LO SCUDO DEL GOVERNO TECNICO
IL RIMONTAGGIO DEI PARTITI
Sembra di capire che al governo Monti siano affidate due fondamentali «funzioni», una manifesta e una latente. La funzione manifesta è quella enunciata dal neo presidente del Consiglio: affrontare l'emergenza con quei provvedimenti d'urto che la politica partitica, vincolata al consenso elettorale, non è stata fin qui in grado di prendere.
Ma c'è anche, a prescindere dalla volontà del capo dell'esecutivo, una funzione latente: dare tempo al tempo, neutralizzare temporaneamente la dialettica maggioranza/opposizione al fine di offrire alla politica partitica la possibilità di scomporsi e di ricomporsi su nuove basi. Pier Ferdinando Casini, parlando all'assise del Terzo polo, non lo poteva dire meglio o più esplicitamente. È peraltro la ragione per cui in Spagna si è andati al voto e in Italia no: in Spagna la posta in palio era solo il governo, in Italia è la conformazione del sistema politico nel suo insieme.
Per quanto riguarda la funzione manifesta, ossia la «missione» del governo Monti, si può forse scommettere che, a prescindere da quanto durerà l'esecutivo, essa si esaurirà di fatto in breve tempo. Nato per fronteggiare l'emergenza, il governo Monti darà al Paese una cura d'urto che tutti ci auguriamo utile e che i partiti saranno comunque costretti a subire. Ma non è pensabile che questo stato di grazia possa durare più di qualche mese. Dopo di che, i partiti riprenderanno l'iniziativa. E si noti che non potranno non farlo dal momento che le elezioni del 2013 (o anche prima) diventeranno per loro sempre meno lontane: man mano che passerà il tempo, i calcoli sulle convenienze elettorali ne condizioneranno sempre più le scelte. Aggiungo (in Italia, date certe nostre poco commendevoli tradizioni, è opportuno dirlo) che ciò potrà scandalizzare solo coloro che pensano che la democrazia rappresentativa sia null'altro che un fastidioso impiccio. A quel punto il governo Monti, che duri o meno fino alla scadenza della legislatura, non potrà più fare molto.
Ma oltre che un mezzo per fronteggiare l'emergenza, il governo Monti è anche uno scudo al riparo del quale, presumibilmente, si andrà ristrutturando il sistema dei partiti: quel famoso Big Bang che tutti si aspettano per effetto del tramonto dell'era berlusconiana. Qualcuno, non ricordo chi, ha spiritosamente osservato che l'era berlusconiana potrebbe essere stata solo un lungo intermezzo fra la fine della Dc e la sua rinascita. La Dc, ovviamente, non rinascerà ma che un grosso rassemblement parlamentare «centrista» si formi a breve termine per effetto di processi di scomposizione/ricomposizione delle forze politiche è possibile. Ed è anche in linea con le nostre tradizioni nazionali.
D'altra parte, ancorché possibile, la formazione di un tale rassemblement non è sicura. Le fratture nella classe politica sono tali e tante che si può anche ipotizzare un diverso esito: la pura e semplice disgregazione del Pdl (e, per contraccolpo, anche del Pd) e la conseguente frantumazione dell'intero sistema dei partiti. Mentre nel primo caso (formazione di un rassemblement centrista) tutto dipenderebbe da come si decidesse di puntellarlo, e in particolare con quale legge elettorale, nel secondo caso (frantumazione) andrebbero definitivamente in cavalleria sia il bipolarismo che l'alternanza e un cupo futuro di accentuata instabilità politica ci attenderebbe anche dopo le elezioni.
Si guardi alla Spagna, appunto. Stessa emergenza. Ma la Spagna si è potuta permettere il voto e noi no. Perché? Perché la Spagna, nonostante abbia una democrazia molto più giovane della nostra, dispone, a differenza di noi, di istituzioni sane. Lì la stabilità è garantita: chi vince governa e basta. Non è solo la legge elettorale che disincentiva la frammentazione, è un intero sistema istituzionale (fondato sul cancellierato, ossia sull'indiscusso primato del governo) che assicura la compattezza del corpo politico, il fatto che in esso vengano frustrate le spinte centrifughe. Forse, sarebbe bene smetterla di fare finta, come continuano a fare i cantori del parlamentarismo all'italiana, che le nostre siano le migliori istituzioni del mondo. Forse, bisognerebbe anche riconoscere quale sia (per parafrasare il grande giornalista britannico ottocentesco Walter Bagehot) il «segreto» della Costituzione italiana: la possibilità di ricorrere, ma solo per brevissimi periodi, quando i partiti siano resi impotenti dall'emergenza, a governi del presidente. Forse bisognerebbe almeno pensarci su e chiedersi se non sia il caso, fatto trenta, di fare anche trentuno, scegliendo la strada maestra della piena responsabilizzazione politica del presidente della Repubblica mediante l'elezione diretta. Solo che non lo faremo. Poiché le scelte chiare, e le decisioni nette, non sono nel nostro stile.
di Angelo Panebianco, dal Corriere
21 novembre 2011 |
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