Sveglia, siamo insostenibili
Consumi, profitti, debiti, distribuzione delle merci ed energia. Cambiare modello di sviluppo non è una scelta. È una necessità
di Carlo Freboudze
Vivere in modo sostenibile oggi sta diventando una necessità stringente. Un cambiamento è ormai inevitabile anche solo per poter pensare ai prossimi cento anni. Alla svolta del millennio il nostro vecchio modello di sviluppo occidentale ha mostrato gravi debolezze strutturali e una congenita tendenza all’autodistruzione: è ormai inadeguato sul fronte economico e finanziario, su quello ambientale e sociale.
Per nuove e coraggiose politiche industriali è necessario l’intervento dello Stato, l’unico in grado di perseguire gli interessi di lungo periodo, perché non vincolato dall’orizzonte del profitto a breve termine.
Il lungo processo di smantellamento degli Stati da parte delle società e delle multinazionali è andato contro gli interessi degli individui. I poteri economici oggi sono più forti degli Stati nazionali. Quando lo Stato si piega all’economia privata, con lui si piegano i cittadini, per i quali lo Stato è l’unico scudo. Che si tratti di impedire per legge sostanze chimiche tossiche nell’alimentazione, o fermare uno sfruttamento cieco e distruttivo delle risorse naturali, o regolare i diritti sociali, lo Stato è l’unica protezione per i cittadini. Lo Stato siamo noi. Dobbiamo proteggerlo nel nostro interesse.
Il modello di sviluppo. La finanza è uno dei campi in cui le contraddizioni del recente capitalismo sono esplose nel modo più vistoso. La vittoria dell’iniziativa privata, dilagante e insostenibile, è stata per la finanza stessa una condanna. I danni prodotti dal settore finanziario sono epocali e hanno travolto intere nazioni. Ma anche in altri campi, come quello alimentare ed energetico, le esagerazioni degli ultimi trent’anni stanno risvegliando la gente e un’inversione di marcia potrebbe essere vicina.
Alla guida dell’economia mondiale, il passaggio del testimone da Europa e Stati Uniti ad Asia e Paesi una volta detti “emergenti” viene accelerato dalla crisi del modello occidentale, figlia dell’eccesso di liberismo finanziario. Mentre le nuove economie crescono a ritmi brillanti, nel vecchio Occidente si parla solo di debiti, tagli alle pensioni e alla spesa pubblica, disoccupazione. Da questa crisi i Paesi occidentali potranno uscire solo con un modello economico nuovo. Anche per quanto riguarda i consumi.
Il modello importato dagli Stati Uniti prevedeva una libertà d’azione assoluta per tutti i soggetti economici, concezione privatistica dei servizi pubblici. Ma soprattutto prevedeva che le famiglie consumassero a ogni costo, anche prendendo soldi a prestito, se non ne avevano abbastanza. Negli ultimi vent’anni il modello è stato portato all’esasperazione: finiti soldi si è cominciato a consumare a debito, gonfiando le bolle immobiliare e finanziaria finché i debiti non sono esplosi.
Consumi sostenibili. Si parla da più di un decennio del Bhutan, dove non si misura il Pil ma l’indice di felicità dei cittadini. È ora di sostituire il Pil come indice dello sviluppo, e molti economisti hanno già elaborato interessanti proposte alternative. A partire dalla definizione di un nuovo modello di consumo, che tenga conto di tutte le conseguenze negative della crescita. Eppure siamo lenti nell’abbandonare l’attuale catena alimentare industriale con la sua chimica e biologia che sono tra i responsabili dello sviluppo di tante malattie gravi cresciute negli ultimi decenni, troppo lentamente interveniamo sull’aria delle metropoli, nonostante milioni di bambini con problemi di respirazione o patologie della pelle. Molti sprechi di energia sono un problema culturale: Tir che si incrociano tra loro in autostrada, in direzione opposta, carichi di acqua in bottiglie di plastica; edifici pubblici e condomini con riscaldamenti eccessivi, consumi elettrici estivi ormai prossimi a quelli invernali, a causa dei condizionatori, mentre trent’anni fa ne erano una frazione.
Energia. L’uso delle risorse rinnovabili è destinato a crescere. In Italia, in un paio di decenni, potrebbe coprire una quota rilevante del fabbisogno nazionale. Le fonti rinnovabili sono la chiave dal lato della generazione e produzione di energia ma i risparmi che si possono fare cambiando i consumi e migliorando l’efficienza sono altrettanto importanti se non più. Questo rimanda alla questione del modello di sviluppo. Nuove tecnologie sono in continua scoperta ed evoluzione. Qui emerge il più grave problema dell’Italia di oggi, l’assenza di una politica industriale, che metta al centro l’innovazione.
Alimentazione. Anche sul fronte dell’alimentazione la rivoluzione sembra prossima. I capi d’accusa verso la produzione industriale e la grande distribuzione sono schiaccianti e imperdonabili: eccesso di profitto nel passaggio tra produzione e distribuzione e qualità scadente del prodotto, in termini non solo di gusto e proprietà ma di sostanze utilizzate: scarti, chimica, sostanze tossiche e nocive. Quando la mela prodotta in un altro continente costa meno di quella prodotta vicino a casa, c’è qualcosa di sbagliato. Se i pomodori olandesi sono sui banconi in Italia ad agosto e non solo in dicembre, da qualche parte stiamo sbagliando. Il consumo a chilometro zero non è una sciocchezza, è una cosa seria, anche dal punto di vista economico. La qualità di ciò che mangiamo, anche. I Gruppi d’acquisto solidale sono un serio strumento di cambiamento, una delle risposte necessarie contro una politica industriale che è disposta a sacrificare i cittadini al profitto. I gas sono nati in Italia da ormai diversi anni e consentono anche nelle grandi città di accedere a canali diversi dalla grande distribuzione per l’acquisto di prodotti coltivati con rispetto dell’ambiente e della salute dei consumatori, in un modo solidale in termini non solo agricoli e naturali ma anche sociali.
Da "Left"
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