mercoledì 16 novembre 2011


Partiti non è tempo di veti

di MARCELLO SORGI, dalla "Stampa"

Se davvero, come dicono tutti (tranne Monti), la presentazione della lista dei ministri è stata rinviata da ieri sera a stamane per decidere se anche Gianni Letta e Giuliano Amato entreranno nel governo, dando così un connotato più politico a un esecutivo che s’annuncia tecnico, converrà approfondire il caso sul quale da tre giorni si consumano le energie dei principali protagonisti della crisi, da Napolitano all’incaricato, a Berlusconi e Bersani.

Il paradosso di questa storia è che a voler richiamare in servizio l’ormai ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, nonché capo operativo del governo uscente, Letta, e il due volte presidente del Consiglio Amato, è in prima persona Monti, che non avrebbe potuto insistere su questo punto se anche il Capo dello Stato non fosse stato d’accordo.

Napolitano, si sa, ha smentito nella prima fase delle trattative di essersi occupato dei nomi della lista, che sarà l’incaricato a scegliere. Ma adesso che la crisi è finita e il Presidente, a norma dell’articolo 92 della Costituzione, dovrà, su proposta di Monti, nominare i ministri, dovrà pronunciarsi anche lui. A maggior ragione dato che quello di Monti sarà, a tutti gli effetti, un «governo del Presidente»: un esecutivo, cioè, voluto dal Capo dello Stato per far fronte a un’emergenza eccezionale, prima ancora che dai partiti che dovranno dargli la fiducia in Parlamento.

In realtà, al di là delle smentite di rito, Napolitano in questi giorni si è adoperato, non per aprire la porta del governo a Letta e Amato, compito che d'altra parte non gli tocca. Ma per sminare il percorso di Monti dai veti contrapposti che i due maggiori partiti che dovrebbero formare la maggioranza di larghe intese avevano manifestato. Veti capziosi in sé, al di là delle persone che riguardavano, perché tendevano a riportare la formazione del governo nell’alveo classico della contrattazione partitocratica tipica delle vecchie crisi.

Era evidente, in altre parole - ed era il secondo aspetto paradossale di questa storia - che Bersani e Berlusconi si opponevano rispettivamente a Letta e Amato perché, rafforzando la squadra di governo, avrebbero indebolito il loro potere di ritirare a Monti l’appoggio in tempi brevi, per tornare alle urne il più presto possibile. Di qui, tra l’altro, le polemiche parallele sulla necessità (secondo il Pdl) di imporre, oppure (secondo il Pd) di non imporre, un termine temporale, oltre che un vincolo programmatico al governo. E se questo è quel che è emerso pubblicamente in tre giorni, chissà quanti e quali altri cavilli e distinguo devono essere stati fatti nelle lunghe ore delle consultazioni. Inoltre, sarà pure un dettaglio, ma i veti contro Letta e Amato hanno toccato punte di sgradevolezza ingenerose, nei confronti di due servitori di lungo corso delle istituzioni: come quando, appunto, Bersani ha ribadito varie volte la necessità di una completa discontinuità della compagine ministeriale, o quando Rosy Bindi ha dichiarato che in nessun caso Amato poteva essere messo in conto al Pd, o Gasparri ha chiuso sbrigativamente all’ipotesi che potesse rientrare al governo chi aveva avuto precedentemente incarichi con il centrosinistra.

Nessuno che si sia posto il problema che, proprio per la loro caratteristica di essere stati, sì, al governo, ma con una coloritura politica assai più sbiadita di tanti loro colleghi, e con una competenza spesso superiore, Letta e Amato sono l’ideale per accompagnare Monti in un cammino che è forse il più difficile mai attraversato da un governo in epoca repubblicana. O, quel che è peggio, forse è proprio tenendo in considerazione quest’aspetto che i maggiori partiti del governo e della maggioranza che stanno per nascere hanno costruito il loro sordo boicottaggio alle due candidature.

Ma almeno, alla fine del mediocre tira e molla che, come si diceva, ha allungato inutilmente i tempi di soluzione della crisi e nell’attesa ci è costato anche qualche punto in più di spread che poteva essere evitato, i termini della questione sono chiari. Per la loro esperienza e al di là delle loro precedenti collocazioni personali, Letta e Amato, se malgrado tutto riusciranno a entrare, saranno una garanzia di maggior solidità del governo. I veti dei partiti, benché resistenti, non possono contare in circostanze eccezionali come quelle attuali e nell’ambito di un governo che nasce garantito dal Capo dello Stato e per sua espressa volontà. Insomma non c’è più tempo da perdere: Monti decida. E soprattutto, finché può, faccia di testa sua.

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