sabato 29 ottobre 2011

Avvocati senza cause ...


IL SOGNO E LA REALTA' di SARAH MARTINENGHI
Avvocati senza causa e alternative
quei 30enni da mille euro al mese

I più si iscrivono all'università inseguendo un immaginario fatto anche di benessere, che spesso non coincide con la realtà. Nonostante solo il 35 per cento dei laureati superi il test ogni anno si iscrivono all´albo 400 nuovi professionisti. Tutti a mille euro al mese e senza previdenza. L´Ordine ha istituito una commissione che si prende cura degli under 40, offrendo informazioni e aggiornamento Studio sulla loro condizioneTORINO - Si iscrivono all´università pieni di sogni, con l´idea di avviarsi alla professione di Perry Mason, per difendere gli interessi dei buoni e combattere le ingiustizie del mondo. Un mestiere, l´avvocato, fortemente legato all´idea di un benessere economico e di un affermato ruolo sociale. Ottenuta la laurea, si scontrano invece con una realtà ben diversa: soldi pochi, fatica tanta. Ben oltre i 30 anni sono costretti a vivere con l´aiuto dei genitori.

Ogni anno a Torino circa 400 avvocati si iscrivono all´albo professionale: aggiungono il loro nome e cognome a quello di altri 9000 principi del foro. Ogni anno più di 600 giovani laureati in legge, usciti dall´università, si iscrivono invece nel registro dei praticanti: dopo due anni di gavetta tenteranno di dare l´esame di abilitazione finale per poter esercitare la professione. Solo il 35 per cento di loro supera però quell´esame. Uno sbarramento importante, che tuttavia non è sufficiente ad evitare che la categoria sia in costante esubero, con la drammatica conseguenza di una crisi sempre più forte del settore dell´avvocatura. Meno lavoro per tutti, meno guadagni, grandi difficoltà ad avviare un proprio studio, e una concorrenza spietata che va spesso a discapito della deontologia professionale, è il quadro a tinte fosche che negli ultimi anni sta caratterizzando il panorama forense, e che viene tratteggiato con sempre maggiore preoccupazione sia dall´ordine che dalle associazioni di categoria. In attesa di riforme, come l´inserimento del numero chiuso all´università di legge, in un mondo di "imprenditori di se stessi", la categoria cerca di correre ai ripari.
L´ordine degli avvocati di Torino ha da poco istituito una commissione, quelli dei "giovani avvocati", presieduta dall´avvocato Lauretta Sangiorgio, per offrire aiuti, aggiornamenti e sostegni specifici come informazioni sulle convenzioni e sulle assicurazioni professionali. «In questa categoria inseriamo i colleghi fino a 39 anni di età - spiega l´avvocato Sangiorgio - L´obiettivo è avvicinare l´ordine a tutti, non solo ai più "anziani", e affrontare le problematiche che caratterizzano la giovane avvocatura di oggi, che è cambiata. Per questo abbiamo distribuito un questionario, raccogliendo circa 500 dati (avremo un campione del 25 per cento) che stiamo analizzando con l´aiuto di un esperto di statistiche, per poter avere una fotografia della realtà locale più puntuale, affinché l´ordine possa essere di effettivo supporto e migliorare la qualità del lavoro». Rispetto a un tempo ci sono meno praticanti intesi nel senso "tradizionale" del termine. L´iter università, pratica da un dominus per imparare il mestiere, e avvio del proprio studio, è cambiata. Oggi il "privilegio" di trovare un avvocato di grido disposto ad "assumere" o insegnare, è spesso concesso a pochi, fortunati e spesso "figli di".

«Senza un dominus che ti insegna a mettere su lo studio, ci troviamo di fronte a tanti giovani abbandonati a se stessi: non hanno i soldi per iscriversi alla cassa forense, non conoscono forme di assicurazione e di prevenzione, oppure non se le possono permettere. Si privilegiano dunque altre strade rispetto alla pratica - spiega ancora l´avvocato Sangiorgio - come le scuole forensi». «Lo studio "giusto" dove fare pratica è fondamentale - racconta Federica Franchi, avvocato di 30 anni - i curriculum si inseriscono o nel programma di Almalaurea, oppure si lasciano a uno sportello del Consiglio dell´ordine e si aspetta di essere chiamati». «Da solo non ce la fai, sei allo sbaraglio. La soluzione migliore è unire le forze e aprire uno studio con altri colleghi», racconta invece l´avvocato Luca Carnino, 33 anni che dopo la pratica come penalista nello studio Rossomando ha deciso di mettersi in proprio, tre anni fa: «Io sono di Avigliana, e parlando con altri amici e colleghi della zona, civilisti, abbiamo pensato di creare in Val Susa uno studio, a Chiusa di San Michele, che offra assistenza in qualsiasi ramo, e un altro a Torino: siamo in quattro, tra i 27 e i 35 anni, per ora risparmiamo sulla segreteria perché i costi fissi sono il problema più grosso. Sopperiamo però con le tecnologie: i fascicoli sono tutti scannerizzati per averli sempre a disposizione con un pc, e a differenza degli altri avvocati, visto che abbiamo la vocazione a seguire problematiche aziendali e di grossi enti, siamo noi che andiamo in sede da loro».

«Gestire uno studio significa anche affrontare difficoltà che non ti aspetti - aggiunge - devi acquisire nozioni anche di marketing e di contabilità. Però ti dà il sapore di fare l´avvocato davvero». «Oggi 90 mila avvocati dichiarano redditi sotto ai 15 mila euro in Italia - spiega l´avvocato Massimo Gotta presidente dell´Aiga (associazione italiana giovani avvocati) di Torino - con un guadagno medio che si aggira intorno ai 1000 euro al mese. I giovani avvocati non si iscrivono alla cassa che prevede assistenza e previdenza anche in caso di infortunio o di morte, perché è costosa e obbligatoria solo oltre un certo limite di reddito». Senza soldi i giovani avvocati «non investono in libri e codici, e si crea una situazione di concorrenza dove i clienti si accaparrano per cifre ben al di sotto dei limiti tabellari». «Torino tuttavia è ancora un´isola felice - commenta Gotta - per tutelare i praticanti è stato emanato un regolamento in cui si prevede che non siano più costretti a fare solo fotocopie e commissioni, ma che abbiano a disposizione dei fascicoli, e una qualche remunerazione. Nonostante questo, i giovani cercano di evitare la schiavitù negli studi e scelgono specializzazioni universitarie». Ma la conseguenza si fa sentire: «Questa è una professione che si impara per mimesi, sul modello del dominus: la deontologia, ad esempio, si apprende proprio negli studi».
29 ottobre 2011, da "Repubblica"

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