domenica 27 novembre 2011


27/11/2011

Il buon giornalismo sa valutare le notizie




di MARIO CALABRESI, dalla Stampa

Siamo ancora necessari, ma il mondo fuori è completamente cambiato: i cittadini e i lettori non sono più passivi ma vogliono sapere tutto e su tutto vogliono intervenire», il direttore di El País ha vissuto in prima persona la grande tempesta e ora cerca di tracciare il profilo del nuovo mondo dell’informazione. A un anno esatto dall’esplosione del fenomeno Wikileaks sono andato a trovare Javier Moreno a Madrid per ragionare su cosa è successo ai giornali e ai loro lettori, su cosa è successo dal giorno in cui Assange gli consegnò una chiavetta contenente 250 mila documenti riservati, provenienti da 274 ambasciate americane. El Paìs selezionò un gruppo di giornalisti e li mise al lavoro giorno e notte, nel segreto più totale («ordinai a tutti - mi racconta - di non riferire a nessuno cosa stavano facendo, di non parlarne nemmeno agli amici più fidati, nemmeno ai mariti o alle mogli») per scoprire cosa ci fosse di valido in quelle centinaia di migliaia di dispacci diplomatici.

Il fatto che Assange, dopo aver messo in rete per anni milioni di documenti, si fosse deciso a consegnarli in anticipo a quattro quotidiani (tre europei e uno americano) e a un settimanale fu la dimostrazione del valore del metodo di analisi tradizionale, del fatto che il giornalismo mantiene intatta la sua missione. Di fronte a una tale massa di informazioni indistinte il lettore è destinato ad affogare e così tutto si perde nel mare della rete, senza riuscire a fare rumore e a provocare reazioni. Il lavoro giornalistico è stato invece capace di selezionare ciò che era degno di nota, che messo nel giusto contesto poteva servire a raccontare qualcosa di inedito e a scuotere il potere. Certo chi pensava che il giornalismo tradizionale sarebbe caduto sotto l’offensiva dei nuovi modi di comunicare, blog, social network e tonnellate di documenti diffusi in rete, ha preso un grande abbaglio, perché nessuno ha ancora mostrato di avere la capacità di trovare notizie e diffonderle come i mezzi di comunicazione tradizionali. «È vero - concorda Moreno - la nostra capacità di sintesi e analisi è ancora vincente ma fuori c’è tutto un mondo che non controlliamo più: il lettore grazie alla tecnologia vuole vedere ancora più a fondo e sapere sempre di più. Così a molta gente i giornali appaiono antichi, superati, troppo lenti e con meccanismi opachi».

Chi di noi - in questo caso parlo della categoria dei giornalisti - sottovalutasse il cambiamento (a partire proprio dall’atteggiamento diffidente e problematico dell’opinione pubblica nei confronti non solo del potere ma anche dell’informazione) è destinato a una lenta ma inesorabile estinzione. La rete e il moltiplicarsi delle informazioni che trasporta hanno modificato non solo la quantità di notizie che riceviamo ma anche la percezione con la quale le riceviamo: «Nei lettori - sottolinea il direttore del País - c’è sempre il sospetto che si nasconda qualcosa. Noi pensiamo di controllare il potere ma decine di migliaia di internauti controllano noi, assimilandoci all’establishment. È una relazione proficua ma anche tesa». Molti giovani, aggiungo io, non ci considerano cani da guardia del potere (il ruolo che la tradizione ci aveva assegnato) ma parte integrante del potere, una costola di questo. Eppure più del 90 per cento delle notizie, delle rivelazioni e degli scandali (il dato emerge dalla più seria ricerca mai fatta sull’argomento da parte del Pew Research Center di Washington) che oggi si possono leggere in rete sono venute a galla grazie al lavoro del giornalismo tradizionale.

«Una delle incomprensioni e il principale motivo della diffidenza - ne è convinto Moreno - nasce di fronte alla richiesta dei lettori di pubblicare tutto. Per esempio noi abbiamo avuto pressioni fortissime affinché pubblicassimo integralmente, sul nostro sito, tutti i 34 mila documenti riguardanti la Spagna. Ma io ho detto di no, che non volevo: avremmo creato un pericoloso precedente e saremmo venuti meno al nostro ruolo. Un giornale si definisce per quello che pubblica e per quello che non pubblica, se scaricasse tonnellate di documenti in rete allora abdicherebbe alla sua funzione». D’altronde gli ricordo il motto del New York Times «All the news that’s fit to print», tutte le notizie che vale la pena pubblicare, dove la parola chiave è «vale la pena». Non si pubblica qualunque cosa che si riceve, ma ciò che si ritiene portatore di valore, che serve a capire un fatto a svelare una storia. «Il giornalismo è decidere e scegliere - conclude - ma oggi il lettore vuole partecipare e dobbiamo imparare a metterci al suo stesso livello, ad ascoltarlo e a discuterci. Viviamo in un mondo completamente diverso e dobbiamo essere capaci di starci dentro, in tempo reale, ma senza perdere la nostra capacità di scelta».

Anche il potere dovrebbe riflettere sulla forza di questo cambiamento, sulla richiesta di trasparenza che arriva dai cittadini di tutto il mondo, e dovrebbe capire che al Cairo come a Milano o New York grandi cambiamenti sono spinti dalle tecnologie e dalla voglia di cambiare i rapporti di forza. I governi potrebbero essere tentati di dire che dopo una tempesta di notizie tutto è tornato come prima, in fin dei conti il sito allora più citato del mondo è ormai quasi silente, il suo fondatore è stato reso inoffensivo e aspetta un’estradizione, e le diplomazie (anche se un po’ malconce) hanno reso più sicuri e controllati i loro modi di comunicare. L’osservatore più superficiale o distratto potrebbe così pensare - commettendo un drammatico sbaglio - che 12 mesi dopo il mondo ha espulso le eresie e che il potere, in ogni sua forma, ha ristabilito i suoi codici. Invece come abbiamo visto, chiunque abbia sottovalutato la forza del cambiamento è stato spazzato via. Un anno dopo ci siamo chiesti però cosa abbia davvero significato Wikileaks, quali conseguenze abbiano avuto le sue rivelazioni e cosa sia cambiato. Per questo abbiamo pensato a questo inserto, per fare un po’ d’ordine nel grande rumore di fondo, per tirare i fili del discorso e per aiutarvi a capire, perché questo è ancora il dovere del nostro mestiere.

Nessun commento:

Posta un commento