lunedì 3 ottobre 2011

Se la libertà della Rete vale meno dell'impunità del premier.

Se la libertà della Rete vale meno dell’impunità del premier

di Guido Scorza, da cadoinpiedi.it

Che il Premier sia solito utilizzare il Parlamento come fosse il proprio studio legale è circostanza ormai indubitabile tanto in ragione dell'enorme numero di leggi ad personam varate negli ultimi anni per far fronte ai guai giudiziari suoi, della sua famiglia e dei suoi sodali tanto in ragione del fatto che la quasi totalità degli avvocati del premier - l'On. Ghedini in testa - è passata per i banchi di Montecitorio ed è stata - o è tuttora - pagata con i soldi nostri.

Guai, naturalmente, a rassegnarsi ad un uso privato della cosa pubblica e guai, soprattutto, a rassegnarsi all'idea che il Parlamento lavori per un uomo solo e nel suo esclusivo interesse.
Inutile negare, tuttavia, che così è stato sin qui e che così sarà almeno fino al prossimo strappo o sfilacciamento della maggioranza che per convenienza e calcolo politico continua ad appoggiare il piccolo Cesare ormai sulla via del tramonto. Questa volta, però, sta accadendo qualcosa di più grave.

Nell'ormai famigerato disegno di legge anti-intercettazioni, una maggioranza spaventata dall'informazione libera che corre sul web ha inserito - ed un'opposizione debole, disorganizzata e maldestra non è stata sin qui in grado di espungere - una norma di un pugno di caratteri che minaccia di mettere in discussione la libertà di informazione online.
Il comma 29 dell'art. 1 del disegno di legge estende, infatti, a tutti i gestori di siti informatici l'obbligo di rettifica previsto dalla vecchia legge sulla stampa, prevedendo che qualora non si provveda alla rettifica richiesta entro 48 ore, si rischia di incorrere in una sanzione di dodici mila e cinquecento euro.
È sin troppo evidente che, per un produttore amatoriale di informazione 48 ore sono troppo poche per prendere atto di una richiesta di rettifica e decidere il da farsi e dodicimila e cinquecento euro di sanzione troppi per sentirsi libero di scegliere se dar seguito alla rettifica oppure resistere.

Il risultato - quello probabilmente perseguito dai sostenitori della norma - è evidente: la semplice richiesta di rettifica, fondata o infondata che sia, indurrà il blogger ad integrare e rettificare l'informazione pur di sottrarsi al rischio di una sanzione più alta - salvo poche eccezioni - di dodicimila e cinquecento euro di quanto, allo stato, normalmente, un blogger guadagna dalla sua attività amatoriale.
Se poi il blogger non dovesse neppure riuscire a prendere visione della richiesta di rettifica - possibile visto che non è detto aggiorni quotidianamente il suo blog e/o verifichi la sua mailbox - tanto meglio perché correrà il rischio di vedersi irrogare la sanzione e, quindi, sarà portato a chiudere il suo blog, a dedicarsi ad un'attività meno rischiosa ed a lasciare il compito di fare informazione ai soliti editori di sempre.
È questo che rende straordinariamente grave la situazione che stiamo vivendo. Per garantire l'impunità giuridico-mediatica del Premier, si stariebbe do a rischio la libertà di informazione on line quasi che la prima valesse più della seconda.

Se il rischio non fosse reale e, sfortunatamente - a causa del voto di fiducia con il quale il Governo pare intenzionato a blindare l'approvazione del disegno di legge anti-intercettazioni - attuale, ci sarebbe da sorridere all'idea che un piccolo Cesare ormai al crepuscolo, possa pensare di limitare la libertà di parola attraverso il più grande media della storia dell'umanità.
Ma, lo ricorda bene Stefano Rodotà in un bell'articolo dei giorni scorsi, i colpi di coda dell'animale ferito sono i più pericolosi e noi siamo, ormai, in presenza di un animale politico il cui destino è ineluttabilmente segnato.
Occorre, quindi, non perdere occasione di ricordarci e ricordare che la nostra libertà di parola vale enormemente di più dell'impunità del premier.

(2 ottobre 2011)

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