di Alessandro Leipold, dal "Sole 24 Ore"
La parola "fiducia" ha, come ogni concetto astratto, varie sfaccettature. In particolare, il suo significato muta sensibilmente a seconda che si tratti di sentimenti, di politica, o di economia. Limitandosi, data la natura di queste colonne, agli ultimi due, le differenze sono evidenti.
La fiducia "politica" - quella ottenuta (sia pure di misura) venerdì scorso dal Governo - è un avallo dato da una maggioranza di parlamentari ad un governo. Viene data per ragioni diverse, che possono spaziare dall'onesta fede politica a tornaconti più terreni. La fiducia "economica", invece, è quella concessa dagli operatori e dai mercati sulla base di valutazioni oggettive dell'operato economico di un governo, e in particolare sulle attese del suo operato futuro.
Di conseguenza, la fiducia politica si «chiede» ad ognuno dei parlamentari, usando gli argomenti che più li convincono. La fiducia economica non si può chiedere a nessuno; la si deve invece «conquistare» coi fatti, sul terreno.
La fiducia economica la si guadagna, e generalmente a fatica, dimostrando serietà d'intenti e costanza riformatrice anno dopo anno, offrendo affidamento per il futuro sulla base di un track record di stabilità e crescita. E tanto più debole è la performance passata, tanto più ambiziosa dovrà essere l'azione governativa per superare lo scetticismo degli operatori.
Non si confondino quindi i due concetti: la fiducia politica appena ottenuta non genera di per sè la fiducia economica. Lo si è purtroppo visto, con uno spread sui bund tedeschi che è rimasto ostinatamente elevato, con ricadute pesanti non solo sul costo del debito ma anche sulla disponibilità di credito e quindi sull'economia reale e sulle già labili prospettive d'impiego di tanti giovani.
Certo, un quadro politico stabile aiuta: tra i motivi per cui la Spagna, e persino la Polonia, godono di uno spread minore dell'Italia figura in effetti l'elemento politico.
In Spagna, l'attesa è che le prossime elezioni vedranno un partito chiaramente vittorioso, con larga maggioranza e mandato ampio, non avendo fatto promesse populiste in campagna elettorale. In modo analogo, in Polonia la conferma del pro-europeo Donald Tusk, e la sconfitta dei populisti, è stata giudicata rassicurante dai mercati. In Italia, invece, le prospettive restano quelle di un governo appeso ad un filo e, eventualmente (che sia nel 2012 o 2013), di elezioni che - dato anche il sistema elettorale - difficilmente daranno un mandato risolutivo.
L'Italia deve quindi superare due pesanti handicap per conquistare la fiducia economica: un quadro politico incerto e un track record deludente. Ne deriva una conseguenza chiara: il Governo deve innalzare significativamente l'ambizione della propria azione economica, sorprendendo i mercati in positivo, sbaragliandoli con una inattesa volontà di fare.
Per usare una terminologia divenuta di moda nella gestione della crisi, ci vuole un bazooka (come anche per l'Europa al prossimo Consiglio europeo). E un bazooka a due canne (gli esperti di armi ci scuseranno la libertà di metafora): una prima canna che, riconoscendo i rischi che derivano da una crescita ben inferiore a quella sottostante l'ultima manovra, miri a rafforzare la correzione dei conti pubblici, affrontando i nodi evasi questa estate (costi della politica, pensioni, patrimoniale). E una seconda canna che spari un decreto sviluppo meritevole del nome, con un disegno organico di ampio respiro, che raccolga le tante raccomandazioni degli ultimi anni, tra le quali anche quelle del Manifesto per la crescita elaborato dal Sole 24 Ore. E che raccolga anche, nello sprito disatteso della Legge annuale per il mercato e la concorrenza (mai varata), le utili indicazioni dell'autorità antitrust.
Se il decreto sviluppo dovesse riflettere - almeno in buona parte - le indicazioni di cui sopra, sarebbe giunto l'agognato momento di porre a lato distingui politici, e unirsi in quell'azione corale più volte invocata dal Presidente della Repubblica. I risultati in termini di fiducia dei mercati non si farebbero attendere, con riflessi positivi sulla crescita, coronando in modo concreto la fiducia politica appena ottenuta. In caso contrario, quest'ultima si rivelerebbe una vittoria effimera, di un giorno qualsiasi di mezzo autunno, ed i giochi sarebbero fatti: allora veramente, rien ne va plus, mesdames et messieurs.
La parola "fiducia" ha, come ogni concetto astratto, varie sfaccettature. In particolare, il suo significato muta sensibilmente a seconda che si tratti di sentimenti, di politica, o di economia. Limitandosi, data la natura di queste colonne, agli ultimi due, le differenze sono evidenti.
La fiducia "politica" - quella ottenuta (sia pure di misura) venerdì scorso dal Governo - è un avallo dato da una maggioranza di parlamentari ad un governo. Viene data per ragioni diverse, che possono spaziare dall'onesta fede politica a tornaconti più terreni. La fiducia "economica", invece, è quella concessa dagli operatori e dai mercati sulla base di valutazioni oggettive dell'operato economico di un governo, e in particolare sulle attese del suo operato futuro.
Di conseguenza, la fiducia politica si «chiede» ad ognuno dei parlamentari, usando gli argomenti che più li convincono. La fiducia economica non si può chiedere a nessuno; la si deve invece «conquistare» coi fatti, sul terreno.
Non si confondino quindi i due concetti: la fiducia politica appena ottenuta non genera di per sè la fiducia economica. Lo si è purtroppo visto, con uno spread sui bund tedeschi che è rimasto ostinatamente elevato, con ricadute pesanti non solo sul costo del debito ma anche sulla disponibilità di credito e quindi sull'economia reale e sulle già labili prospettive d'impiego di tanti giovani.
Certo, un quadro politico stabile aiuta: tra i motivi per cui la Spagna, e persino la Polonia, godono di uno spread minore dell'Italia figura in effetti l'elemento politico.
In Spagna, l'attesa è che le prossime elezioni vedranno un partito chiaramente vittorioso, con larga maggioranza e mandato ampio, non avendo fatto promesse populiste in campagna elettorale. In modo analogo, in Polonia la conferma del pro-europeo Donald Tusk, e la sconfitta dei populisti, è stata giudicata rassicurante dai mercati. In Italia, invece, le prospettive restano quelle di un governo appeso ad un filo e, eventualmente (che sia nel 2012 o 2013), di elezioni che - dato anche il sistema elettorale - difficilmente daranno un mandato risolutivo.
L'Italia deve quindi superare due pesanti handicap per conquistare la fiducia economica: un quadro politico incerto e un track record deludente. Ne deriva una conseguenza chiara: il Governo deve innalzare significativamente l'ambizione della propria azione economica, sorprendendo i mercati in positivo, sbaragliandoli con una inattesa volontà di fare.
Per usare una terminologia divenuta di moda nella gestione della crisi, ci vuole un bazooka (come anche per l'Europa al prossimo Consiglio europeo). E un bazooka a due canne (gli esperti di armi ci scuseranno la libertà di metafora): una prima canna che, riconoscendo i rischi che derivano da una crescita ben inferiore a quella sottostante l'ultima manovra, miri a rafforzare la correzione dei conti pubblici, affrontando i nodi evasi questa estate (costi della politica, pensioni, patrimoniale). E una seconda canna che spari un decreto sviluppo meritevole del nome, con un disegno organico di ampio respiro, che raccolga le tante raccomandazioni degli ultimi anni, tra le quali anche quelle del Manifesto per la crescita elaborato dal Sole 24 Ore. E che raccolga anche, nello sprito disatteso della Legge annuale per il mercato e la concorrenza (mai varata), le utili indicazioni dell'autorità antitrust.
Se il decreto sviluppo dovesse riflettere - almeno in buona parte - le indicazioni di cui sopra, sarebbe giunto l'agognato momento di porre a lato distingui politici, e unirsi in quell'azione corale più volte invocata dal Presidente della Repubblica. I risultati in termini di fiducia dei mercati non si farebbero attendere, con riflessi positivi sulla crescita, coronando in modo concreto la fiducia politica appena ottenuta. In caso contrario, quest'ultima si rivelerebbe una vittoria effimera, di un giorno qualsiasi di mezzo autunno, ed i giochi sarebbero fatti: allora veramente, rien ne va plus, mesdames et messieurs.
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