Ho cominciato , da piccolo a sfogliare, a leggere i miei primi giornali nella biblioteca comunale di Nova Siri centro. Allora arrivava solo un quotidiano : “La gazzetta del mezzogiorno”. Ma in compenso i settimanali e i mensili abbondavano. Tra i settimanali , quello che sfogliavo con maggiore piacere rispetto agli altri, era l’”Europeo”,perché ci scriveva una giornalista, che in seguito sarebbe diventata una delle mie scrittrici preferite.
Questa giornalista ,a quel tempo , faceva l’inviata di guerra, andava sui fronti caldi dove si combatteva, si moriva, si sfidava la morte ,per raccontare le atrocità delle guerre, le motivazioni vere o presunte per cui scoppiano, la volontà di pace dei popoli, gli interessi sporchi dei pochi che sulla guerra ingrassavano ed ingrassano.
Intervistava i “potenti” di turno , quelli che decidono le sorti delle gente e del pianeta, cercando di tirare fuori da ognuno di essi , il lato nascosto , ciò che il ruolo ufficiale nascondeva, ciò che le parole non dicevano. L’intervista non era mai una resa davanti al “ Potere”. Era una sfida, alla pari, con il “Potere”. Da essa , al lettore, sarebbe dovuto restare qualcosa. Qualcosa da conservare, da coltivare, da curare: un antidoto per difendersi dalle malattie con il quale il potere si manifesta, attacca i corpi sani istituzionali e morali della società e dell’individuo.
Questa è stata la mia prima immagine, di cosa sia fare il giornalista,che mi è entrata nella mente e dalla quale non è mai uscita.
Forse , senza quella biblioteca comunale aperta ( non so , se oggi sia ancora aperta: è stata per anni chiusa) per me e tanti come me ,che a casa non avevano nessuno dei genitori che leggesse , ( perché i miei ,come tanti , non hanno avuto la fortuna di essere iscritti e frequentare una scuola ….) non sarei qui a scrivere quello che scrivo, non sarei quello che sono, non avrei fatto, in passato, le battaglie che ho fatto.
Oggi, quando leggo le interviste , di qualche giornalista locale a uomini politici , non posso, non notare, questo atteggiamento quasi “servile”,di chi si pone nella scomoda posizione di elemosinare le risposte,anziché esigerle, in nome di una opinione pubblica democratica, matura , consapevole, cosciente, per la quale si lavora e si rischia ,al pari di altre figure professionali,a volte ,anche la vita. Sì! Perché bisogna avere chiaro in mente che è l’opinione pubblica il proprio datore di lavoro ( perché compra il giornale) e il mondo politico è “ solo”il campo materiale presso il quale si svolge il lavoro, si esercita il controllo capillare per la difesa della salute democratica del nostro corpo sociale, non il contrario ( il mondo politico come “reale”datore di lavoro e l’opinione pubblica come campo da controllare per impedire che eserciti un controllo effettivo, reale su quello politico). Un giornalista che fa il contrario , non è un giornalista. E’ un megafono del potere. E l’Italia ne è piena. Quello di cui l’Italia ha bisogno, sono giornalisti ,che davanti a un qualsiasi rappresentante di partito , o delle istituzioni, anche a livello locale, siano sempre armati delle stesse motivazioni che spingevano la nostra giornalista a rischiare la vita, a sfidare la morte per raccontare verità che il potere voleva seppellire assieme ai morti.
Insomma, caro giornalista, su la testa : l’opinione pubblica ti chiede di affrontare chiunque con le armi che hai e che tu conosci : la tua preparazione , le tue domande, la tua intelligenza. Credimi sono sufficienti.
Il potere ha paura delle tue parole. Le parole sono armi. Non svenderle.
Buon lavoro.
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