giovedì 22 dicembre 2011

Il governo del presidente fa politica


22/12/2011

Il governo del presidente fa politica




di GIAN ENRICO RUSCONI, dalla stampa

Nel passaggio alla sua seconda fase programmatica, il governo Monti dispiega la sua piena natura politica, aggredendo problemi che vanno ben al di là dell’emergenza immediata. Problemi che hanno radici profonde e che nessun governo precedente ha osato o è riuscito a risolvere - tanto meno l’ultimo lungo governo berlusconiano e leghista.

Appaiono quindi inconsistenti le riserve e le preoccupazioni originariamente avanzate circa i limiti della natura «tecnica» del governo Monti, semplicemente perché in esso non ci sono membri parlamentari.

Come se la «politica» fosse un bollino di garanzia riservato agli «eletti dal popolo» eletti oltre tutto con il sistema difettoso che sappiamo.

Adesso nei confronti del governo presuntivamente «non politico» si alzano voci perentorie a favore dell’urgenza di nuovi interventi «per la crescita» - proprio da parte di quella maggioranza politica che si è rivelata incompetente, incapace, impotente. Ma il coro delle aspettative deluse è sempre più unanime.

Per cercare di capire, diamo uno sguardo retrospettivo alla prima fase del governo Monti e alla qualità del sostegno che ha ricevuto. L’altro giorno il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha respinto con parole chiare e ferme la tesi di una «sospensione della democrazia». Ha risposto così anche a perplessità e dubbi che giorni prima erano stati espressi su importanti giornali circa la legittimità/legittimazione costituzionale della formazione di questo governo. Si tratta di interrogativi giustificati che tuttavia non tengono conto del contesto politico effettivo.

Le ragioni del successo dell’operazione che ha portato al governo Monti sono state tre. Al primo posto c’è stata la decisa e convinta iniziativa del Presidente della Repubblica; ad essa ha risposto immediatamente il pronto sostegno dell’opinione pubblica, veicolato dai grandi giornali nazionali; contestualmente c’è stato l’ammutolirsi improvviso della classe politica, quantomeno quella di maggioranza. Per qualche giorno in Italia - in modo inatteso - la stampa ha orientato ed espresso l’opinione dei cittadini, al di là dell’imbarazzo del sistema mediatico televisivo, in sintonia con l’azione del Quirinale.

«Governo del Presidente» è stata la formula pubblicistica che meglio definiva la situazione. Come tale è stata istintivamente accolta da molti. E’ una formula che non esiste nella Costituzione e verosimilmente in nessuno dei manuali degli esegeti costituzionali. Ma d’istinto è stata percepita come soluzione assolutamente costituzionale per l’emergenza. Opportunamente Napolitano, nella sua messa a punto dell’altro ieri, ha preferito ignorare la formula «governo del Presidente», che avrebbe potuto prestarsi ad equivoci. Ma rimane il dato di fatto della sua personale autorevolezza quale garanzia della continuità costituzionale.

L’autorevolezza del Presidente della Repubblica è anche il fattore decisivo di stabilità in un clima sociale che è sensibilmente cambiato. L’opinione pubblica mostra segni di disillusione. I giornali sono pieni di interrogativi e contrasti di opinione e di giudizio tra i loro stessi commentatori.

In questo contesto la classe politica riprende la parola, anche se non nasconde le sue divisioni interne. I politici più sprovveduti sembrano godere delle difficoltà che incontra il governo Monti che si trova al centro della mutazione della politica italiana. Hanno gli occhi fissi sulle elezioni, a scadenza naturale o addirittura anticipata, come se soltanto quella fosse «la soluzione politica». Per loro questo governo è un tunnel da attraversare il più rapidamente possibile, per poi tornare nella condizione «normale» («democratica» - qualcuno si permette di enfatizzare).

Molti politici non si rendono conto che proprio lo scontro frontale del governo con le parti sociali con il coinvolgimento diretto, in prima persona, di molti suoi ministri sta dando tratti nuovi alla politica. Sta cambiando la sensibilità politico-sociale. Persino l’enorme difficoltà del governo di venire a capo dei tenaci interessi particolaristici di categorie, gruppi sociali, lobbies o caste, ha l’effetto paradossale di renderli palesi e intollerabili agli occhi dell’opinione pubblica.

Anche la personalizzazione del confronto in atto è qualcosa di più e di diverso della prosecuzione della «democrazia mediatica» della stagione berlusconiana. La politica mediatica, che abbiamo visto montare nel decennio passato, si rivela irreversibile ma cambia carattere. Sta incidendo sul rapporto tradizionale tra cittadini e istituzioni democratiche - in senso negativo e in senso positivo. Le centralità delle piazze fisiche e soprattutto di quelle mediatiche (senza le quali non ci sarebbero le prime) si affianca e condiziona la centralità politica del parlamento.

Il governo Monti è al cuore di questa mutazione. Si sbagliano dunque quei politici che pensano di poter lucrare sul duro e doloroso scontro del governo con le parti sociali e con settori significativi della società civile. Si sbagliano se pensano di cavarsela addossando al governo l’impopolarità, l’insufficienza e la limitatezza delle sue misure, scusandosi quasi di sostenerle in Parlamento per dura necessità - in attesa di «tornare alla politica». Proprio il fatto che gli attuali ministri e ministre debbano confrontarsi faccia a faccia con le forze sociali organizzate, con gruppi e singoli cittadini arrabbiati dimostra che i cosiddetti tecnici stanno facendo politica, mentre i politici eletti rischiano di praticare un opportunistico attendismo.

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