domenica 24 aprile 2011

Dal " Sole 24 ore"
problema della Settimana
Regolarizzazioni in edilizia

Condono, il Comune ha 10 anni per chiedere gli oneri concessori

Domanda

Anni fa ho presentato domanda di condono ai sensi della legge 47/85 (primo condono). A oggi non ho ancora ricevuto alcuna risposta dall'amministrazione comunale, ma solo domanda di integrazione documentale, alla quale ho regolarmente adempiuto. È possibile che si sia formato il silenzio-assenso sulla domanda, e può il Comune richiedermi il conguaglio dell'oblazione e il versamento degli oneri concessori? In alternativa, potrei presentare domanda di accertamento di conformità in sanatoria? E se volessi fare ulteriori interventi edilizi sull'immobile fino alla demolizione e ricostruzione, come dovrei comportarmi?
T.T. – BARI

Risposta

Il condono edilizio è una procedura a carattere straordinario con efficacia limitata nel tempo, che ha trovato la sua disciplina in tre leggi (47/85, 724/94, 326/2003). Pur essendo scaduti i termini per beneficiare di tale normativa (a parte gli immobili oggetto di procedure fallimentari, per i quali è possibile presentare domanda di sanatoria entro 120 giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile), sono a oggi ancora aperte molte pratiche in attesa di definizione, accompagnate da numerose incertezze operative.
L'istruttoria
e l'assenza di risposta
Il condono edilizio è un provvedimento vincolato (Consiglio di Stato, sezione IV, 10 agosto 2007, n. 4396) che viene rilasciato dal Comune in presenza di tutte le condizioni previste dalla legge statale e da quella regionale di riferimento (rispetto della volumetria sanabile, rispetto del termine di realizzazione dell'abuso, assenza di cause di esclusione soggettive e oggettive eccetera) entro un termine perentorio, alla scadenza del quale il silenzio serbato dall'amministrazione equivale a titolo edilizio in sanatoria, fermo restando il possibile esercizio dei poteri di autotutela da parte dell'amministrazione, che potrebbe anche portare all'annullamento. Se, per fare un esempio "al limite", un fabbricato fosse stato costruito su una spiaggia, esso rimane abusivo al di là del silenzio per 24 mesi da parte del Comune, che quindi potrà sempre avviare la procedura per la demolizione.
In particolare, ai sensi dell'articolo 32, comma 37, della legge 326/03, il silenzio si forma sulle domande a proposito delle quali non sia stato adottato alcun provvedimento negativo e trascorsi 24 mesi (salvo il caso di immobili vincolati), a condizione, però, che siano stati integralmente corrisposti l'oblazione (al momento della domanda di condono) e, ove dovuto, il contributo concessorio, nonché siano state presentate la denuncia al catasto, quella ai fini Ici, quella per la tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e quella per l'occupazione di suolo pubblico, ove dovute. Se le domande presentate risultano carenti in qualche elemento il provvedimento tacito non si formerà, in quanto occorre assicurare ai Comuni 24 mesi per esaminare con completezza le pratiche (Tar Basilicata, sezione I, 27 dicembre 2002, n. 1030).
Una richiesta di documentazione ulteriore (specificatamente prevista dalla legge) da parte del Comune interromperà i termini di formazione del silenzio solo se tale documentazione risulti essenziale ai fini della corretta classificazione della domanda in sanatoria.
Gli adempimenti
da non mancare
Gli interessati sono tenuti a corrispondere, oltre al pagamento dell'oblazione, anche gli oneri concessori, ove dovuti. La pretesa del Comune soggiace a un regime giuridico differente per il termine di prescrizione. Relativamente all'oblazione, la giurisprudenza è conforme nel ritenere che la somma dovuta a conguaglio si prescriva nel termine di 36 mesi ai sensi dell'articolo 35 della legge 47/1985 (Consiglio Stato, sezione V, 19 aprile 2007 n. 1809, e 28 aprile 1999 n. 495). Sulla decorrenza del relativo termine, l'orientamento prevalente sembra essere quello che la ricollega al momento della presentazione dell'istanza in sanatoria (Tar Puglia, sezione III, del 10 febbraio 2009, n. 237; Consiglio di Stato, sezione V, 19 aprile 2007, n. 1809; Tar Veneto, sezione II, dell'8 maggio 2006, n. 1158; Consiglio di Stato, sezione V, del 28 aprile 1999, n. 495; Consiglio di Stato, sezione IV, del 31 ottobre 1997, n. 1246).
Quanto agli oneri concessori, l'orientamento della giurisprudenza è teso ad assoggettarli al termine ordinario di prescrizione decennale (Tar Puglia, sezione III, del 18 giugno 2010, n. 1507; Tar Calabria, sezione II, del 10 dicembre 2007, n.1976; Tar Campania, Napoli, sezione II, del 3 aprile 2004, n. 4167).
Per quanto riguarda la decorrenza del termine stesso, esistono due orientamenti contrapposti: chi sostiene che il termine decorra dalla data di presentazione della domanda di condono da parte dell'interessato (Consiglio di Stato, sezione V, del 7 giugno 1999 n.603); chi, invece, ritiene che decorra dal rilascio del titolo o dal compimento dei 24 mesi per la formazione del silenzio-assenso sulla domanda di concessione in sanatoria, in quanto il provvedimento di sanatoria viene ad esistenza dalla data di formazione del silenzio-assenso sulla relativa domanda o dalla data di comunicazione dell'esame favorevole della pratica relativa alla domanda di condono (Tar Lazio, sezione II, del 24 settembre 2002, n. 8012; Tar Lombardia, sezione II, del 21 marzo 2002, n. 1189).
Se nei termini previsti l'oblazione non è stata interamente corrisposta o è stata determinata in forma dolosamente inesatta, si applica la sanzione di cui all'articolo 40 della legge 47/85, con decadenza della domanda.
Diverso dovrebbe essere il caso in cui l'interessato versi in ritardo una rata. In questa circostanza si ritiene che non si debba parlare di omesso quanto di ritardato pagamento, e che si debba tenere conto di quanto disposto dalla legge 449/1997, la quale ha previsto, tra l'altro, l'applicazione dell'interesse legale annuo sulle somme dovute, da corrispondere entro 60 giorni dalla notifica da parte dei Comuni dell'obbligo di pagamento. Tale interpretazione è stata confermata dal Consiglio nazionale del notariato (studio 1998 del 24 marzo 1998).
La giurisprudenza amministrativa ha, infine, stabilito che – fino a quando l'amministrazione non si pronuncia sulla domanda di condono – il richiedente può modificare, sostituire o rinunciare alla richiesta, non prevedendo l'ordinamento alcuna norma impeditiva di tale potere (Tar Toscana, sezione III, del 21 dicembre 2004, n. 6520; Tar Lombardia, sezione II, del 18 dicembre 1987, n. 490).
Una volta esperita la formale rinuncia, ci si è chiesti se il privato abbia o meno diritto alla restituzione dell'oblazione versata alla presentazione dell'istanza di condono. A questo proposito, si evidenzia che con il rimborso dell'oblazione viene meno il presuupposto per l'estinzione dei reati edilizi. 

A cura di
Massimo GHILONI

18/04/2011

IL PUNTO

Permesso successivo
solo per i «difetti» formali

A differenza di quanto avviene per il condono, l'articolo 36 del Dpr 380/2001 (Testo unico edilizia) prevede che il permesso di costruire possa essere conseguito in sanatoria ogni qualvolta si sia in presenza di un abuso formale e non sostanziale, ossia quando l'opera – sebbene realizzata senza titolo o in difformità da esso – risulta comunque conforme alle prescrizioni urbanistiche.
Pertanto, il titolo abilitativo, pur non richiesto preventivamente, può essere ottenuto, a condizione che l'intervento risulti conforme sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione della costruzione sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria (Consiglio di Stato, sezione IV, n. 1763/2010). Nella originaria formulazione dell'articolo 13 della legge 47/1985 vi era anche il riferimento al non contrasto con gli strumenti urbanistici adottati, per i quali permane comunque l'obbligo dell'applicazione delle misure di salvaguardia.
L'iter
La domanda per l'accertamento di conformità per opere eseguite senza permesso di costruire o in difformità può essere presentata sia dal responsabile dell'abuso sia dal proprietario "attuale". La presentazione dell'istanza deve perentoriamente avvenire prima che i provvedimenti repressivi dell'abuso contestato divengano definitivi. Al riguardo, si sottolinea che il sindaco, una volta accertato l'abuso, è tenuto a ingiungere la sanzione ripristinatoria indipendentemente dall'accertamento della conformità, che si configura, perciò, come un onere a carico dell'interessato che deve far valere il proprio diritto al conseguimento della sanatoria, ottenendo come conseguenza la sospensione dei provvedimenti repressivi in attesa della definizione dell'accertamento.
Il silenzio serbato per 60 giorni dall'amministrazione sull'istanza di accertamento di conformità urbanistica ha in questo caso (contrariamente a quanto avviene per il condono) natura di atto tacito di rigetto, trattandosi di un provvedimento a carattere vincolato, privo di contenuti discrezionali (Tar Campania, Napoli, sezione V, n. 756/2008; Tar Lazio, Latina, n. 1106/2009; contra, Tar Molise, n. 1514/2010), avverso il quale si dovrà proporre ricorso al Tar. In caso di esito positivo dell'accertamento, invece, il provvedimento deve essere adeguatamente motivato e comporta la rinuncia – da parte dell'Amministrazione – a esercitare i poteri sanzionatori.
Anche se si fa riferimento al contributo di costruzione in misura doppia per commisurare la sanzione da corrispondere per l'abuso formale, la stessa viene qualificata come oblazione, per cui, oltre a venir sanato l'intervento dal punto di vista amministrativo, si estingue anche il reato penale.
La «via» giurisprudenziale
Non è stata affrontata nel Testo unico la cosiddetta sanatoria giurisprudenziale, istituto creato dai giudici amministrativi. In base a esso un immobile in contrasto con il piano urbanistico al momento della realizzazione, ma conforme al momento della rilevazione dell'assenza del titolo abilitativo, può conseguire il permesso in sanatoria, in quanto, qualora demolito, potrebbe essere legittimamente riedificato subito dopo.
Difatti, imporre per un intervento costruttivo, comunque attualmente "conforme" al piano, una duplice attività edilizia, demolitoria e poi riedificatoria, significherebbe ledere il principio di economicità dell'azione amministrativa, con la conseguenza, contrastante anche con il principio di proporzionalità, di un significativo aumento dell'impatto territoriale e ambientale (Consiglio di Stato, sezione VI, n. 2835/2009).
L'autodenuncia
Sostanzialmente analogo è il regime dell'accertamento di conformità in sanatoria per l'assenza di denuncia di inizio attività relativa agli interventi edilizi minori, disciplinata dall'articolo 37 del Testo unico. Viene esplicitamente prevista la possibilità di autodenuncia in corso d'opera, con conseguente applicazione della sanzione pecuniaria minima di 516 euro. Negli altri casi si applica una sanzione rapportata all'aumento di valore dell'immobile con una misura minima di 516 euro e una massima di 5.164 euro. Non si pone un problema di estinzione del reato penale, in quanto questo non è comunque ricollegabile alla mancanza della denuncia di inizio attività, nei casi in cui quest'ultima non sia sostitutiva del permesso di costruire.

Per una visione di sintesi si rinvia alla tabella allegata

I RIFERIMENTI NORMATIVI, LA GIURISPRUDENZA, LA PRASSI

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