martedì 11 ottobre 2011

Il quadro politico attuale, visto e analizzato da uno storico leader democristiano.

Politica
11/10/2011 - IL GOVERNO SCENARI DI CRISI

De Mita: gli ex Dc del Pdl aprono un processo, ora un governo costituente

L'ex presidente del Consiglio Ciriaco De Mita

Lo storico leader: miope
credere che cerchino posti
Il punto è prendere atto
che il bipolarismo è finito

di MARCELLO SORGI , dalla " Stampa"

Al telefono, il lettore che protesta è Ciriaco De Mita: «Sono rimasto veramente sconcertato a leggere il suo articolo...».

Perché? Non si possono più criticare i democristiani?
«Lei ha scritto che non c’è niente da fare e bisogna tenersi Berlusconi».

No, è diverso. Ho scommesso che l’approdo delle manovre dei suoi colleghi dc sarà di allungare la vita al governo. «E questa, secondo lei, sarebbe una buona ragione per rinunciare? La politica, secondo lei, deve dunque ridursi alla contemplazione dell’esistente?».

La politica speriamo di no. Ma è un fatto che dal 14 dicembre in poi tutti i tentativi di far cadere Berlusconi, compresi quelli dei democristiani, abbiano ottenuto l’effetto contrario. «E se uno rafforza il suo governo praticando la corruzione e comperandosi i voti dei parlamentari, questa è o no una sconfitta della politica?».

Lo è di certo. Ma non stiamo parlando di politica in generale, parliamo di Pisanu, Scajola e della resurrezione annunciata della Dc. Ammetterà che la Democrazia cristiana non era fatta solo di De Gasperi, Fanfani, Moro e De Mita. «Cosa c’entra, che vuol dire?».

Vuol dire che se Pisanu e Scajola alla fine si accordano in cambio di qualche posto nell’ufficio politico del Pdl o della promessa di ricandidatura per alcuni dei loro, la Dc, o se preferisce i dc, non ci fanno una bella figura. «E lei pensa che andrà così?».

Non è detto, ma il dubbio esiste. Andreotti non diceva che a pensar male si fa peccato ma non si sbaglia? «E’ lei a sbagliarsi. La politica è una cosa diversa. La politica, come diceva Moro, è guardare oltre l’orizzonte, cercare l’ignoto...».

On. De Mita, ammetterà che si fa una certa fatica a immaginare Pisanu e Scajola intenti a cercare l’ignoto. «Lei si ostina a non capire. O ha un pregiudizio, o una vera difficoltà. E quanto a Pisanu e Scajola, anche se nella Dc giocavano in quarta e in settima categoria, se con la loro azione concorrono a sviluppare un processo...».

Alt! Qui, mi scusi, ma devo fermarla, perché sento l’eco di certi discorsi fumosi così tipicamente democristiani. Se è convinto che i suoi amici dc siano in grado di pensionare Berlusconi, lo spieghi.
«Io sono tra quelli che ritengono che così non si possa andare avanti. La novità è che a pensarla in questo modo non è solo la maggioranza del Paese, ma anche la maggior parte del Parlamento, e arrivo a dirle del centrodestra. E’ venuto il momento di muoversi. E soprattutto, di muoversi senza cercare scorciatoie».

Di che tipo? «Mi riferisco al referendum e all’idea che la soluzione dei nostri mali possa essere il ritorno al Mattarellum e al bipolarismo forzato che s’è visto dove ci ha portato. Se l’alternativa è rappresentata dall’alleanza tra Bersani, Vendola e Di Pietro, questo sì, rischia di essere un modo per tenere in piedi Berlusconi all’infinito».

E invece, secondo lei?
«Occorre prendere atto che un’intera fase, e non solo il berlusconismo, s’è esaurita. E promuovere al più presto una fase costituente, accompagnata da un governo costituente, ma non per cambiare le regole, piuttosto per recuperarle».

On. De Mita, non voglio contraddirla, perché in materia di Grande Riforma lei è un’autorità. Ma ha visto che fine hanno fatto tutti i tentativi recenti, compreso il suo, di metter mano alle riforme costituzionali? «Le riforme fatte da una parte sola non funzionano. Questa è la lezione degli ultimi anni. Le riforme con il bipolarismo, o non si fanno, o si fanno male. Le regole si scrivono, o si riscrivono, tutti insieme. E un governo costituente, appoggiato da tutti o quasi tutti, dovrebbe avere proprio questa funzione: mentre impone i sacrifici necessari per uscire dalla crisi economica, e lo fa nell’unico modo possibile, cioè distribuendo le responsabilità ed evitando lo scaricabarile, potrebbe cominciare da una nuova legge elettorale. Una legge non scritta nell’interesse di uno o dell’altro. Una legge, per essere chiari, che non serva a sapere prima chi vince e chi perde».

In altre parole, un ritorno al proporzionale che cancelli il bipolarismo e consenta a voi dc di rimettervi al centro. Non è questo che dice?
«Non lo dico solo io. Lo dice la realtà: guardi a che punto siamo arrivati. Capisco che sia difficile ammetterlo per tutti quelli, la sinistra, i giornali, lei stesso, che hanno applaudito alla caduta della Prima Repubblica e inneggiato alla Seconda. Ma è così. Non c’è altra soluzione. Occorre favorire una ricomposizione del quadro politico in cui ciascuno, compresi i cattolici che non puntano certo all’egemonia, ridefinisca le proprie posizioni. D’Alema ha detto qualche giorno fa che il socialismo e la socialdemocrazia hanno fatto il loro tempo. Bene: è lecito sapere dove, con quali valori e alleata con chi la sinistra intende concretizzare il proprio riformismo? Ed è possibile conoscere programmi che non siano meri elenchi di cose da fare, irrealizzabili alla prova dei fatti?».

E Berlusconi? «I risultati dei suoi governi sono sotto gli occhi di tutti. Ma nella ricomposizione del quadro ci sarà spazio ovviamente anche per la destra».

Ma lei crede davvero che sepolta la Seconda, si possa tranquillamente tornare alla Prima Repubblica dei partiti e della partitocrazia, delle preferenze, dei governi intercambiabili? L’Italia resterebbe l’unico Paese in Europa in cui gli elettori non possono scegliere il premier né promuovere l’alternanza tra schieramenti diversi. «Non è vero. In Italia l’alternativa c’era anche ai tempi della Prima Repubblica. Se i comunisti non sono mai riusciti ad andare al governo è dipeso da loro».

Questa è grossa. Ma non c’era il «fattore K», la «cortina di ferro», il Muro di Berlino e insomma l’impossibilità di vedere la sinistra al governo in questa parte del mondo? «Non dico di no. Ma Togliatti, che era un grande leader, tra fare la rivoluzione e portare l’Italia a finire come la Grecia, e rafforzare il suo partito per concorrere, anche dall’opposizione, al processo democratico, scelse la seconda strada. Questo è un fatto. E altrettanto lo è che per tanti anni il Pci non è mai riuscito a trovare gli alleati per formare una maggioranza in Parlamento».

Almeno ci ha fatto capire, on. De Mita, a cosa punta il progetto di tornare alla Dc. Ma alla fine, non crede che la vostra ricetta sia ormai superata dalla storia? «Si sbaglia, lo vedrà. Sono la Seconda Repubblica e il bipolarismo ad essere ormai travolti dalla loro inconsistenza. E quanto alla storia, le voglio raccontare un episodio. Quando, tanti anni fa, andai a Mosca come presidente del Consiglio ad incontrarlo, Gorbaciov mi chiese: come avete fatto? Qual è il vostro modello? Risposi: non ne abbiamo. Ci siamo mossi azionando la leva della crescita e quella della redistribuzione, con un minimo di solidarietà. E a lei dico: se ci sono dei problemi, oggi, mi creda, è perché ha funzionato troppo bene».

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