venerdì 31 dicembre 2010

CASO FIAT
Dal Pd un ddl sulla rappresentanza sindacale
"Diritto anche per chi non firma il contratto"
Una proposta di riforma delle relazioni industriali che prevede la prevalenza degli accordi aziendali su quello nazionale. Intanto all'interno dell'opposizione non si placano le polemiche su Mirafiori. Vendola: "Reagire al ricatto Marchionne". Di Pietro: "Lotteremo accanto alla Fiom"
ROMA - "Un sì chiaro e tondo all'accordo per Pomigliano e per Mirafiori", ma serve una legge sulla rappresentanza sindacale per evitare che siano discriminate le sigle e i lavoratori che non firmano gli accordi aziendali. La proposta viene da un gruppo di senatori, deputati, costituzionalisti e filosofi, tutti legati al Pd, che partendo dalla vicenda Fiat rilanciano la necessità di una urgente riforma generale nelle relazioni industriali, a partire dai diritti di rappresentanza e di sciopero.
Il documento. Il progetto di riforma ipotizzato dagli esponenti pd prevede, tra l'altro, la prevalenza degli accordi aziendali rispetto a quello nazionale che dovrebbe continuare "ad applicarsi a tutte le aziende del settore, ma soltanto se non vi sia un contratto aziendale stipulato da una coalizione sindacale che abbia la maggioranza dei consensi nell'impresa". Tra i firmatari della proposta ci sono Augusto Barbera, Antonello Cabras, Stefano Ceccanti, Sergio Chiamparino, Paolo Giaretta, Pietro Ichino, Claudia Mancina, Ignazio Marino, Enrico Morando, Alessia Mosca, Nicola Rossi, Francesco Tempestini, Giorgio Tonini, esponenti di diverse "anime" del Pd con un nucleo duro di veltroniani.

La premessa è che, a sessant'anni dall'entrata in vigore della Costituzione, al sistema delle relazioni industriali manca ancora una "cornice compiuta di norme di fonte collettiva", mentre è tuttora troppo generica la disciplina di materie fondamentali quali "la misurazione della
rappresentatività di ciascun sindacato nei luoghi di lavoro, l'efficacia soggettiva dei contratti collettivi, i rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, l'esercizio del diritto di sciopero, l'efficacia della clausola di tregua sindacale"; tutte questioni che, in assenza di un riferimento legislativo preciso e univoco, sono spesso regolate da sentenze e orientamenti della magistratura.

Il progetto di riforma, scrivono gli esponenti  pd, serve proprio a riempire questo vuoto. Nel dettaglio, fra l'altro, la riforma dovrebbe disciplinare la rappresentatività dei sindacati, togliendo il potere di veto alla minoranza sindacale, ma assicurandole il diritto alla rappresentanza in azienda, "anche quando non abbia firmato il contratto". E' questo, in sostanza, con la "cancellazione" della Fiom e dei suoi iscritti dalla realtà aziendale Fiat, il punto su cui il Pd ha espresso le maggiori perplessità sulle intese di Mirafiori e Pomigliano.

Come punto di partenza per la discussione, i firmatari del documento rilanciano il ddl presentato nel 2009 da 55 senatori Pd nell'autunno 2009, che punta a una disciplina "lineare della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro e consente di individuare il sindacato o coalizione sindacale titolare della maggioranza dei consensi, al livello aziendale e ai livelli superiori fino a quello nazionale".
La politica divisa. Sul caso Fiat, il dibattito resta acceso. Secondo Stefano Fassina, responsabile Economia e Lavoro del Pd, la via d'uscita possibile è "un accordo interconfederale sulle regole per la rappresentanza, la validazione vincolante per tutti, il diritto alla rappresentanza sindacale per le minoranze in dissenso, la partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici alla vita delle imprese. Auspichiamo che all'inizio dell'anno le disponibilità manifestate nei giorni scorsi da tutti i sindacati e da Confindustria portino a passi avanti concreti".

Ben altra è l'opinione di Nichi Vendola: "Bisogna reagire con forza al ricatto Marchionne - dice il leader di Sinistra e Libertà - . Non è una questione di relazioni industriali, ma di democrazia nel nostro Paese, cresciuta e consolidatasi anche nel corso delle lotte operaie che nel corso di 100 anni hanno strappato il diritto a potersi ammalare, a una pausa mensa, ad essere un essere umano e non un bullone". Vendola ha detto di considerare la questione "dirimente": "Per me avere un giudizio di neutralità o addirittura di consenso nei confronti del modello Marchionne significa esser subalterni a una trasformazione autoritaria del capitalismo mondiale e nazionale".

Sulla stessa linea il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro: "Trattative ed accordi sindacali possono mettere in discussione tutto, ma non la Costituzione repubblicana. Quello è un confine che non si può oltrepassare - scrive Di Pietro nel suo blog - .  Oggi Maurizio Landini e la Fiom combattono contro l'instaurazione di un regime e noi dell'Idv combatteremo questa battaglia con loro".

Fiat industrial verso il debutto a Piazza Affari. Cresce intanto l'attesa per il debutto, lunedì 3 gennaio, delle azioni ordinarie, privilegiate e di risparmio di Fiat Industrial, società nata dallo spin off delle attività non auto Fiat. Fiat Spa a 7,6 euro e la nuova Fiat Industrial a 9,2 euro sono i target price medi stimati dagli analisti in vista della scissione del gruppo. L'avvio delle contrattazioni sui titoli della nuova Fiat Industrial sarà celebrato con una cerimonia nella sede di Borsa italiana alla quale è atteso anche l'ad Sergio Marchionne.
Tratto da Repubblica


Gemellaggio pro loco fra Matera e Trebisacce
31/12/2010 12:24
BAS
Avviate le attività previste dal protocollo che ha sancito ufficialmente il Gemellaggio tra la Pro – Loco Sassi di Matera e la Pro – Loco di Trebisacce, che prevedono, nell’ambito delle finalità dei rispettivi statuti, la promozione di momenti d’incontro e scambi culturali, per valorizzare le realtà economiche, sociali e turistiche delle rispettive territorialità.
Il progetto, che sottende il gemellaggio, è volto ad allargare la perimetrazione oltre i confini geografici, dilatare l’orizzonte delle relazioni socio-culturali tra le due realtà e “fare rete” per potenziare le enormi risorse storico-ambientali in chiave turistica per favorire, ulteriormente quel percorso referendario avviato dall’istanza dei 16 comuni dell’alto Jonio finalizzato al passaggio alla Basilicata e di cui il Presidente della Provincia, Franco Stella, è propenso fautore congiuntamente alla promotrice Assopec di Trebisacce. Una delegazione di numerosi turisti dei Comuni dell’alto Jonio, guidata da Marco Verri Presidente della Pro – Loco di Trebisacce, è stata ricevuta dal Sindaco Salvatore Adduce e dal Presidente della Provincia Franco Stella. Il Sindaco ha espresso il suo pensiero osservando che: “Il gemellaggio è un'azione composita, ricca di prospettive, ed è' principalmente uno strumento straordinario di azione interculturale fra Regioni e Città diverse. Il Comune di Matera è operatore di pace e dei diritti umani e si impegna, anche attraverso una politica di Gemellaggi e di scambi culturali preferenzialmente tesi a coinvolgere le nuove generazioni, a diffondere una cultura di unione e solidarietà, di tolleranza e di reciproca conoscenza tra i cittadini delle diverse realtà. Il Patto di Amicizia, ha osservato il Sindaco, costituisce una formale attestazione di reciprocità di relazioni privilegiate, finalizzato ad intensificare rapporti e scambi interculturali, sociali, politici, economici con costante riferimento ad una azione comune per la pace, la solidarietà e la reciproca collaborazione.”Ha inoltre esortato il responsabile della Pro – Loco Sassi di Matera, Luigi Belgrano, a rafforzare la necessaria sinergia virtuosa con altre Pro – Loco, in grado di favorire nuove relazioni onde contribuire ad arricchire e promuovere il territorio, auspicando anche una prossima visita alle comunità dell’alto Jonio, limitrofe ai territori della provincia di Matera.
Il Presidente della Provincia, Franco Stella ha ribadito “la necessità di offrire immediate risposte alle giuste rivendicazioni delle popolazioni locali guidate dai 16 Sindaci dei comuni dell'alto Jonio, confermando una collaborazione attiva per tutto ciò che concerne il cambio di regione e di cui l’attuale patto di amicizia che lega i territori per la valorizzazione degli aspetti socio-culturali e turistici, contribuisce certamente a rafforzare e favorire tale processo d’integrazione attraverso la reciproca conoscenza, basata sulle affinità antropologiche e similitudini territoriali e sociali che uniscono le potenzialità espresse dalle due realtà".
“Dalemonne” al Lingotto
D’Alema ha fatto la sua scelta: con Marchionne e contro la Fiom. Con qualche se e qualche ma, come è nello stile slalomistico della casta Pd, ma la sostanza non cambia. Si tratta di un vero e proprio cambiamento di fronte, che rischia di “fare epoca” certificando la definitiva morte del Pd, perché l’inciucio con Marchionne nel quale D’Alema trascina il partito (Bersani seguirà?) ha un sapore strategico, molto più grave perfino dei tanti inciuci “tattici” (comunque devastanti) con Berlusconi.

Anche il
diktat di Marchionne, servilmente e prontamente firmato da Uil e Fim, certamente farà epoca, come hanno prontamente e servilmente gorgheggiato gli aedi di regime. Si tratta di capire di quale “epoca” si tratti. A giudicare senza pregiudizi, si tratta in campo sociale dell’analogo rappresentato dalle leggi berlusconiane di bavaglio ai giornalisti e camicia di forza ai magistrati, fin qui fermate dalla sollevazione popolare della società civile. Quei disegni di legge, che il governo non ha rinunciato a far approvare, segnano un salto di qualità verso approdi specificamente fascisti dell’attuale regime. Un equivalente funzionale e soft (soft?) di fascismo risulta anche il diktat di Marchionne. Se qualcuno ritiene il rilievo eccessivo, si accomodi a considerare le seguenti e modeste verità di fatto.

Il diktat marchionnesco prevede che 1) non vi saranno più
rappresentanze elette dei (dai) lavoratori, ma solo nominate dai sindacati che firmano l’accordo, e che 2) i lavoratori che scioperino anche contro un solo aspetto dell’accordo possano essere licenziati. Queste misure costituiscono nel loro insieme un quadro di (non) diritti che negli oltre sessant’anni di vita della Repubblica non era stato mai ventilato, neppure in via ipotetica, neppure dalle forze più retrive della politica e dell’imprenditoria. Per trovare un precedente bisogna risalire agli anni del fascismo. Riassumiamo i fatti storici.

Nell’immediato
dopoguerra, dopo la rottura dell’unità sindacale, i lavoratori eleggono in fabbrica i loro rappresentanti nelle “Commissioni Interne”, su liste sindacali in concorrenza. Lungo gli anni settanta e fino a quasi la metà degli anni ottanta, invece, in un clima di unità sindacale dal basso, imposta dalle lotte del ’68 e del ’69, i rappresentanti operai vengono eletti su scheda bianca, senza sigle sindacali, votando per gruppi o reparti “omogenei” direttamente i nomi dei compagni di lavoro che riscuotono la maggiore fiducia. Con la nuova rottura dell’unità sindacale si torna a rappresentanze elette su liste di sigle sindacali concorrenti, che abbiano firmato accordi contrattuali o vi si siano opposti (anche i Cobas insomma).

Lo
“Statuto dei lavoratori” del 1970 parla di rappresentanze sindacali in termini volutamente generici, proprio perché non intende predeterminare per legge quale delle due forme di elezione vada privilegiata, ma intende come ovvio l’eguale diritto di tutti i lavoratori ad essere rappresentati. Quanto al diritto di sciopero, esso è tutelato costituzionalmente (art. 40) “nell’ambito delle leggi che lo regolano”, e dunque non può essere in alcun modo limitato da accordi privati. E la legge oggi lo limita solo in specifici casi, esigendo preavvisi e/o esenzioni per i servizi pubblici irrinunciabili.

Dunque, neppure ai tempi delle più dure
repressioni antioperaie, che in campo padronale avevano il volto di Valletta e dei reparti-confino per gli attivisti Fiom, e in campo politico il volto di Mario Scelba e della violenza della “Celere”, era stato mai messo in discussione l’ovvio principio che tutti i sindacati (anzi tutti gli operai) hanno diritto a dar vita alle rappresentanze dei lavoratori, perché altrimenti sarebbero “rappresentanze” non rappresentative.

Per ritrovare un analogo al diktat marchionnesco bisogna infatti risalire al 2 ottobre
1925, al diktat di Palazzo Vidoni con cui Mussolini, il padronato e i sindacati fascisti firmavano la cancellazione delle “Commissioni Interne”, sostituite dai “fiduciari” di regime (equivalente “sindacale” dei capocaseggiato). Non c’è dunque nessuna esagerazione retorica nell’allarme che i dirigenti Fiom hanno lanciato, ricordando questi precedenti, e invocando lo sciopero generale contro misure che non solo calpestano la Costituzione, ma che di questo “strame della Costituzione” intendono fare il modello delle future relazioni industriali.

Quello che colpisce e lascia anzi allibiti, semmai, è la
mancanza di una risposta anche minimamente adeguata, da parte di forze che si dicono democratiche, e che verbalmente presentano rituali omaggi alla Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza. Parliamo del Pd, dove numerose sono le voci di servo encomio alla “voluntas Fiat”, e comunque maggioritarie quelle né carne né pesce, nella migliore tradizione di Ponzio Pilato, e non vi è un solo leader di spicco che abbia preso posizione netta a fianco della Fiom. Ma parliamo anche, e in questo caso soprattutto, della Cgil: non si capisce davvero cosa debba ancora accadere, in questo sciagurato paese, perché si ritenga necessario uno sciopero generale, se non bastano neppure misure antioperaie che hanno antecedenti solo nel fascismo.

E parliamo anche, purtroppo, di una società civile che è stata ben altrimenti energica e pronta nel rispondere alla
volontà di fascistizzazione in tema di giustizia e di informazione, e che invece sembra neghittosa di fronte a questa seconda ganascia della tenaglia di fascistizzazione del paese. Dimenticando che sulla distruzione delle libertà e dei diritti dei lavoratori è già passata una volta la distruzione delle libertà e dei diritti di tutti i cittadini. Ecco perché la sollevazione morale della società civile a fianco dei metalmeccanici Fiom è oggi il dovere più urgente, e la cartina di tornasole della capacità di resistere alle lusinghe e alle violenze del fascismo postmoderno.
Il Fatto Quotidiano, 30 dicembre 2010
Se nasce il Partito del lavoro
Con le posizioni sulla Fiat e su Marchionne il Pd trova il suo nuovo punto di caduta. Ora, anche per chi non le vuole vedere, le cose sono tutte in chiaro: tra i lavoratori e Marchionne, D’Alema, Fassino e soci scelgono il leader della Fiat. L’area più moderata del partito è secca: guai a mollare il Lingotto per scegliere la Fiom, un partito “riformista” come il nostro non se lo può permettere (e stendiamo un velo pietoso sullo scempio che viene fatto del termine “riformismo”).

Il dado è stato tratto già molto tempo fa ma ogni occasione è buona per ricordarlo. Il Pd ha cambiato natura alla sinistra tradizionale italiana, una volta espressione del mondo del lavoro, degli ultimi, dei subordinati, da guidare, magari, su posizioni moderate ma comunque scelti sempre come la propria base di riferimento. La sinistra “normale” che oggi conosciamo e che Berlusconi addita come un pericoloso covo di “comunisti” è invece una forza politica che guarda ai
salotti, ai movimenti della buona borghesia, che vuole rappresentare le cosiddette forze di progresso individuate negli strateghi dell’economia globalizzata. Ieri De Benedetti, poi Passera e Profumo, oggi Marchionne. Tutta gente che si è arricchita anche con soldi pubblici per poi lanciare strali e maledizioni contro tutto quello che sa di pubblico o di Stato.

Questa natura non può essere più negata e nemmeno coperta dagli immancabili mal di pancia interni, dai contorsionismi e dalle esitazioni. La linea di marcia è piuttosto chiara, basti pensare a come si snoderà la campagna elettorale per le comunali di
Torino con un Piero Fassino che cerca di dare lezioni agli operai dopo averli portati al disastro già nel 1980, durante i 35 giorni della Fiat.

Il problema è che finora si è perso troppo tempo a cercare di tirare per la giacchetta un partito che ha occhi e interessi da tutt’altra parte. E allora ben venga l’ipotesi, finora solo sussurrata, di un
“Partito del lavoro”, cioè di una forza politica che sappia rappresentare la battaglia della Fiom e quella dei ricercatori universitari, le esigenze del nuovo precariato, manuale e intellettuale con quelle delle nuove povertà. Se nascesse una forza del genere sarebbe certamente un fatto positivo perché è sul quel versante che nell’era berlusconiana si è accumulato un ritardo spaventoso. La solitudine della Fiom da un lato ma anche quella studentesca dall’altro lo stanno a testimoniare: lavoratori, precari, forze del lavoro in formazione sono espunti dal discorso politico maggioritario, collocati fuori dalla dialettica istituzionale e quindi appesi a una sorta di male esteriore da cui liberarsi finché si è in tempo. Una forza politica “degli ultimi” è quello che oggi manca, in grado di dire con nettezza No a Marchionne, No alla cultura veicolata dai vari Bondi e Gelmini, No al presunto modernismo del Chiamparino di turno, a una visione della società basata sulla giustizia sociale, l’equilibrio ecologico, la trasparenza e la democrazia partecipata. E, soprattutto, Sì a un legame vincolante con il mondo che si intende rappresentare rifuggendo dalla costante tentazione di perderlo per condurlo a tutti i costi a mediazioni non vantaggiose.

Se nascesse un simile partito muterebbe il panorama politico soprattutto sul piano dei
contenuti perché una condizione, quasi sempre rimossa e riportata al centro dell’attenzione solo dall’ostinata iniziativa della Fiom, cioè il lavoro nelle sue molteplici espressioni, potrebbe finalmente dire la sua. E condizionare una politica tenuta ormai sottovuoto, separata dalla materialità della vita, riportata ai tempi del notabilato giolittiano, irritata dalle esplosioni sociali come si è visto in occasione del 14 dicembre e della rabbia studentesca.

Una forza politica di questo tipo sarebbe quindi utile, a condizione, ovviamente, di non riproporre stancamente la
sinistra radicale che fu, magari con lo stesso personale politico riciclato, gli stessi automatismi e gli stessi errori. E a tal proposito il problema delle alleanze con il Pd si riproporrebbe tutto intero anche se, forse, sarà proprio il Pd con la sua “vocazione maggioritaria” o con la sua propensione neocentrista a risolverlo in anticipo. Ma sarebbe bene non attendere di “essere scaricati” per dire che si vuole costruire un futuro diverso.
Fonte : Il fatto quotidiano

Pensionati Paperone
della politica lucana
di MASSIMO BRANCATI
Una bocciatura passata quasi inosservata, nonostante fosse un argomento di grande presa popolare. Il deputato Antonio Borghesi dell'Italia dei Valori aveva proposto l'abolizione del vitalizio che spetta ai parlamentari dopo soli 5 anni di legislatura in quanto riteneva cha il trattamento riservato ai deputati risultasse iniquo rispetto a quello previsto per i «comuni mortali». Lavoratori che devono versare 40 anni di contributi per avere diritto ad uno straccio di pensione. Ecco com'è andata a finire: in aula, nel corso di una seduta del 21 settembre scorso, erano presenti in 525. Hanno votato 520, si sono astenuti 5 deputati. La maggioranza si raggiungeva con 261 voti. I «sì» sono stati 22, mentre i «no» ben 498. La proposta di abolizione, dunque, è stata respinta con larghissima maggioranza.

Come si sono espressi i nostri deputati? Tutti d’accordo nel respingere la proposta di abolizione, ricalcando esattamente il trend di Montecitorio, con pidiellini, esponenti del Pd e finiani in perfetta sintonia. Salvatore Margiotta (Pd), Vincenzo Taddei (Pdl) e Donato Lamorte (Fli) hanno detto «no» alla proposta di Italia dei Valori, mentre Antonio Luongo (Pd) al momento della votazione non era presente in aula (assenza strategica?).

Prima del voto Borghesi ha tuonato: «Penso che nessun cittadino e nessun lavoratore al di fuori di qui possa accettare l’idea che gli si chieda, per poter percepire un vitalizio o una pensione, di versare contributi per quarant’anni, quando qui dentro sono sufficienti cinque anni per percepire un vitalizio. È una distanza - ha sottolineato l’esponente dell’Idv - tra il Paese reale e questa istituzione che deve essere ridotta ed evitata. Non sarà mai accettabile per nessuno che vi siano persone che hanno fatto il parlamentare per un giorno - ce ne sono tre - e percepiscono più di 3.000 euro al mese di vitalizio. Non si potrà mai accettare che ci siano altre persone rimaste qui per sessantotto giorni, dimessisi per incompatibilità, che percepiscono un assegno vitalizio di più di 3.000 euro al mese. C’è la vedova di un parlamentare che non ha mai messo piede materialmente in Parlamento, eppure percepisce un assegno di reversibilità».

Gli ex parlamentari attempati, dunque, continueranno ad essere i «pensionati d’oro» d’Italia.

Uno sguardo ai lucani che hanno avuto la fortuna di passare dalle parti di Montecitorio e Palazzo Madama: il vitalizio più sostanzioso tocca a Vito Gruosso e Tonio Boccia che con 15 anni di parlamento portano a casa una pensione lorda di 6.590 euro. Segue a ruota Giampaolo D’Andrea che con 14 anni ha maturato 6.217 euro. «Fuori concorso» - con una pensione che supera i 10mila euro - Emilio Colombo (parlamentare dal ’46 al ‘94 per poi diventare senatore a vita nel 2004) e Angelo Sanza (dal ‘72 al 2008). Molti dei nostri parlamentari, inoltre, possono contare sull’effetto «accumulo», dal momento che sono destinatari anche del vitalizio della Regione, avendo ricoperto l’incarico di consigliere o assessore regionale. È il caso, solo per citarne alcuni, di Giampaolo D’Andrea, Tonio Boccia, Romualdo Coviello, Antonio Potenza, Salvatore Adduce (attuale sindaco di Matera), Maria Antezza, Carlo Chiurazzi, Rocco Curcio e Giacomo Schettini, Tuccino Pace, Vincenzo Viti, Filippo Bubbico, Felice Belisario, Nicola Pagliuca.

C’è, infine, chi potrà attingere da tre canali pensionistici, vale a dire l’europarlamentare Gianni Pittella, dal ‘75 ininterrottamente nei vari livelli istituzionali, passando da Regione, Camera dei Deputati e Parlamento europeo. A lui, probabilmente, spetterà la palma del «pensionato d’oro».

Fonte : La gazzetta del mezzogiorno 

L'Arpab dei parenti

di MARIATERESA LABANCA
POTENZA - La moglie dell'amico, il “fedelissimo” della campagna elettorale, l'autista del politico. Le “filiere corte”nell'assunzione del personale negli enti pubblici non fa quasi più notizia. La distorsione nel sistema che porta a scegliere questo piuttosto che quello, per consulenze esterne così come nei concorsi, è sempre più prassi consolidata e condivisa. Spesso è proprio la perdita diquel sano
senso di indignazione a consentire che la dinamica si perpetui. Eppure, hanno suscitato reazioni le notizie pubblicate ieri sul Quotidiano relative ai diciassette interinali dell'Arpab i cui contratti sono stati rinnovati per quasi tre anni.
Una lista di nomi legati ad altri nomi: amicizie, parentele, segnalazioni: se di parentopoli si può parlare, si tratta di un fenomeno abbastanza diffuso che si ripete non solo all'Arpab ma in tutti gli enti sub regionali e comunque pubblici. Il meccanismo è abbastanza scontato: se il dirigente è di nominapolitica, come avviene nel caso dell'Arpab, è alla politica che questi deve rispondere. Nel caso dell'agenzia regionale per la tutela dell'ambiente sotto accusa sona finiti proprio i contratti di lavoro interinale a diciassette unità esterne prorogati dall'ex dirigente dell'ente Vincenzo Sigillito per oltre tre anni. E, forse, solo per una strana coincidenza, interrotti proprio qualche mese prima dello scadere del mandato del direttore, attualmente nominato dalla giunta regionale a capo della struttura di progetto dell'autorità ambientale del comitato di coordinamento della Regione. Contratti che non solo superavano nel numero la percentuale rispetto agli assunti, secondo quanto previsto dalla legge in materia. Ma che soprattutto suscitavano perplessitàperchérinnovati apersone facilmente riconducibili al sistema della politica attraverso legami di amicizia edi parentela. Forse solo suggestioni. A guardare questa presunta fitta ragnatela di relazioni, comunque, ci si può rendere facilmente conto di come i “privilegiati”, se davvero sono tali o lo sono stati, rispondono a questa come a quell'altra parte politica. Una sorta di lottizzazione interna. Tra i diciassette c'è a esempio Raffaella Bollettino, figlia del gioielliere ben noto a Potenza, legato alla famiglia Sigillito da un consolidato rapporto di amicizia. Precari sono stati Mariangela De Fino, Francesco
Donnoli, AnnaRita Ferrulli, moglie di Francesco Bonelli, legato alla famiglia Sigillito. Cosa ci faccia poi un autista tra gli interinali, se lo chiedono
in molti. Si tratta di Mario Gentile, prima autista dell'assessore Erminio Restaino, poi di Sigillito. Giuseppe Laguardia, invece, è stato un vecchio collaboratore regionale dell’assessorato all’Agri - coltura, Savino Lombardi, invece, sarebbe stato
un uomo della corrente di Angelo Sanza. Matteo Mona sarebbe “uomo” di Vincenzo Folino, suo sostenitore anche in campagna elettorale. Miriam Motavarian sarebbe legata alla famiglia Sigillito da un rapporto di consolidata amicizia.Giampaolo
Pezzola risponderebbe politicamente a Roberto Falotico. Canio Sabia (successivamente assunto all'ente Parco Val d'Agri guidato dal commissario Totaro, nominato dal centrodestra), invece, al senatore del Pdl Cosimo Latronico. Sonia Salicone è
invece la figlia dell'ex presidente del consiglio provinciale di Potenza. Francesco Scieuzo sarebbe amico della famiglia Sigillito. Ma tra i “sospettati” non ci sono solo gli interinali. Loredana Festa Gallo, a esempio, vicina al capogruppo del Pdl
in seno al consiglio regionale, Nicola Pagliuca, faceva parte del progetto Tern che doveva durare solo sei mesi e invece è stato prorogato per due anni, fino allo scorso agosto. Ci sono poi i concorsi. Come quello per dirigente vinto da Adriana Bianchini, moglie di Sergio Paolino, segretario particolare dell'assessore Restaino. La sua assunzione è stata però bloccata perché nel frattempo è partito un ricorso al Tar. Per altre selezioni all’interno dell’agenzia i sindacati avevano denunciato il mancato rispetto delle norme che regolano la nomina delle commissioni interne. Oggi le presunte “relazioni corte” tornano a far notizia per ilpesantedeficit di bilancio
dell’agenzia regionale. Il buco è di circa quattro milioni di euro e una parte di quel debito,sembra più di un milione, è stato determinato proprio dal costo di quei contratti interinali prorogatiper tanto tempo, mentre i dipendenti vantano ancora
premi di produttività arretrati. Ma tra le spese “pazze”dell’ente ci sono anche fitti spesso spropositati e non giustificati da reali esigenze. Insieme ad altri costi che finiranno nel bilancio che sta per essere presentato in Regione. Mentre nell’agenzia prepara la stagione di rilancio.
Tratto dal quotidiano della basilicata

giovedì 30 dicembre 2010

L'economia lucana secondo l'union camera di Matera

30/12/2010 11:59
BASDopo un 2009 caratterizzato da un -4,5% del Prodotto interno lordo, l’economia lucana dovrebbe registrare una crescita zero nell’anno in corso, secondo le ultime stime elaborate da Unioncamere-Prometeia. In un contesto nazionale in cui la ripresa ha iniziato, sia pur faticosamente, ad affacciarsi, la Basilicata segna, quindi, decisamente il passo, unica regione - insieme a Calabria e Molise - a rimanere pressoché ferma. La ripresa è rinviata così al 2011 ma, stando alle attuali previsioni, la sua intensità sarà assai modesta (+0,7%). A pesare sulla mancata ripartenza concorre sia la marcata flessione delle esportazioni che il prolungato regresso della spesa per consumi delle famiglie, frenata dalla riduzione del reddito disponibile (che fa registrare il peggior risultato tra tutte le regioni italiane, -1,6%). E’ questo il dato di sintesi contenuto nel Rapporto congiunturale del terzo trimestre 2010, elaborato dal Centro Studi Unioncamere e disponibile sul sito www.bas.camcom.it.
“I dati ci dicono che la strada è tutta ancora in salita – dichiara il presidente di Unioncamere Basilicata, Angelo Tortorelli – ma alcuni piccoli segnali ci danno qualche speranza: la fiducia degli operatori commerciali che torna a crescere, la natalità aziendale che si mantiene costante, il recupero dell’export in alcuni settori industriali, la tenuta dell’edilizia. In un quadro generale molto preoccupante, le istituzioni devono lavorare ancora più in sinergia per tamponare le emergenze in atto e pianificare interventi di politica economica di ampio respiro, unendo visione e condivisione per uscire dal lungo tunnel della crisi”.
Tra i dati più significativi c'è un nuovo rimbalzo negativo dell'attività manifatturiera, un bilancio dell'export in rosso con una flessione che ha sfiorato il 17% (quasi 200 milioni di euro in meno rispetto allo stesso periodo del 2009), una crisi dei consumi che non accenna a diminuire. A questo proposito, tuttavia, va rilevato un clima di ritrovata fiducia degli operatori, che fa ben sperare per i trimestri successivi.
Sul mercato del lavoro si aggravano ulteriormente le condizioni. Il dato più emblematico è rappresentato dal crollo dell’occupazione che, nel III trimestre, è diminuita di ben 9,3 mila unità rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, determinando un saldo negativo – nella media dei primi 9 mesi – di circa 7,0 mila unità (nell’intero 2009, i posti di lavoro andati persi erano stati, complessivamente, 5,2 mila).
Se nel 2009 la contrazione della domanda di lavoro ha interessato soprattutto
l’industria in senso stretto, nel corso del 2010 il settore più penalizzato è stato quello
dei servizi (-8,3 mila unità, nella stragrande maggioranza dei casi lavoratori dipendenti).
La forte contrazione della domanda di lavoro ha determinato una crescita record
della disoccupazione, aumentata di ben 6,5 mila unità nel periodo giugno-settembre,
per un incremento relativo del 28,8%, frutto prevalentemente del flusso di persone espulse dal ciclo produttivo. Si è quasi azzerata, invece, la crescita delle persone in cerca di primo impiego, molte delle quali si sono temporaneamente ritirate dalla ricerca attiva di un lavoro.
Nel periodo gennaio-ottobre 2010, infine, l’ammontare complessivo di autorizzazioni per
interventi di Cassa Integrazione nell’industria manifatturiera lucana ha raggiunto i
7,6 milioni di ore (+22,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente
Romaniello (Sel) aderisce all’appello a sostegno della Fiom
30/12/2010 12:29“La dignità della persona che lavora diventi la stella polare di orientamento per ogni decisione individuale e collettiva”
ACRIl presidente del gruppo Sel (Sinistra Ecologia e Libertà) in Consiglio regionale, Giannino Romaniello, ha aderito all’Associazione “Lavoro e Libertà” e all’appello che la stessa Associazione ha promosso a sostegno della Fiom, su iniziativa tra gli altri, di Fausto Bertinotti, Sergio Cofferati, Gianni Ferrara, Luciano Gallino, Francesco Garibaldo, Paolo Nerozzi, Stefano Rodotà, Rossana Rossanda, Aldo Tortorella, Mario Tronti.

Questo il testo dell’appello condiviso da Romaniello: “La prima ragione della nostra indignazione nasce dall'assenza, nella lotta politica italiana, di un interesse sui diritti democratici dei lavoratori e delle lavoratrici. Così come nei meccanismi elettorali i cittadini sono stati privati del diritto di scegliere chi eleggere, allo stesso modo ma assai più gravemente ancora un lavoratore e una lavoratrice non hanno il diritto di decidere, con il proprio voto su opzioni diverse, di accordi sindacali che decidono del loro reddito, delle loro condizioni di lavoro e dei loro diritti nel luogo di lavoro. Pensiamo ad accordi che non mettano in discussione diritti indisponibili. Parliamo, nel caso degli accordi sindacali di un diritto individuale esercitato in forme collettive. La seconda ragione della nostra indignazione è lo sforzo continuo di larga parte della politica italiana di ridimensionare la piena libertà di esercizio del conflitto sociale. L'idea, cara al governo, assieme a Confindustria e Fiat, di una società basata sulla sostituzione del conflitto sociale con l'attribuzione a un sistema corporativo di bilanciamenti tra le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, sotto l'egida governativa, del potere di prendere, solo in forme consensuali, ogni decisione rilevante sui temi del lavoro, comprese le attuali prestazioni dello stato sociale, è di per sé un incubo autoritario.
Siamo stupefatti, ancor prima che indignati, dal fatto che su tali scenari, concretizzatisi in decisioni concrete già prese o in corso di realizzazione attraverso leggi e accordi sindacali, non si eserciti, con rilevanti eccezioni quali la manifestazione del 16 ottobre, una assunzione di responsabilità che coinvolga il numero più alto possibile di forze sociali, politiche e culturali per combattere, fermare e rovesciare questa deriva autoritaria. Ci indigna inoltre la continua riduzione del lavoro, in tutte le sue forme, a una condizione che ne nega la possibilità di espressione e di realizzazione di sé. La precarizzazione, l'individualizzazione del rapporto di lavoro, l'aziendalizzazione della regolazione sociale del lavoro in una nazione in cui la stragrande maggioranza lavora in imprese con meno di dieci dipendenti, lo smantellamento della legislazione di tutela dell'ambiente di lavoro, la crescente difficoltà, a seguito del cosiddetto ‘collegato lavoro’ approvato dalle Camere, a potere adire la giustizia ordinaria da parte del lavoratore sono i tasselli materiali di questo processo di spoliazione della dignità di chi lavora. Da ultimo si vuole sostituire allo Statuto dei diritti dei lavoratori uno statuto dei lavori; la trasformazione linguistica è di per sé auto esplicativa e a essa corrisponde il contenuto. Il passaggio dai portatori di diritti, i lavoratori che possono esigerli, ai luoghi, i lavori, delinea un processo di astrazione/alienazione dove viene meno l'affettività dei diritti stessi. Bisogna ridare centralità politica al lavoro. Riportare il lavoro, il mondo del lavoro, al centro dell'agenda politica: nell'azione di governo, nei programmi dei partiti, nella battaglia delle idee. Questa è oggi la via maestra per la rigenerazione della politica stessa e per un progetto di liberazione della vita pubblica dalle derive, dalla decadenza, dalla volgarizzazione e dall'autoreferenzialità che attualmente gravemente la segnano. La dignità della persona che lavora diventi la stella polare di orientamento per ogni decisione individuale e collettiva. Per queste ragioni abbiamo deciso di costituire un'associazione che si propone di suscitare nella società, nella politica, nella cultura, una riflessione e un'azione adeguata con l'intento di sostenere tutte le forze che sappiano muoversi con coerenza su questo terreno”.
Fonte :Basilicatanet
Raid nella notte sotto casa di Vendola
identificato gruppo di giovani del Pdl
L'agguato nel centro storico di Terlizzi, alle porte di Bari. Il governatore svegliato di colpo e molestato. Sono intervenuti i carabinieri di Molfetta che hanno sorpreso sul posto i militanti del centrodestra
di FRANCESCA RUSSI e PIERO RICCI
Molestato nel cuore della notte da un gruppo di giovani del Pdl che sono arrivati sotto casa sua, nel centro storico di Terlizzi, alle porte di Bari. Brutta avventura quella del governatore della Puglia Nichi Vendola, che stamattina è arrivato zoppicando alla conferenza stampa di fine anno organizzata nella sala Europa di villa Romanazzi Carducci a Bari. E' stato lo stesso Vendola a raccontare l'episodio in apertura del suo discorso: il brusco risveglio nel cuore della notte e l'incidente, dovuto a una caduta per le scale. Per identificare il gruppo di militanti politici sono intervenuti i carabinieri della compagnia di Molfetta.

"Non ho trascorso una bella nottata perché giovani del Pdl hanno pensato bene di venire a molestare il Presidente della Regione a casa sua immaginando che un'abitazione privata possa essere una specie di protesi della lotta politica", ha detto Vendola. "E' stata una nottata antipatica e alcuni giovani sono stati identificati dalle forze dell'ordine. Ognuno ha il diritto al sonno e nello spavento notturno sono anche caduto per le scale e per questo mi vedete così claudicante. Ho scelto di vivere nel centro storico del mio paese di fronte al mercato, e non in una villa residenziale separata dla popolo - ha concluso - e penso che continuerò così. Spero che i giovani del Pdl abbiano motivo di imparare le regole della lotta politica".

E' stato lo stesso presidente Vendola a chiamare in carabinieri in tarda notte. I militari, giunti sul posto, hanno sorpreso un gruppetto composto da quattro ragazzi mentre attaccava alcuni manifesti formato A4 sui muri della zona, dopo essere andati sotto casa del governatore e aver picchiato forte contro il portone. Sui volantini la protesta dei militanti di centro-destra contro i tagli alla sanità pugliese. "Vendola non ha mantenuto la promessa di riaprire il reparto di ginecologia nell’ospedale di Terlizzi chiuso nel 2006" hanno spiegato i ragazzi. I quattro ventenni, tutti incensurati, studenti universitari, sono stati identificati dai carabinieri e hanno ammesso di aver bussato alla porta del presidente. Secondo i carabinieri non sarebbero iscritti al partito, ma sicuramente simpatizzati. Sarà adesso Vendola a decidere se sporgere denuncia per molestie e disturbo della quiete.
Fonte : Repubblica

INTERNET
Wi-fi libero dal primo gennaio
Abolite le norme del dl Pisanu
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Milleproroghe, che abolisce quasi tutti i precedenti obblighi. Gli hotspot pubblici non dovranno più registrare gli utenti. La maggioranza annuncia nuove norme, più leggere, per il 2011 di ALESSANDRO LONGO
WI-FI libero dal primo gennaio: dopo anni di battaglie e ripetuti annunci, la Gazzetta Ufficiale mette nero su bianco la svolta, contenuta nel decreto Milleproroghe 1: aboliti quasi tutti gli obblighi che gravavano sugli hotspot wi-fi pubblici dal 2005 per via del decreto Pisanu. Gli esercenti non dovranno più quindi identificare gli utenti, registrarne il traffico. Sopravvive solo, fino al 31 dicembre 2011, un obbligo, esclusivamente per gli internet point: di richiedere licenza al Questore per qualsiasi punto di accesso internet pubblico (wi-fi e non; il tipo di tecnologia non importa).

Per "internet point" il decreto intende "gli esercizi pubblici che forniscono l'accesso ad Internet in via principale". Altri esercenti, cioè quelli che "lo forniscono in via accessoria" non saranno tenuti nemmeno a quest'obbligo: tabula rasa quindi per bar, ristoranti, hotel, tra gli altri. Potranno offrire wi-fi gratis (o altre forme di accesso internet, ma il wireless è il modo più consueto) senza più preoccuparsi di sottostare alle norme del Pisanu.

Grande soddisfazione di navigatori, associazioni di categoria e organizzazioni per le libertà online, che in questi anni si erano battuti per il superamento di una normativa che non aveva riscontri nel resto del mondo occidentale. Ora l'attenzione si sposta sulla fase di conversione
in legge, prevista entro due mesi. Esponenti della maggioranza hanno già annunciato la sostituzione delle vecchie norme con nuovi obblighi più "leggeri" e meno invasivi.
Fonte: Repubblica 
Il sistema Marchionne
di MASSIMO GIANNINI Nel Paese degli opposti estremismi, il caso Fiat è diventato un paradigma della Modernità. Sedicenti leader sindacali lo usano con poca prudenza: una clava da brandire contro i "padroni", rispolverando un conflitto di classe irripetibile e rievocando un clima di fascismo improponibile. Ma sedicenti pensatori liberali lo usano con poca conoscenza: una pietra angolare del riformismo, da lanciare contro tutti i conservatorismi.

Pomigliano e Mirafiori si impongono nel discorso pubblico come luoghi-simbolo di ogni cambiamento, non solo industriale. Secondo questa chiave di lettura, conservatrici sono quelle migliaia di operai che non si adattano all'idea di veder ridotto il perimetro dei diritti e peggiorato il modo della produzione. Conservatrici sono quelle casamatte della sinistra sindacale che non si rassegnano alla dura legge del mercato globale. Conservatrici sono quelle trincee della sinistra politica che non scorgono nella trasformazione post-fordista della fabbrica l'opportunità di riscrivere il proprio decalogo di valori. Conservatrici sono persino quelle frange della rappresentanza confindustriale, con modelli di relazioni solide nel settore pubblico delle public utilities e collaudate nel settore privato delle piccole imprese, che non capiscono la chance irripetibile offerta dalle vertenze-pilota aperte dal Lingotto.

Chi non accetta la "dottrina Marchionne" è dalla parte sbagliata della Storia. Quasi a prescindere. E così, per sconfiggere l'ideologia delle vecchie sacche di resistenza corporativa,
si adotta un'ideologia uguale e contraria: quella delle nuove avanguardie della "modernizzazione progressiva". Questa impostazione del problema Fiat deflagra in modo potente, e patente, con l'ennesima firma separata prima sugli accordi per Mirafiori e ora sulla riapertura di Pomigliano. Pochi ragionano sui contenuti degli accordi. Molti si preoccupano di giudicare i torti della Fiom che ancora una volta si è sfilata dal tavolo. La si può raccontare come si vuole. Ma in questa vicenda ci sono due dati di fatto, oggettivi e incontrovertibili. Il primo dato: l'accordo di Pomigliano doveva essere un'eccezione non più ripetibile. Si è visto ora a Mirafiori che invece quell'eccezione, dal punto di vista della Fiat, deve diventare la regola. Chi ci sta bene, chi non ci sta è fuori da tutto, dalla rappresentanza e dunque dall'azienda. Il secondo dato: questo accordo è obiettivamente peggiorativo della condizione di lavoro degli operai e della funzione di diritto del sindacato. Si può anche sostenere che non c'erano alternative, e che firmare era la sola opzione consentita, per evitare che la Fiat smobilitasse. Tuttavia chi oggi parla di "svolta storica" abbia il buon senso di riconoscere che si è trattato di una firma su un accordo-capestro basato su un ricatto. Legittimo, per un'impresa privata. Ma pur sempre ricatto.

Per questo c'è poco da brindare di fronte al passo compiuto dal nostro sistema di relazioni industriali verso la "terra incognita" indicata da Marchionne. Per questo fanno male i modernizzatori, che inneggiano agli accordi separati di Mirafiori e Pomigliano come se si trattasse degli accordi di San Valentino dell'84 (quelli sì, davvero storici) che troncarono il circolo vizioso del "salario variabile indipendente" e salvarono l'Italia dalla vera tassa occulta che falcidia gli stipendi, cioè l'inflazione. La verità è che in questa partita quasi tutti i giocatori usano carte false o fingono di avere carte che non possiedono. Il giocatore che non ha carte da giocare è il governo. Berlusconi non è Craxi, e Sacconi non è Visentini. Questo governo non è stato capace di mettere in campo uno straccio di proposta, né sulle misure per la competitività del sistema né sulla legge per la rappresentanza: ha saputo solo gettare benzina ideologica sul fuoco delle polemiche. Il giocatore che non ha carte da giocare è anche il Pd, che sa solo dividersi e non sa capire che l'unico metro per misurare il suo tasso di riformismo sta nel proporre un'agenda alternativa e innovativa per la crescita del Paese, un progetto per l'occupazione, per la produzione del reddito e per la sua redistribuzione. E sta nel riconoscere i diritti, uguali e universali, nel difenderli dove e quando serve, rinunciando a tutto il resto.

Il giocatore che usa carte false è il sindacato. La Fiom ha le sue colpe, per non aver saputo accettare il confronto con solide controproposte e non aver voluto prendere di petto il drammatico problema dell'assenteismo nelle fabbriche. La Cgil ha le sue ambiguità, per non aver potuto ricondurre a unità la sua dialettica interna, ancora dominata da una logora "centralità metalmeccanica". Ma Cisl e Uil che si gridano "vittoria" spacciano carte false. Bonanni e Angeletti porteranno a lungo sulla coscienza una gestione gregaria dei rapporti con la politica e con la Fiat, e un accordo che per la prima volta riconosce il principio che chi non accetta i suoi contenuti non ha più diritto di rappresentanza sui luoghi di lavoro. C'è poco da festeggiare, quando peggiorano le condizioni di lavoro e si comprimono gli spazi del diritto, a meno che non ci si accontenti di monetizzare tutto questo con 30 euro lordi di aumento mensile.

Il giocatore che bluffa, infine, è Sergio Marchionne. Ha il grande merito di aver salvato la Fiat quando il gruppo era a un passo dalla bancarotta, e di aver lanciato il gruppo da una proiezione domestica a una dimensione finalmente sovranazionale, grazie all'accordo con Chrysler. Ma ora il "ceo" col golfino e senza patria, l'inafferrabile manager italo-svizzero-canadese che vive "tra le nuvole" (come il George Clooney dell'omonimo film) in transito perenne tra il Lingotto e Auburn Hill, ha il dovere della chiarezza. Verso il Paese e verso i lavoratori. C'è una questione di merito. Nessuno ha ancora capito cosa ci sia nel piano-monstre Fabbrica Italia: quali e dove siano indirizzati i nuovi investimenti, quali e quanti siano i nuovi modelli di auto che il gruppo ha in programmazione, dove e come saranno prodotti. Nessuno ha ancora capito di cosa parla l'azienda quando esalta, giustamente, la via obbligata del recupero di produttività. Con le condizioni pessime nelle quali versa il Sistema-Paese, c'è davvero qualcuno pronto a credere che questa sfida gigantesca si vince riducendo le pause di 10 minuti al giorno, o aumentando gli straordinari di 80 ore l'anno? E' vero che in Germania e in Francia le pause sono già da tempo minori che in Italia. Ma solo un cieco può non vedere che Volkswagen e Renault hanno livelli di produttività giapponesi, macinano utili e aumentano quote di mercato grazie all'innovazione di prodotto e di processo, prima ancora che all'incremento dei tempi di produzione.

C'è poi una questione di metodo. Dove porta questa volontà pervicace e quasi feroce di mettere fuori gioco la Cgil, con piattaforme divisive che servono solo a spaccare il fronte confederale? Dove porta questa necessità di disdettare il contratto dei meccanici e di uscire da Confindustria? Si dice che Marchionne punti a un modello di relazioni industriali all'americana, dove il parametro è Detroit e non più Torino. Probabilmente è così. Ma questo tradisce una volta di più i contenuti veri del Lodo Fiat-Chrysler. Non è la prima che ha comprato la seconda, com'è sembrato all'inizio. Ma in prospettiva sarà la seconda ad aver comprato la prima, nello schema classico del "reverse take-over".

Uno schema che non prevede compromessi. Il modello è il capitalismo compassionevole degli Stati Uniti, non più il Welfare universale della Vecchia Europa. Se vi sta bene è così, altrimenti il Lingotto se ne va. Questa è la vera posta in palio del caso Fiat. Alla faccia della Modernità.
fONTE: rEPUBBLICA 
Alta tensione a sinistra : Le tute blu contro il PD
La Fiom proclama otto ore
di sciopero per il 28 gennaio
ROBERTO GIOVANNINI
La Fiom - con l’astensione della minoranza che fa riferimento alla maggioranza Cgil - scende in campo contro gli accordi di Pomigliano e Mirafiori proclamando lo sciopero generale di otto ore dei metalmeccanici per il 28 gennaio. Il segretario generale Maurizio Landini attacca duramente la Fiat, accusata di «atti anti-sindacali, anti-democratici e autoritari senza precedenti». Dice a Fim e Uilm di fermarsi, perché «stanno cancellando con le loro mani la loro storia e il loro futuro». Definisce «illegittimo» il referendum indetto a Torino. Landini fa scoppiare anche un caso all’interno del Pd, con una battuta feroce contro gli esponenti del Partito Democratico - primo tra tutti Piero Fassino - che hanno detto che se fossero operai di Mirafiori voterebbero «sì»: «Andate prima nelle catene di montaggio e vediamo se poi ragionate ancora nello stesso modo». Piccata la risposta di Massimo D’Alema: «Neanche lui c’è mai stato». Otto ore di sciopero generale dei metalmeccanici contro Fiat che vuole «operai schiavi, senza diritti e sotto ricatto». Sciopero il 28 gennaio, con manifestazioni regionali. Ma anche una raccolta di firme tra i metalmeccanici «per dire che le libertà sindacali vanno difese nell’interesse di tutti», iniziative di sensibilizzazione in tutt’Italia, incontri con i leader politici, l’assemblea dei delegati il 3 ed il 4 febbraio. Per Landini la strategia Fiat ha «un obiettivo chiaro: cancellare il sistema dei diritti del lavoro», ma, dice al Lingotto, «non si illudano, non è così che cancelleranno il più grande sindacato dei metalmeccanici».

Lo sciopero colpirà ovviamente anche Federmeccanica, che «dovrebbe prendere una posizione chiara», «se è vero» che non condivide lo strappo del Lingotto sul contratto dei metalmeccanici, definito «un pugno in faccia a Confindustria e Federmeccanica». Il referendum? Come quello di Pomigliano viene definito «illegittimo, perché svolto su diritti irrinunciabili individuali e con una pistola alla tempia»; ma gli operai votino, per «evitare pressioni». L’accordo di Pomigliano? «Hanno dovuto fare un altro accordo separato per peggiorare ancora le condizioni». Come detto, la minoranza Fiom si è astenuta: il leader Fausto Durante boccia la linea di Landini, «ineccepibile ma priva di risultati»; chiede una battaglia politica per il «no» al referendum. Ma in caso di vittoria dei «sì» ipotizza apertamente una «firma tecnica per avere diritto alla rappresentanza in azienda. Infine, la polemica contro un pezzo del Pd, da Fassino a Sergio Chiamparino. «È legittimo che ognuno esprima il suo pensiero - dice Landini - Ma sarebbe utile che la politica prima di parlare di certe situazioni provasse a fare lo sforzo di mettersi nel punto di vista di chi deve lavorare, a mettersi nei panni di chi sta nelle catene di montaggio in certe condizioni, senza diritti e sotto ricatto per 1.300 euro al mese». A Landini risponde Massimo D’Alema, con un’altra stilettata. «Neanche Landini lavora alla catena di montaggio. Sono polemiche che non hanno molto senso, i lavoratori giudicheranno il valore di quell'accordo e democraticamente tutti ne dovranno prendere atto».

Di più: D’Alema dice di sperare che i lavoratori votino a favore dell’accordo», che «è accettabile nella sua parte produttiva», pur prevedendo rinunce e sacrifici per i lavoratori, «ma anche un forte investimento per Mirafiori». «La parte che non è accettabile è la pretesa della Fiat di escludere chi non condivide l’accordo dalla gestione dei rapporti sindacali. Una grande fabbrica non si dirige con il comando ma con il consenso». In realtà ieri il Pd, dopo una riunione delle segreterie di Piemonte e Torino con il responsabile nazionale per l’economia Stefano Fassina, ha varato un documento che definisce «preziosi e irrinunciabili» gli investimenti ma «ingiustificabili» gli «strappi sulle regole». Resta il fatto che a parte questo «minimo comun denominatore» il principale partito di opposizione appare più che mai spaccato sul caso Fiat. Non considerando Massimo D’Alema, limitiamoci a una sintesi delle dichiarazioni di ieri di alcuni esponenti delpartito, in ordine cronologico. Sergio Cofferati è per lo sciopero generale a sostegno della Fiom, che è «fin troppo moderata». Enzo Bianco dice che l’accordo «va nella giusta direzione». Roberto Della Seta invita «a non sposare Marchionne». «Il Pd non è né estremista né massimalista», dice Giorgio Merlo. Luigi Bobba voterebbe sì come Fassino. Francesco Ferrante spiega che «l’auto non è più strategica in Italia». Sergio D’Antoni plaude all’intesa di Pomigliano. Per Cesare Damiano «il modello Marchionne non deve prevalere».
Fonte : la stampa

Oggi in Basilicata

Sanità; Martorano: riequilibrio fondi per tenuta complessiva
29/12/2010 19:59I nuovi criteri garantiscono equità e sostenibilità per tutte le strutture. Investimenti sui territori confermando ruolo strategico di San Carlo e Crob
AGR“Il riparto del 2011, nel riconoscere al San Carlo oltre 48 milioni di euro, non fa altro che riportare la quota di finanziamento al livello del 2008, anno in cui l’Azienda chiudeva il suo esercizio con una perdita di circa 3 milioni di euro, mentre nel 2009, a fronte di un incremento di circa 13 milioni chiudeva il suo esercizio con un avanzo di circa 1 milione di euro. In un clima di ristrettezze, con il fondo regionale che era e resta sottodimensionato nel suo complesso rispetto ai reali fabbisogni, tutti sono chiamati a esercitare le virtù di razionalizzazione di cui hanno dimostrato di essere capaci”.
L’assessore regionale alla Salute, Attilio Martorano, è convinto che la ripartizione fatta abbia criteri di sostenibilità ed equità per tutte le realtà del servizio sanitario regionale. “Se di penalizzazione si può parlare – spiega - è giusto riferirsi a tutto il sistema, senza avventurarsi in opinabili gradazioni di importanza tra soggetti sanitari differenti e tutti indispensabili alla sanità regionale”.
Per quel che riguarda l’unica azienda ospedaliera regionale, Martorano assicura che “il San Carlo continuerà a svolgere, con le capacità sanitarie e gestionali che gli sono proprie un’ efficace azione di gestione delle risorse, ma nel contempo condividendo fino in fondo la responsabilità di accompagnare, insieme a tutte le altre componenti del sistema sanitario regionale, una politica di contenimento e di razionalizzazione dei costi, senza ricorrere ad inutili allarmismi, ma continuando a dimostrare senso di responsabilità e spirito di appartenenza ad un unico sistema”.
“Detto ciò – continua l’assessore - non sfugge a nessuno che l’Ospedale San Carlo è e resta l’unica struttura regionale di riferimento, una missione delicata e difficile che vogliamo sostenere e portare avanti con determinazione verso importanti percorsi di miglioramento della qualità e dell’appropriatezza delle prestazioni, anche in una condizione di minore agio finanziario. Su questo l’impegno del governo regionale è totale perché sappiamo che il sistema sanitario che abbiamo disegnato non può reggere senza questo centro di eccellenza”.
Dall’assessore, infine, viene un invito a evitare visioni parziali del problema. “Ciò che davvero conta per i cittadini – spiega – è come si traduce in termini di servizi il risultato complessivo del bilancio regionale in sanità, cioè la somma di tutti i bilanci delle aziende sanitarie. Se alla fine il risultato sarà attivo sarà possibile mantenere e potenziare i servizi, anche facendo spostamenti di risorse, se invece il conto complessivo sarà negativo poco importerà se una singola azienda ha i conti in ordine e si dovrà procedere a tagliare, eventualità che dobbiamo scongiurare”.


Nel 2011 le risorse per la Salute si spostano più sul territ
29/12/2010 19:58La giunta approva il riparto provvisorio del fondo sanitario per il 2011 che prevede un riequilibrio delle risorse in favore delle due Aziende sanitarie provinciali
AGRIl riparto provvisorio del fondo sanitario regionale per l’anno 2011 ha introdotto alcuni elementi correttivi che puntano dichiaratamente ad una più equa ripartizione delle risorse tra le aziende sanitarie locali, San Carlo e Crob di Rionero, avviandoci verso l’adozione di criteri di maggiore trasparenza, in linea con le metodologie predisposte dall’Agenzia Nazionale della Sanità.
Il riparto effettuato si pone l’obiettivo di riequilibrare le risorse. Del totale di poco più di 1.006 milioni del fondo, circa 612 milioni sono andati alla Azienda Sanitaria di Potenza, 339 a quella di Matera, un po’ più di 48 all’Azienda Ospedaliera San Carlo di Potenza e circa 6 milioni e mezzo a Crob di Rionero.
La dotazione finanziaria delle due aziende sanitarie provinciali serve a pagare tutte le prestazioni dei residenti sui rispettivi territori (incluse quelle che vengono riconosciute a San Carlo e Crob quando effettuano prestazioni in favore di pazienti delle due province), mentre l’assegnazione alle altre due aziende non territoriali sono finalizzate a sostenere le funzioni non direttamente riconducibili a singole prestazioni (ad esempio i servizi di emergenza, che pur in caso di assenza di pazienti devono restare sempre attivi e disponibili).
L’analisi di quanto avvenuto nel precedente quinquennio ha posto l’esigenza di un riequilibrio dei trasferimenti. Dal 2005 al 2009 (il 2010 è ancora in definizione tanto per i bilanci quanto per la conseguente assegnazione definitiva di risorse), a fronte di una crescita del 16,92% del fondo sanitario regionale, si è determinato un aumento dei trasferimenti di poco inferiore al 12 per cento per quel che riguarda le aziende sanitarie territoriali, e del 149% in favore delle altre due. Le nuove assegnazioni, questa volta a risorse totali praticamente invariate, portano i livelli di incremento rispetto al 2005 rispettivamente al 14 per cento per le aziende sanitarie territoriali e al 93,5% per le due non territoriali.
In particolare sull’assistenza ospedaliera dell’Azienda Ospedaliera regionale San Carlo, si è assistito negli anni ad una crescita del finanziamento integrativo che è passato da circa 21 milioni di euro nel 2005 a oltre 60 milioni nel 2009. Per il 2010, ancora provvisorio, ammonta a circa 58 milioni.
I criteri di riparto, nell’ambito delle generali politiche di contenimento della spesa che comportano per tutte le strutture esigenze di razionalizzazione, seguono comunque l’evoluzione della logica del Sistema sanitario regionale contenuta nel nuovo Piano della Salute che vede un potenziamento della medicina territoriale avvicinando le prestazioni al luogo i vita del cittadino. Sotto questo aspetto è bene sottolineare che le risorse delle due aziende sanitarie territoriali servono anche a sostenere gli ospedali che ricadono direttamente sotto il controllo di Asp e Asm. Per fare questo è stato adottato un nuovo criterio di riparto che converge su quello definito a livello nazionale dall’Agenas, ossia l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, puntando alla riduzione dei costi del 3% al netto di mobilità infra-regionale e degli ammortamenti.

Ok da giunta a proposta di piano integrato Salute
29/12/2010 19:55Un contratto tra Regione e cittadini per trovare più avanzate soluzioni ai difficili rapporti tra diritti e risorse
AGR“Un nuovo impegno è stato mantenuto dal governo regionale. Ora si avvia un altro percorso di condivisione con i territori per realizzare un sistema sanitario che sia ancora più efficiente e capace di offrire ai cittadini le risposte più adeguate al loro bisogno di salute”. Lo ha detto il presidente della Regione, Vito De Filippo, commentando l’approvazione del “Piano regionale integrato della salute e dei servizi alla persona e alla comunità 2011 / 2014” avvenuta nella seduta odierna della Giunta regionale.
Il nuovo piano sanitario regionale integrato si muove nell’ottica di promuovere contestualmente le politiche sociali e quelle sanitarie valorizzando la centralità della persona e dei territori ed il ruolo delle relazioni e delle reti, ottimizzando il rapporto fra ospedali e distretti di comunità.
Il Piano integrato si articola lungo 400 pagine, individuando con precisione gli obiettivi, le azioni di innovazione, i metodi e gli strumenti di regolamentazione dei soggetti erogatori, definendo le risorse da impiegare per la garanzia di Livelli Essenziali dei Assistenza (Lea) e dei livelli essenziali delle prestazioni sociali (Liveas).
Particolare attenzione viene rivolta, inoltre, agli strumenti per valutare gli standard qualitativi, offrendo garanzia dei diritti di salute e di cittadinanza sociale che emergeranno da una rilevazione sistematica delle esigenze e dei bisogni della comunità regionale.
L'impianto realizzato parte dalla conferma e dalla valorizzazione delle scelte fatte con le politiche sanitarie in atto e con la riforma delle aziende sanitarie locali di cui alla legge 12/2008, valorizzando i distretti sanitari e le loro capacita di organizzare i servizi sul territorio. Gli obiettivi che il Piano integrato si pone, inoltre, sono quelli della valorizzazione delle progettualità aziendali e locali all’interno di strategie e regole certe; la non cristallizzazione di modelli organizzativi ed operativi che devono esse capaci di adattarsi alla continua evoluzione della domanda, dell’innovazione tecnologica e della operatività dei professionisti.
“Un piano sanitario - ha aggiunto De Filippo - rivolto, da una parte, a rafforzare la sostenibilità del nostro sistema e, dall’altra, a migliorare l’offerta dei servizi. In questo percorso nessun ospedale verrà chiuso, ma, al contrario, si procederà a una precisa valorizzazione delle loro funzioni assegnando, alle singole infrastrutture, specifici compiti e obiettivi”.
Soddisfazione per l’approvazione del nuovo piano regionale della Salute è stata espressa dall’assessore regionale, Attilio Martorano.
“Ci stiamo muovendo – ha aggiunto Martorano - valorizzando i punti di forza e riducendo i punti di debolezza del sistema sociosanitario regionale, consapevoli come siamo che la congiuntura economica e le politiche del nuovo sistema federalista richiamano tutti, istituzioni, operatori, aziende sanitarie e ospedaliere, cittadini a un ulteriore avanzamento di responsabilità finalizzato a costruire un sistema e un modello organizzativo ancora più equilibrati, senza smantellamenti, salvaguardando le infrastrutture esistenti e valorizzando le competenze ed i territori”.
“Questo programma – ha continuato Martorano – vuole avviare un processo di cambiamento, di ripensamento, di ammodernamento del sistema dei servizi, dei comportamenti professionali, dei metodi di intervento rispetto alle comunità di riferimento. Il significato politico di questo programma, al di là delle tecnicalità – è quello di un nuovo contratto sociale tra i cittadini e il sistema sanitario regionale.
Una nuova intesa tra politica e società per trovare più avanzate soluzioni ai difficili rapporti tra diritti e risorse. E’ un programma ancora aperto intorno al quale – ha concluso Martorano - riapriremo subito un confronto con i cittadini e con i territori, con le istituzioni e la politica tutta per assicurare un ampio coinvolgimento sulle scelte che riguardano l’intera comunità e un diritto essenziale come quello alla salute”.
pat