domenica 27 novembre 2011


27/11/2011 - IL CASO
Le frasi alla lavagna
del premier-professore

Il presidente del Consiglio Mario Monti
Rigore, freddo, necessità di imparare: l’Italia 
e i compiti a casa
di MATTIA FELTRI, dalla Stampa
ROMA
Chiamatemi professore». Un frasario essenziale del nuovo premier non può cominciare che da qui, dalle presentazioni e da tutto quello che ne consegue. La citazione, subito dopo, era dell’illustre predecessore Giovanni Spadolini: «I professori durano, i premier passano», ma naturalmente a tutti è venuta in testa l’altra sentenza, degli uomini che passano e delle idee che restano. Quelle di Mario Monti ci resteranno in eredità: è l’augurio di chi ci vorrebbe un po’ più calvinisti, persuasi che non ci sia «contraddizione fra rigore e crescita», e anzi l’unico modo per regolare le esistenze, e forse non soltanto dal punto di vista economico: senza rigore non c’è crescita - la dialettica montiana è implacabile -, la riforma sarà «equa e incisiva», il governo sarà «incisivo ed efficace». Nei momenti di maggiore severità servono «decisioni facili e non gradevoli»: fossero state prese prima non ci saremmo ritrovati con pochi denari in tasca. Ecco, «chiamatemi professore», e ogni volta è come se da lui passasse a noi un novembre umido e piovigginoso.

Ora viene facile ironizzare su quella frasetta - che poi era indirizzata più ai professorini europei che agli alunni compatrioti -, «l’Italia farà i compiti a casa», come li faranno tutti. Fosse tutto lì. Il piglio è ben altro, «non applaudite, ascoltate», ha detto ai senatori. Ecco, aprite bene le orecchie, sturatevele, «la prima cosa da fare, e lo dico in particolare agli italiani, è di abituarsi a trovare meno facilmente le responsabilità negli altri». E’ proprio una questione sistematica, si tratta di capire il mondo, stabilire nuove prassi e Monti le tratteggia alla lavagna, «il governo che è nato ha certamente una missione di gestione della situazione ma ha anche una funzione di aiutare le forze politiche a trovare una forma di, almeno temporaneo, disarmo reciproco». E però, se arriveranno temperature più miti, la speranza è che si registrino «nei toni e non nell’inazione».

Sin ora, si capisce, è stata soltanto una rissa sterile, un tirarla per le lunghe. Ora si tratta di fare «presto», «prestissimo», «alla svelta», essere «rapidi», e le riforme saranno «strutturali con il consenso (o «in associazione», ndr) con le parti politiche e sociali». «Tutti assieme», diceva Romano Prodi, ma l’obiettivo di Monti è di altra portata, è globale, coinvolge tutti perché «il compito è quasi impossibile, ma ce la faremo» e «d’altra parte se non ci fosse la crisi sospetto che non sarei qui» e nessuno è autorizzato a coltivare sospetti: «Nel mio passato non si nota una particolare frequenza in cui mi sono candidato a qualcosa. Il numero è zero». Quanto ai poteri forti, a chi li considera gli azionisti di maggioranza dell’esecutivo, «io di poteri forti in Italia non ne conosco», semmai ce ne sono in Europa e l’Economist scrisse che «il mondo degli affari internazionali considerava Mario Monti il Saddam Hussein del business».

Poi questa squadra di governo («non siamo un manipoli di tecnici» ma anche di uomini) ha la consegna del riserbo, politicamente della collegialità, così basta e avanza quello che spiega il professore. Il suo scostare i giornalisti ha l’aria del vezzo: possiamo farle una domanda? «Non credo». Manca soltanto un «preferirei di no», non fosse una frase così poco beneaugurante. Di cose da dire ne ha molte, l’importante è non dirle a richiesta, fuori dagli orari prestabiliti, allora arrivano enunciati perfetti come sfere («il mio sforzo e del mio governo sarà di mettere l’Europa al centro dell’attività mia e del mio governo») o facezie non oliatissime («vi sarei grato se non fosse usata l’espressione “staccare la spina”: non ci consideriamo un apparecchio elettrico, e non saprei a quel punto se dovremmo essere un rasoio o un polmone artificiale»).

A quel punto si sono spesi impegnativi elogi sul suo umorismo, che vide l’alba una domenica mattina, il solito assedio dei gionalisti, e lui che sfugge con una battuta: «E’ una bella giornata». Eravamo tutti molto ammirati,come davanti alle geniali ricette economiche distribuite in «Oltre il giardino» dal giardiniere Chance («se l’albero non dà frutti, bisogna tagliare i rami secchi»), poiché spesso, al culmine della disperazione, si vede quel che si vuole vedere, e non quel che c’è.

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