Una bandiera primitiva
Una bandiera primitiva
«L'indignazione» all'ordine del giorno è l'ennesima manifestazione dell'antipolitica che cresce, della progressiva cancellazione dall'esperienza di masse crescenti di cittadini di che cosa voglia dire la politica e di che cosa sia il mondo. Infatti, chi cerca di capire come funziona la società, e insieme ha qualche rudimento di economia, e dunque qualche idea di che cosa siano la polis e il suo governo, di che cosa sia e di come sia organizzato il potere, non si indigna. Propone qualcosa, sciopera, fa la rivoluzione, vota per l'opposizione o ne crea una: ma non si indigna. Soprattutto non sta lì a «proclamarsi indignato». Marx non si indignava. E neppure Turati, per dire qualcuno di tutt'altra pasta. Robespierre lui sì, amava dirsi indignato, ma forse è passato alla storia per aver fatto anche qualcos'altro.
L'indignazione in politica, quando è autentica, è una reazione immediata ed elementare. Se diviene permanente, se diviene una bandiera, allora testimonia di una concezione delle cose più che semplificata: primitiva. È la concezione per cui il mondo dovrebbe essere buono e potrebbe esserlo se non fosse per qualche sciagurato che viola le regole senza che nessuno pensi a impedirglielo rimettendo le cose a posto. Non basta l'ingiustizia, infatti, per suscitare l'indignazione: è necessaria l'impunità dei colpevoli veri o presunti. L'indignazione - lo si vede e lo si sente bene nelle agitazioni odierne - è sempre una denuncia della protervia degli impuniti. Essa è animata da questo tratto elementare come testimonia del resto il carattere altrettanto elementare del rimedio che la piazza «indignata» propone per gli attuali problemi del mondo: il debito, i debiti? Non li si paghi! Un occhio per occhio finanziario, insomma: come non averci pensato prima.
Proprio per il suo tratto radicalmente (ed elementarmente) etico, l'indignazione ha successo innanzitutto fra i giovani ma più in generale in tutta una società come la nostra dove, come ho detto, sta scomparendo la politica con la sua noiosa complessità e dove tutte le spiegazioni del mondo fornite dalle ideologie di un tempo non hanno più corso.
Guai però, terribili guai, a sottovalutare la portata dei sentimenti elementari. Specie se scelgono come nemico un nemico già di per sé - per sua natura, a prescindere da ogni malefatta - impopolare come la finanza e le banche. È, questa, l'impopolarità tipica di ciò che risulta astratto, immateriale, lontano, per giunta transnazionale senza patria, incomprensibile (nessun gergo come quello finanziario è interamente dominato dall'inglese); come apparentemente incomprensibile è la magica capacità del denaro di crescere su se stesso. La finanza è il volto cattivo del capitalismo industriale che, almeno lui, si tocca con mano e più o meno si capisce cosa fa e come funziona.
Nulla come la finanza si presta a meraviglia a divenire il simbolo negativo dell'intero capitalismo, dell'intera dimensione economica quando questa non riesce più a darci le cose necessarie alla vita (innanzitutto il lavoro). Ma anzi, come sta accadendo in questi anni minaccia con le sue dure leggi di occupare ogni territorio sociale, di sterilizzare e cancellare ogni ideale collettivo, ogni progetto, ogni speranza. Quando accade cioè, come ora, che l'economia si trasformi in un economicismo asfissiante: vale a dire che essa diviene l'alfa e l'omega di tutto, il vincolo assoluto di ogni decisione.
Fonte : "il corriere della sera"
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