di MARCELLO SORGI, dalla Stampa
Riproposta ieri dalla discussione seguita all’intervento del Capo dello Stato sulla cittadinanza ai figli degli immigrati, la questione delle maggioranze variabili, o se si preferisce della piena agibilità del Parlamento in presenza di un esecutivo tecnico e in assenza di stretti vincoli politici di maggioranza, data da prima della nascita del governo Monti. Era stato lo stesso professore a parlarne in un’intervista prima di divenire premier. E in linea teorica, non si vede quale possa essere l’impedimento a discutere ed eventualmente votare con maggioranze diverse, che si formino in Parlamento al termine di un libero dibattito, provvedimenti sui quali esistono posizioni diverse tra partiti che invece si ritrovano insieme a sostenere il governo tecnico.
Chiarissimo, a questo proposito, l’esempio della cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia fatto da Napolitano, che troverebbe a favore nelle Camere Pd, Fli e parte dei cattolici che militano nel centrodestra e nel centrosinistra, mentre si scontrerebbe con l’opposizione intransigente, ma probabilmente minoritaria, della Lega e di parte del Pdl. E mentre fino a un mese fa il confine rigido tra i due poli avrebbe impedito a molti deputati e senatori di votare secondo coscienza, oggi un’eventuale legge potrebbe essere messa all’ordine del giorno e approvata in tempi brevi.
Ma che succederebbe se Monti provasse ad usare lo stesso metodo per far passare, poniamo, la riforma delle pensioni accettata dal Pdl e dai centristi e osteggiata da parte della sinistra, oppure la patrimoniale, sulla quale potrebbero convergere Pd e Udc, scontando la fiera contrarietà dei berlusconiani?
Qui la faccenda diventa più delicata, perché in caso di tentazioni elettorali di una parte o dell’altra, l’eventuale messa in discussione di un provvedimento controverso potrebbe fornire l’occasione di aprire una crisi, che fatalmente scivolerebbe nello scioglimento anticipato delle Camere. Al di là delle intenzioni manifestate nel discorso di presentazione alle Camere su cui ha ottenuto la fiducia, Monti dovrà quindi muoversi con cautela, rodando con attenzione il meccanismo della trattativa tecnica con i partiti che lo sostengono. Ma anche se è difficile immaginare fino a che punto potrà spingersi la trattativa e quali potrebbero esserne gli esiti, non c’è dubbio che la novità del governo tecnico ha rimesso in discussione sia equilibri politici consolidati sia i confini interni ed esterni dei partiti. In sedici mesi, quanti ne mancano alla scadenza naturale della legislatura, i risultati di un movimento del genere, appena cominciato, potrebbero rivelarsi imprevedibili.
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