martedì 19 aprile 2011

Occupazione e lavoratori stranieri: perché avremo più bisogno di loro

di Gianpiero Della Zuanna, dal Corriere della Sera, 18 aprile 2011
Intervenendo a margine del vertice del Fondo monetario internazionale, il ministro Tremonti ha affermato che gli immigrati che vivono in Italia lavorano tutti, che i giovani stranieri non rubano il lavoro ai coetanei italiani, e che non è né possibile né economicamente conveniente bloccare il flusso di nuovi arrivi. Lunedì 2 maggio all’università di Padova verranno presentati i risultati della ricerca Aspetti economici e sociali dell'immigrazione in Italia e in Europa, finanziata dallo Csea (Centro studi economici Antonveneta), e verrà presentato il libro dell’economista Nicola Sartor Invecchiamento, immigrazione, economia.

Questi studi mostrano senza tema di smentita che — effettivamente — nell’Italia del Centro-Nord gli immigrati fanno lavori che gli italiani possono permettersi di non fare. Inoltre, i salari degli operai italiani non sono stati penalizzati dall’arrivo di tanti stranieri. Nel primo decennio del nuovo secolo, senza le immigrazioni, il numero di persone disposte a fare lavori manuali nel Centro-Nord Italia sarebbe drammaticamente diminuito, a causa di un numero di «colletti blu» pensionati molto maggiore rispetto al numero di nuovi lavoratori italiani disposti a fare gli operai. Quindi, l’arrivo di tanti stranieri ha solo permesso di mantenere costante l’offerta di lavoro manuale. Ecco il motivo per cui gli artigiani e gli industriali lanciano continui allarmi sulla difficoltà di trovare lavoratori per certe mansioni. E nei prossimi vent’anni le cose non cambieranno, perché nell’Italia del Centro-Nord, in assenza di immigrazioni, ogni quattro operai che andranno in pensione ci sarà solo un giovane disposto a diventare operaio.

Addossando ai lavoratori stranieri la «colpa» dei bassi salari e della disoccupazione degli italiani, si spara sul bersaglio sbagliato. In Germania gli stranieri sono più che in Italia, ma i salari operai sono di molto superiori, sia per i tedeschi sia per gli stranieri. Ciò accade perché in Germania la produttività è più alta, e quindi è più grande la torta da spartire fra impresa e lavoratori. Al Sud le cose sono diverse. In un’economia più fragile, in larga misura precaria e irregolare, gli stranieri spesso portano via il lavoro agli italiani, perché si accontentano di salari ancora più bassi e accettano condizioni di lavoro ancora più disumane. Si realizza un apparente paradosso con l’ingresso di nuovi immigrati— sia pure in misura molto più contenuta rispetto alle aree ricche del Paese— che fanno lavori manuali, pur in presenza di migliaia di disoccupati italiani con basso titolo di studio. Ciò può accadere anche al Centro-Nord, ma solo in settori marginali del mercato, dove il lavoro è meno tutelato e meno strutturato, come nelle piccole imprese edili e di pulizia.

Le affermazioni di Tremonti vanno però meglio articolate alla luce della crisi economica dell'ultimo biennio. L’Istat mostra che oggi il tasso di disoccupazione degli stranieri è un po’ più alto rispetto a quello degli italiani. In Italia non si è realizzato il dramma della Catalogna, la regione di Barcellona, dove il saldo migratorio con l’estero— positivo di 160 mila unità del 2007 — si è azzerato nel 2009, poiché il blocco dell’attività edilizia ha indotto decine di migliaia di stranieri a ritornare al loro Paese (vedi www.neodemos.it). Tuttavia, gli studi degli statistici Adriano Paggiaro e Anna Giraldo — nell’ambito della citata ricerca Csea— mostrano che anche in Italia la «gelata» del 2009-10 ha creato più disoccupati fra gli uomini stranieri. Infatti— anche se non c’è stata alcuna discriminazione secondo la nazionalità — gli uomini stranieri sono stati licenziati più frequentemente rispetto agli italiani, in quanto impiegati nei settori più colpiti dalla crisi. D’altro canto, le donne straniere spesso debbono restare a casa quando diventano madri, perché raramente hanno una rete familiare di sostegno, e poiché gli asili nido sono pochi e costosi.

Quindi, Tremonti ha torto quando dice che in Italia gli stranieri lavorano tutti. Essi sarebbero disposti a farlo, anche a condizioni meno favorevoli rispetto agli italiani. Ma alcuni di loro sono involontariamente costretti a non lavorare. E per uno straniero perdere il lavoro può essere un vero disastro economico, sociale e giuridico, perché può portare — magari dopo dieci anni di residenza nel nostro Paese— alla perdita del diritto di vivere in Italia. In questi anni di crisi molti stranieri e italiani sono accomunati dal dramma della disoccupazione. C’è da sperare che — anche grazie all’azione del governo e del ministro Tremonti — la crescita riprenda a ritmi simili a quelli della Germania. Solo allora, almeno nel Centro-Nord, la piena occupazione verrà rapidamente raggiunta, sia per gli italiani che per gli stranieri.

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