Domande & Risposte
25/10/2011 - LA NUOVA EMERGENZA
Quanto costano le pensioni?
A CURA DI MARCO SODANO, dalla "Stampa"
TORINO
Il governo vuole alzare a 67 anni l’età pensionabile. Quando sono nate le pensioni in Italia?
Nel 1898, con la fondazione della Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai. L’iscrizione diventò obbligatoria nel 1919, anno in cui l’istituto cambiò nome in Cassa nazionale per le assicurazioni sociali. Nel 1933 la Cnas diventò, infine, l’Istituto nazionale per la previdenza sociale. La pensione sociale è stata invece introdotta nel 1969.
Quanto spendiamo ogni anno?
Nel 2010, ultimo dato annuale disponibile, la spesa per le pensioni ha superato di poco i 190 miliardi di euro, l’11,4% del prodotto interno lordo. La cifra comprende 13 miliardi pagati per le indennità agli invalidi e gli assegni di accompagnamento. L’Inps paga, in media, una pensione ogni tre cittadini. Il 65,6% è costituito da trattamenti di vecchiaia e anzianità; il 9,2% da pensioni di invalidità e inabilità e il 25,2% dalle reversibilità, cioè le pensioni pagate ai coniugi superstiti.
Oggi sono in vigore due sistemi di calcolo diversi. Perché? Come funzionano?
Il primo è quello retributivo: l’importo della pensione è calcolato sulla base (in genere l’80%) dell’ultimo stipendio percepito. Questo sistema si sta progressivamente sostituendo con quello contributivo: la pensione viene pagata sulla base dei contributi effettivamente versati durante la vita lavorativa. In questo secondo caso l’assegno è più basso, perché gli ultimi anni di lavoro sono quelli in cui di solito si riceve lo stipendio più alto. Il cambio si è reso necessario perché il sistema retributivo, per reggere, ha bisogno di una crescita costante della popolazione: sempre più nuovi lavoratori che pagano per chi è a riposo. Ha inciso anche l’allungamento delle prospettive di vita. I pensionati restano sempre più a lungo a carico dello Stato.
Perché si torna sempre a parlare di pensioni?
Davvero si può risparmiare senza affamare gli anziani?
Secondo un calcolo di Elsa Fornero, docente alla Facoltà di Economia dell’Università di Torino, introdurre il metodo contributivo per tutti affiancandolo a una fascia di flessibilità per l’uscita dal lavoro tra i 63 e i 70 anni potrebbe portare un risparmio entro il 2016 tra i 30 e i 40 miliardi. Con il contributivo, infatti, oltre a limare gli assegni che saranno pagati in futuro, si incoraggiano i lavoratori ad andare in pensione più tardi per ottenere una pensione più alta. Le pensioni sono al centro dell’attenzione perché sono una voce di spesa molto alta e perché la situazione è destinata a peggiorare. La popolazione scende, gli anziani che si mettono a riposo sono sempre di più e in futuro i giovani che lavorano (e pagano i contributi) saranno sempre meno.
Eppure le regole sulle pensioni sono state ritoccate più volte, anche di recente.
La crisi del debito pubblico dell’Eurozona ha reso necessari interventi di risparmio sempre più rapidi e più incisivi. Ciò che due anni fa sembrava sufficiente non lo era più l’anno scorso. Quest’anno le condizioni si sono fatte ancora più difficili. Bisogna aggredire i capitoli di spesa più pesanti. Così, per fare un esempio, si parla di accelerare il processo che dovrebbe portare all’equiparazione tra l’età pensionabile di donne e uomini a 65 anni.
E negli altri Paesi come funziona?
La Germania ha avviato una riforma che tra il 2012 e il 2019 porterà l’età della pensione da 65 a 67 anni, come in Spagna e Danimarca. In Francia si salirà da 62 a 65, nel Regno Unito invece si arriverà fino a 68 anni per gli uomini (ma nel 2046), mentre le donne saliranno da 62 a 68.
Perché questo tema scatena tensioni così forti nella politica?
Sul punto i sondaggi sono unanimi: quando si tratta di toccare le pensioni, sette italiani su dieci sono contrari.
Ma le riforme toccheranno gli assegni già in essere? Chi è in pensione cosa rischia?
Tra le ipotesi circolate ieri c’era quella di un prelievo sugli assegni di chi è riuscito a ottenere una baby pensione. In linea generale però le pensioni già erogate non si toccano.
Perché l’Europa ha parlato proprio di pensioni?
Perché all’Unione europea non interessano le misure in grado di far crescere le entrate degli Stati occasionalmente. Condoni e una tantum, Bruxelles l’ha ribadito più volte, non contano: producono introiti difficili da quantificare e - soprattutto - limitati nel tempo. La spesa pensionistica, viceversa, è un valore che si può prevedere con una certa precisione nel suo sviluppo futuro. Oltre ad essere, naturalmente, anche una spesa molto significativa: da sola può fare la differenza.
Nel 1898, con la fondazione della Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai. L’iscrizione diventò obbligatoria nel 1919, anno in cui l’istituto cambiò nome in Cassa nazionale per le assicurazioni sociali. Nel 1933 la Cnas diventò, infine, l’Istituto nazionale per la previdenza sociale. La pensione sociale è stata invece introdotta nel 1969.
Quanto spendiamo ogni anno?
Nel 2010, ultimo dato annuale disponibile, la spesa per le pensioni ha superato di poco i 190 miliardi di euro, l’11,4% del prodotto interno lordo. La cifra comprende 13 miliardi pagati per le indennità agli invalidi e gli assegni di accompagnamento. L’Inps paga, in media, una pensione ogni tre cittadini. Il 65,6% è costituito da trattamenti di vecchiaia e anzianità; il 9,2% da pensioni di invalidità e inabilità e il 25,2% dalle reversibilità, cioè le pensioni pagate ai coniugi superstiti.
Oggi sono in vigore due sistemi di calcolo diversi. Perché? Come funzionano?
Il primo è quello retributivo: l’importo della pensione è calcolato sulla base (in genere l’80%) dell’ultimo stipendio percepito. Questo sistema si sta progressivamente sostituendo con quello contributivo: la pensione viene pagata sulla base dei contributi effettivamente versati durante la vita lavorativa. In questo secondo caso l’assegno è più basso, perché gli ultimi anni di lavoro sono quelli in cui di solito si riceve lo stipendio più alto. Il cambio si è reso necessario perché il sistema retributivo, per reggere, ha bisogno di una crescita costante della popolazione: sempre più nuovi lavoratori che pagano per chi è a riposo. Ha inciso anche l’allungamento delle prospettive di vita. I pensionati restano sempre più a lungo a carico dello Stato.
Perché si torna sempre a parlare di pensioni?
Davvero si può risparmiare senza affamare gli anziani?
Secondo un calcolo di Elsa Fornero, docente alla Facoltà di Economia dell’Università di Torino, introdurre il metodo contributivo per tutti affiancandolo a una fascia di flessibilità per l’uscita dal lavoro tra i 63 e i 70 anni potrebbe portare un risparmio entro il 2016 tra i 30 e i 40 miliardi. Con il contributivo, infatti, oltre a limare gli assegni che saranno pagati in futuro, si incoraggiano i lavoratori ad andare in pensione più tardi per ottenere una pensione più alta. Le pensioni sono al centro dell’attenzione perché sono una voce di spesa molto alta e perché la situazione è destinata a peggiorare. La popolazione scende, gli anziani che si mettono a riposo sono sempre di più e in futuro i giovani che lavorano (e pagano i contributi) saranno sempre meno.
Eppure le regole sulle pensioni sono state ritoccate più volte, anche di recente.
La crisi del debito pubblico dell’Eurozona ha reso necessari interventi di risparmio sempre più rapidi e più incisivi. Ciò che due anni fa sembrava sufficiente non lo era più l’anno scorso. Quest’anno le condizioni si sono fatte ancora più difficili. Bisogna aggredire i capitoli di spesa più pesanti. Così, per fare un esempio, si parla di accelerare il processo che dovrebbe portare all’equiparazione tra l’età pensionabile di donne e uomini a 65 anni.
E negli altri Paesi come funziona?
La Germania ha avviato una riforma che tra il 2012 e il 2019 porterà l’età della pensione da 65 a 67 anni, come in Spagna e Danimarca. In Francia si salirà da 62 a 65, nel Regno Unito invece si arriverà fino a 68 anni per gli uomini (ma nel 2046), mentre le donne saliranno da 62 a 68.
Perché questo tema scatena tensioni così forti nella politica?
Sul punto i sondaggi sono unanimi: quando si tratta di toccare le pensioni, sette italiani su dieci sono contrari.
Ma le riforme toccheranno gli assegni già in essere? Chi è in pensione cosa rischia?
Tra le ipotesi circolate ieri c’era quella di un prelievo sugli assegni di chi è riuscito a ottenere una baby pensione. In linea generale però le pensioni già erogate non si toccano.
Perché l’Europa ha parlato proprio di pensioni?
Perché all’Unione europea non interessano le misure in grado di far crescere le entrate degli Stati occasionalmente. Condoni e una tantum, Bruxelles l’ha ribadito più volte, non contano: producono introiti difficili da quantificare e - soprattutto - limitati nel tempo. La spesa pensionistica, viceversa, è un valore che si può prevedere con una certa precisione nel suo sviluppo futuro. Oltre ad essere, naturalmente, anche una spesa molto significativa: da sola può fare la differenza.
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