LA NOTA
Un sì a tutti i costi per «sterilizzare» i processi del premier
Il Pdl è convinto che il Quirinale non si opporrà. Ma nessuno può dirlo
Il centrodestra si prepara a consegnare a Silvio Berlusconi il primo «sì» parlamentare al cosiddetto «processo breve». La Camera dei deputati potrebbe approvarlo stasera, nonostante l'ostruzionismo tentato ieri dal Pd. Una maggioranza mobilitata allo spasimo sa che, una volta passata a Montecitorio, al Senato la legge dovrebbe avere vita meno difficile. Ma la logica è quella di un provvedimento avulso dalle esigenze di riforma della giustizia. Il Pdl risponde con una forzatura a quella che considera un'altra forzatura, attribuita alla Procura di Milano.
Per il governo si tratta di riaffermare il primato nei confronti della magistratura: con in palio la possibilità di proteggere il premier dai processi. Su questo, Pdl e Lega ostentano una compattezza che resiste a ogni pressione. Significa che la maggioranza è pronta a sfidare l'impopolarità. Il fatto che oggi si riunisca il Cdm in un intermezzo delle votazioni conferma la determinazione ad arrivare al risultato.
Un personaggio defilato come il sottosegretario Gianni Letta prevede «una settimana incandescente». E fa capire che Palazzo Chigi ha chiare le incognite dell'operazione; e che nella cerchia berlusconiana si spera di chiudere la fase più acuta con l'approvazione del Parlamento. In realtà, i passaggi successivi appaiono altrettanto incerti. Il governo è convinto che Giorgio Napolitano non avrà obiezioni nei confronti della legge. Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, invece, ritiene che Berlusconi tenga «il Paese in ostaggio».
In realtà, nessuno può fare previsioni né in un senso né nell'altro. Finora l'atteggiamento presidenziale è stato guardingo. Si può solo dare per certo che gli scambi d'accuse di queste ore sono l'opposto dell'invito del Quirinale a tenere i nervi saldi: anche nei rapporti con l'Europa. Viste le premesse, tuttavia, lo scontro era inevitabile. Rappresenta un'anteprima del panorama di macerie politiche che «il processo breve» porterà con sé; e che verranno additate con intenti opposti all'opinione pubblica.
Per il governo, l'accusa più insidiosa è quella di Antonio Di Pietro, di far saltare alcuni processi. Il Guardasigilli, Angelino Alfano, spiega che «sarebbe a rischio solo lo 0,2% dei procedimenti penali». «Se l'impatto è così modesto, perché state bloccando il Parlamento?», lo rimbecca il leader centrista, Pier Ferdinando Casini. L'ultima istantanea è quella dell'Anm che taccia di irresponsabilità il premier per gli «appelli alla piazza» contro i magistrati. Stancamente, dopo una seduta notturna col brivido del voto segreto, forse oggi si chiude il primo capitolo di una vicenda assai poco esaltante.
Massimo Franco
Dal "corriere"
Dal "corriere"
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