benefici, secondo la teoria economica); orientare il dibattito e la percezione di problemi sociali quali la povertà, la precarietà, la disoccupazione, presentandoli come problemi individuali.
Questo approccio neo-liberista si presenta come un superamento delle divisioni ideologiche, ma é tale solo in quanto sostituisce il dibattito con un’unica nuova ideologia, che non accetta di confrontarsi alla pari con altre possibili. Non servirà ricordare ai lettori di questo sito come dell’efficacia della maggior parte delle ricette neo-liberiste non vi sia alcun riscontro empirico. Ad esempio, l’idea che comprimendo i diritti dei lavoratori si abbia più crescita economica è un atto di pura fede. La crisi potrebbe mettere in discussione questa fede, se non altro mostrando che il mercato é un meccanismo molto fragile, specie se lasciato a regolarsi da solo.
Per chiarire meglio quest’ultimo passaggio, conviene entrare un po’ nei dettagli (semplificando molto, mi scuseranno gli specialisti). Tutto parte dagli Stati Uniti, dove a un certo punto diventa chiaro che c’é un numero eccessivo di mutui immobiliari cui i rispettivi debitori (proprietari di casa) non sono assolutamente in grado di far fronte. Sono i mutui subprime, concessi spesso dopo una sbrigativa e sommaria istruttoria a soggetti che non potevano dare garanzie adeguate. Le banche li hanno finanziati principalmente con l’obiettivo di liberarsi immediatamente dopo di questo rischio, rivendendo questi mutui sul mercato.
Nel 2008 le banche scoprono che il pianeta Terra non può vendere i suoi rischi al Pianeta Marte [3], l’opacità dei titoli finanziari sempre più incomprensibili diventa un problema e gli speculatori cominciano a chiedersi quale banca sia messa peggio. Immediatamente nessuno si fida più di nessuno, e nessuno presta più a nessuno: é l’inizio del crollo dei mercati, cui le banche centrali faranno fronte stampando (e prestando alle banche) quantità enormi di denaro, e che ciononostante ha generato una caduta del credito alle imprese, diventando cosí crisi economica. La crisi economica di alcuni Paesi si ripercuote sugli altri tramite il crollo delle esportazioni, ed arriviamo allo scenario attuale: la guerra delle valute straniere e l’esplosione dei debiti pubblici nel tentativo di salvare il salvabile.
Ma come si é arrivati a ciò? Nei seminari, verrà mostrato che gli economisti “eterodossi” hanno proposto almeno tre ordini di spiegazioni:
1. le liberalizzazioni e la de-regolamentazione, soprattutto dei mercati finanziari, nella convinzione che il mercato si regoli da sé. Come é stato subito evidente, i mercati spontaneamente generano invece tendenze alla monopolizzazione, alla “cattura” del potere politico per fini di parte, e conflitti d’interesse di dimensioni bibliche (ad esempio quello delle agenzie di rating, che dichiaravano i mutui subprime degli ottimi titoli, consigliabili ad esempio per investire la propria pensione). Questa spiegazione, caldeggiata da Galbraith e gli istituzionalisti americani, é parzialmente condivisa anche da economisti e istituzioni più tradizionaliste. [4]
2. l’ipotesi di fragilità di Minsky. Secondo l’ormai noto economista americano, in tempi di relativa tranquillità (come il ventennio precedente la crisi) gli operatori economici accumulano sempre più rischi: come nel caso attuale hanno fatto le famiglie, che hanno contratto mutui aspettandosi di ripagarli tramite il guadagno derivante dalla vendita della casa stessa (aspettandosi un costante incremento dei prezzi), e le banche che glielo hanno permesso. Questo livello crescente dei rischi rende il sistema economico sempre più “fragile”, finché é sufficiente qualche piccolo incidente per rendere alcuni operatori insolventi, che a loro volta “travolgono” i loro creditori nelle difficoltà finanziarie, e il sistema economico in cui tutti sono collegati da rapporti di debito e credito diventa simile a un castello di carte.
3. gli squilibri macroeconomici, interni ed internazionali. Questa spiegazione, avanzata da economisti quali Godley e in Italia Sylos Labini, denuncia l’impetuosa crescita dei debiti privati e di quelli con l’estero, in alcuni Paesi saliti a livelli insostenibili mentre le autorità si sperticavano nel denunciare la molto minore crescita dei debiti pubblici. A loro volta, gli economisti che sostengono questa tesi si dividono sulle cause di tali squilibri: dall’esistenza di Paesi (come la Germania e la Cina) che pretendono di vendere senza mai comprare, prestando il denaro necessario ai loro stessi clienti, alle menzionate pratiche speculative di famiglie e banche americane.
Queste spiegazioni (ed altre se ne potrebbero elencare) non sono mutuamente esclusive, ed anzi sono facilmente integrabili. Ciò che condividono, é il fatto che - per quanto realistiche - si tratta di ipotesi neanche minimamente immaginabili nel mondo perfetto sognato da politici ed economisti neo-liberisti. Ciò che li divide, é l’enfasi su aspetti diversi delle complesse economie moderne. Mentre politiche più o meno neo-liberiste vengono da anni ormai presentate come inevitabili e necessarie, osteggiate solo da utopisti e conservatori mentre “l’Europa ce lo impone”, é tempo di avviare finalmente un dibattito approfondito, in cui invece di giudicare i sindacati per le loro valutazioni qualcuno spieghi ai lavoratori come e perché ha appoggiato politiche che ne hanno messo a rischio il posto di lavoro, e qual é la strada per uscire oggi dalla peggiore crisi dell’ultimo secolo o quasi.
Speriamo con i seminari di dare un contributo alla partenza di un tale dibattito, almeno dentro la sinistra, e invitiamo tutti i lettori a Roma a prenderne parte.
NOTE
[1] Registrazioni di tutti i seminari saranno rese disponibili online sul sito www.labouratorio.it
[2] Utilizzo qui una terminologia accademica, ma ormai resa arcaica dall’inversione terminologica (che vale solo in Italia) per cui riforme “progressiste” sono quelle che aumentano il ruolo del mercato nella società, e posizioni “conservatrici” sono quelle della sinistra più radicale, fino ad arrivare a sostenere che “il liberismo é di sinistra” (Alesina e Giavazzi). Al di là del contenuto politico di tali posizioni, la chiarezza terminologica appare un requisito fondamentale di un dibattito sano. Per questo come in tutte le scienze sociali tenderò a definire “progressiste” o di sinistra le posizioni che favoriscono redistribuzione e mobilità del reddito, e “conservatrici” o di destra le posizioni che tendono a perpetuare l’attuale distribuzione di reddito, potere, status (ovviamente mi riferisco a Norberto Bobbio (1994), Destra e Sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Donzelli Editore, Roma).
[3] Per essere più precisi, banche e istituzioni finanziarie si sono vicendevolmente vendute prodotti rischiosi, o spesso li hanno tenuti “in casa”, vendendoli fittiziamente a delle società di loro proprietà (le special purpose entities, SPE o SPV). Avrebbero dovuto accumulare delle riserve di capitale per far fronte all’eventualità che questi rischi divenissero perdite, cose che avrebbe reso meno redditizio e quindi molto limitato questo tipo di business, ma hanno sfruttato falle nella (de)regolamentazione e nella sorveglianza, sostenendo che queste società non erano soggette alle più strette normative sulle banche.
[4] Si consideri per esempio l’articolo dal titolo significativo “A crisis of confidence... and a lot more” pubblicato sul volume di giugno 2008 della rivista Finance & Development dell’Fondo Monetario Internazionale: http://www.imf.org/external/pubs/ft/fandd/2008/06/kodres.htm
Il calendario delle prossime date:
3/2 Sergio Cesaratto: "La crisi dell'Europa"
10/2 Emiliano Brancaccio: "La lettera degli economisti"
17/2 Alessandro Roncaglia: "Le origini culturali della crisi"
24/2 Paolo Borioni: "Welfare, salari, riformismo socialista"
3/3 Gennaro Zezza: "Gli squilibri internazionali"
(28 gennaio 2011)
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