domenica 24 aprile 2011

Dentro l’economia del Noi

L’economia del Noi rimanda all’idea di una economia “diversa” costruita dal basso, incentrata sull’importanza delle relazioni fra le persone, sulla sostituzione della logica dello scambio con la logica del dono e sulla valorizzazione dei beni comuni: nel “viaggio” di Roberta Carlini le nuove “pratiche di giustizia” e il loro rapporto con le forme tradizionali della politica.

di Emilio Carnevali
«Questo più che un saggio è un viaggio in una parte della società italiana trascurata dalla rappresentazione prevalente dei media. La parte di chi cerca di costruire con le relazioni, laddove la crisi economica e quella politica sembrano avere spinto molti a resistere chiudendosi: in casa, in un gruppo identitario, nel proprio interesse». Così Roberta Carlini presenta il suo libro L’economia del noi. L’Italia che condivide (Laterza, pp.122, 12 euro), un “viaggio”, appunto, dentro quelle esperienze nate introno all’idea di una economia “diversa” costruita dal basso, incentrate sull’importanza delle relazioni fra le persone, sulla sostituzione della logica dello scambio con la logica del dono e sulla valorizzazione dei beni comuni. Esperienze come i gruppi di acquisto solidali, la “finanza etica”, il cohousing (pratiche partecipative nella progettazione di abitazioni che mettono in comune alcuni spazi e servizi), gli Hub per le imprese impegnate nell’innovazione sociale, le comunità per il software libero.

Ma l’esplorazione compiuta dall’autrice è molto più che una rassegna meramente descrittiva di una serie di “storie” e dei protagonisti che le animano. C’è dietro una riflessione politica nient’affatto banale sul rapporto fra il tradizionale approccio “sistemico” delle esperienze politiche novecentesche e le nuove “pratiche di giustizia” sedimentate sul mutamento epocale subito dal panorama sociale, politico e culturale negli ultimi decenni. Pratiche che hanno certamente subìto un’accelerazione con la fine del Secolo Breve e delle sue “grandi narrazioni” di emancipazione collettiva, ma che rimandano ad un dilemma politico-esistenziale già presente nei movimenti degli anni Sessanta e Settanta, costantemente oscillanti – per riprendere una efficace analisi di Nanni Balestrini e Primo Moroni (L’Orda d’Oro 1968-1977, Feltrinelli) – «tra volontà di opporsi e governare in modo diverso le trasformazioni in atto e la tendenziale “fuga” controculturale in una ideale società separata come forma di rifiuto collettivo»; in altre parole la frattura fra «l’area controculturale e quelle politica» del movimento.

Oggi quella frattura – si richiede al lettore un minimo di indulgenza sulla sovrapposizione delle medesime categorie analitiche a esperienze molto diverse fra loro per contesto storico e matrici culturali – è accresciuta da ulteriori dilemmi ed elementi di criticità riscontrabili all’interno delle “pratiche alternative”. In particolare vorremmo attirare l’attenzione su due elementi che ricorrono anche nella riflessione della Carlini:

- La possibilità che l’etica connessa a determinati stili di produzione o consumo sia un ulteriore strumento di “valorizzazione commerciale” per le produzioni e i consumi tradizionali: ad esempio la “linea etica” come prodotto personalizzato per una certa categoria di consumatori nei panieri di prodotti finanziari offerti dalle grande banche; l’utilizzo di finanziamenti a progetti e iniziative benefiche come fiore all’occhiello di un qualsiasi soggetto privato desideroso di un restyling d’immagine, ecc. Insomma la possibilità che il mercato catturi anche l’antimercato in virtù dell’appetibilità commerciale delle stesse pratiche “antimercatiste”.
- Il pericolo che molte “pratiche di giustizia” nate dal basso suppliscano ad un arretramento dello Stato, al venir meno di presìdi di welfare che dovrebbero essere richiesti dai cittadini come “diritti” dalle istituzioni pubbliche e non elargiti come “opere di bene” da pur meritevolissime organizzazioni impegnate nel sociale.

Roberta Carlini è ben consapevole di questi dilemmi, soprattutto con riferimento alla contrapposizione fra la «buona volontà cooperativa» che emerge dalle esperienze descritte e la possibilità che gli stessi beni e servizi dell’“economia del Noi” possano tradursi in un «progetto politico» in cui lo Stato si faccia garante della soddisfazione di certi bisogni, della produzione di certi “beni pubblici” su un piano di parità, universalità e uguaglianza di tutti i cittadini. «Chi scrive», precisa l’autrice, «viene da una formazione politica e culturale di questo tipo, e non pensa affatto che quest’idea alta della politica sia tramontata».

Il dilemma può essere risolto sottolineando gli aspetti complementari e non antitetici fra i due approcci: innanzitutto, visto che la realtà effettiva dell’Italia è oggi molto diversa dall’ideale del «progetto politico» universalista evocato, «il coinvolgimento delle comunità dal basso interessate e partecipi» può «far arrivare i servizi pubblici laddove adesso non arrivano, o non sono mai arrivati, e alzare la loro qualità sociale» (si pensi, con riferimento a quest’ultimo punto, ai recenti sviluppi della teoria economica sul rapporto fra Stato-Mercato-beni pubblici e sulla gestione collettiva dei beni comuni come quelli contenuti nella ricerca del premio Nobel per l’economia Eleanor Ostrom).

Inoltre «è presumibile che laddove c’è una comunità organizzata e attiva, ci si organizzerà e attiverà anche per alzare la voce nell’arena pubblica, e pretendere dallo Stato quello che lo Stato può e deve dare». Questo è lo spirito che anima molti dei protagonisti delle storie qui raccolte. Assai significativa è la frase con la quale don Alessandro Santoro della Comunità delle Piagge a Firenze risponde alle obiezioni mossegli dall’autrice: «Non suppliamo al sistema, noi lo denunciamo!».

Al di là di ogni riflessione di tipo teorico, da lettori possiamo aggiungere che è comunque molto salutare, in tempi in cui il nostro paese offre una rappresentazione pubblica di sé così involgarita e meschina, immergersi in mondi caratterizzati da una genuina spinta ideale, dall’idea di un progetto funzionale al miglioramento della propria vita e di quella degli altri. Una boccata di aria fresca nell’Italia del Bunga Bunga e degli Scilipoti.

Fonte: Micromega

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