venerdì 9 dicembre 2011

Ma i partiti non giochino a nascondino


9/12/2011

Ma i partiti non giochino a nascondino




di FEDERICO GEREMICCA, dalla stampa

Strizzatine d’occhio in Parlamento, così che solo chi deve capire capisca; incontri alla maniera dei carbonari, preferibilmente col buio e solitamente in luoghi inusuali; telefonate da cellulare a cellulare, senza passare dalle segreterie; e poi, naturalmente, distinguo, prese di distanze e la ripetizione sempre più stanca di un ritornello che dice «questi provvedimenti non ci piacciono, ma dovremo votarli per forza».

Ecco, mentre la manovra di Monti muove i primi passi in Parlamento, c’è un interrogativo che va facendosi ormai ineludibile: per quanto tempo ancora i partiti che hanno deciso di sostenere il governo del Professore potranno continuare così, in questa sorta di «si fa ma non si dice», un piede dentro e l’altro fuori nel tentativo di ridurre i danni elettorali che temono di subire in ragione della manovra in discussione?

Intendiamoci, nessuno ha mai immaginato nemmeno per un istante che dalla feroce contrapposizione che ha segnato nell’ultimo quindicennio i rapporti tra centrodestra e centrosinistra, si potesse passare d’incanto a una sorta di magica e pacificata «unità nazionale»: ma è pur vero che tra un esecutivo di larghe intese - classicamente inteso - ed un governo di vaghe intese (intese tanto vaghe al punto da risultare indecifrabili) forse un punto di equilibrio era lecito attenderselo, e soprattutto è necessario trovarlo. L’idea, infatti, che si possa arrivare fino alla primavera del 2013 in mezzo a questo stillicidio di distinguo e recriminazioni (soprattutto da parte delle forze della ex maggioranza, a dir la verità) appare illusoria ogni giorno di più.

Approvata la manovra, con l’anno nuovo diventerà assolutamente indispensabile fare una scelta: o al voto subito, costi quel che costi, e perfino con l’attuale e pessima legge elettorale; oppure ancora un anno di lavoro, ma con uno spirito che non può esser quello di queste ore e - soprattutto - con strumenti di coordinamento tra i partiti (da cabina di regia a «direttorio»: li si chiami come si vuole) che rendano meno cervellotiche e complicate le necessarie consultazioni del premier, e diano il senso di un impegno pieno delle forze politiche che appena tre settimane fa hanno deciso di non andare al voto per evitare la bancarotta del Paese.

Che la larga maggioranza dei soggetti politici in campo (con la dichiarata esclusione del Pd di Bersani) abbia vissuto con fastidio e disappunto l’investitura di un governo tecnico, è apparso chiarissimo fin dai giorni convulsi della nascita dell’esecutivo. Ugualmente evidente è il fatto che la forza del gabinetto-Monti risiede (oltre che nell’esplicito sostegno del capo dello Stato) nei risultati che riuscirà ad ottenere, piuttosto che nel sostegno di una maggioranza parlamentare pure larghissima. Detto tutto ciò, nessuno avrebbe potuto immaginare che la tiepida disponibilità della maggioranza uscente si sarebbe così rapidamente trasformata prima nel no della Lega e poi in quella sorta di gelo critico col quale il Popolo delle Libertà sta avvolgendo il governo del Professore. È un quadro che non può reggere a lungo, in tutta evidenza. Ed è un atteggiamento che dubitiamo finirà per risultare pagante, quando arriverà il tempo delle elezioni.

Difficile infatti immaginare che gli italiani abbiano dimenticato dov’eravamo appena tre settimane fa: le solite risse sulle escort e sulla giustizia mentre il Paese affondava, lo sconcerto (e gli sfottò) della stampa internazionale intorno al caso-Italia, i sorrisi insopportabili - ma indimenticabili - della Merkel e di Sarkozy sollecitati a dire la loro sull’affidabilità italiana. Eravamo lì: e da lì, purtroppo, non siamo ancora sufficientemente lontani. E l’idea che a colpi di distinguo e prese di distanze si possano convincere gli elettori che il governo uscente avrebbe fronteggiato la crisi in maniera più efficace di quello presente, è del tutto illusoria: i cittadini, infatti, non potrebbero che chiedersi «e allora perché non l’avete fatto?».

Meglio sarebbe rimboccarsi le maniche e dare una mano per quel che si può, ognuno rinunciando - come inevitabile, considerata la situazione - a qualcuno dei «punti fermi» dei propri vecchi e spesso fallimentari programmi. Insomma: uno sforzo esplicito e leale per il bene comune, come si sarebbe detto un tempo e non si dice più. È assai probabile, in fatti, che gli elettori siano più disposti a premiare nelle urne - quando sarà - un impegno evidente (e perfino autocritico) piuttosto che questa già insopportabile melassa fatta di ipocrisia, distinguo e incontri segreti più o meno smentiti...

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