La riscoperta della sobrietà
di Antonio Lubrano, da Vivere
Uno dei più autorevoli linguisti italiani, Tullio De Mauro, nel suo dizionario definisce la sobrietà: «Frugalità, moderazione nel mangiare, nel bere, nel soddisfare gl’istinti naturali; estrema essenzialità e semplicità nello stile di vita e nelle abitudini di una persona; semplicità e rigore, austerità». Questa parola – sobrietà – torna sempre più di frequente nei discorsi di tutti i giorni: è come un’ipotesi, tesa a neutralizzare gli effetti della recessione; è come un’aspirazione dopo anni vissuti sopra le righe; una rivalutazione del nostro ieri, perché forse c’è stato un tempo in cui i nostri padri, le madri, i nonni vivevano in maniera diversa, con più misura.
Per quelli di una certa età come me, la riscoperta della sobrietà ha un valore consolatorio. Vivaddio, dunque, non siamo vecchi bacucchi che credono ancora al decoro, al risparmio, alle regole, al passo mai più lungo della gamba? Francamente fui sorpreso anni fa dalla notizia che il capo del governo gira con le sue mani l’interruttore quando lascia a notte inoltrata l’ufficio di Palazzo Chigi. Proprio lui che di notte fa ben altro… Come sarà felice lassù la signora Clotilde, mia madre, che lungo la mia fanciullezza mi ha tormentato con un ordine perentorio: «Spegni la luce ogni volta che esci da una stanza!» (Lo faccio tuttora, è un riflesso condizionato). E mi puniva con sonorissimi schiaffi quando disobbedivo. «Ricordati – aggiungeva – che tuo padre lavora sull’acqua salata e guadagna il denaro col sudore della fronte!» Vorrei far notare però che la tendenza a ripensare i sistemi di vita si è manifestata molto prima della crisi.
Già nel 2004 da un monitoraggio del Sole 24 Ore veniva fuori il graduale mutamento delle “modalità di consumo” ispirate, scriveva il giornale, «a una maggiore sobrietà e oculatezza». Nel quinquennio successivo sono nati i Gas, gruppi di acquisto solidale, e in molte famiglie è cominciata la lotta agli sprechi. Sarà il caso di ricordare due dati significativi: nel 2009 la società che gestisce i rifiuti a Milano realizzò un’indagine per conto dei panificatori e scoprì che nella spazzatura ogni giorno finivano dai 130 ai 150 quintali di pane. Dando credito alle statistiche più recenti le famiglie italiane buttano il 12% degli alimenti, addirittura il 30% di quello che mettono in frigo. Pare che ogni giorno si sprechino 4.000 tonnellate di cibi, un’enormità. Adesso le cose vanno meglio.
Incoraggiate dall’Ue si vanno concretizzando in diverse città d’Italia iniziative per ridurre questa montagna. E poiché la moneta a disposizione si fa sempre più scarsa, cala anche la tendenza a fare la grossa spesa al supermercato una volta alla settimana mentre cresce la spesa giornaliera che consente di controllare meglio le immediate necessità e di evitare il superfluo. Le scorte? Pazienza, ne facciamo a meno. Un simile trend porta alla rivalutazione del negozio sotto casa. Ricordo un giudizio di Marco Venturi, presidente della più piccola delle due associazioni di commercianti, nel 2010, anno in cui campare è diventato più faticoso: «La crisi ha accentuato il gusto della scelta, le difficoltà hanno insegnato a spendere meglio».
All’epoca della prima crisi petrolifera (1977), fu Enrico Berlinguer, leader del Pci, a indicare al Paese la strada dell’austerity. Oggi invece è la rivista Time che parla di “nuova frugalità” (The new frugality) e vale per tutto il mondo. Mutati i comportamenti anche al ristorante. In tanti si sorprendono perché appaiono sempre pieni, ma la Federconsumatori ha condotto un’indagine dalla quale risulta che le cene sono calate del 50%. Diversi ristoratori, a Roma, Milano e Napoli, mi hanno raccontato che i clienti raramente ordinano “il completo”, antipasto, primo, secondo e frutta. Adesso le ordinazioni si limitano a un piatto base, che sia primo o secondo, e frutta. Acqua e vino, certo, ma un bicchiere.
La sobrietà. Dove altro può farsi strada? Nel mondo politico, pensiamo tutti. Giusto. Siamo stufi degli eccessi. Ebbero vasta eco a settembre le parole del presidente della Cei, Angelo Bagnasco: «Va purificata l’aria, gli atti licenziosi danneggiano le istituzioni, non sono solo contrari al decoro ma intrinsecamente tristi e vacui». Il riferimento a Berlusconi era inequivocabile e tuttavia l’invito al retto vivere fatto il giorno dopo all’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede fu interpretato come un auspicio, visto che nel nostro Paese permane una forte evasione fiscale (Bagnasco la definì «un cancro sociale») e una corruzione dilagante (che ci costa 60 miliardi all’anno): una piovra.
La parola richiama l’altra piaga nazionale: le mafie, che hanno ramificazioni ovunque, a cominciare dalle stanze del potere. Di fronte al progressivo impoverimento di interi gruppi sociali una maggiore serietà della classe dirigente si imporrebbe, dunque. Almeno, per aiutarci a sperare che l’Italia saprà sottrarsi al baratro.
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