21/12/2011
di MARCELLO SORGI, dalla stampa
Se una data era da stabilire, nel lungo e incerto calendario della transizione italiana, per fissare la fine della Seconda Repubblica, ieri, 20 dicembre 2011, Napolitano l’ha segnata. Anche se non lo ha detto esplicitamente, il senso del suo discorso di auguri alle maggiori autorità istituzionali e politiche era questo. A poco più di un mese dalla nascita del governo Monti, il Presidente, con la severità che si richiede in certi momenti, ha voluto spiegare che non siamo di fronte a un passaggio contingente, a una parentesi che presto si chiuderà per tornare all'epoca precedente. L'opera di risanamento è appena iniziata e non dovrà riguardare soltanto i conti pubblici e le riforme economiche necessarie per restare in Europa. La sfida che il Capo dello Stato ha riproposto ai partiti è quella che aveva lanciato all’inizio del suo mandato: cambiare la Costituzione, le regole, il sistema politico, uscire per sempre dal ventennio degli scontri gridaioli e della paralisi reciproca degli schieramenti avversari, per inaugurare nella prossima legislatura una vera alternanza, più simile a quelle che funzionano da tempo in molti paesi europei.
Che tutto ciò sia possibile, nel breve periodo che rimane di qui alle elezioni del 2013, è da vedere. Ma era chiaro che Napolitano ha parlato confidando che questa convinzione possa diffondersi anche più rapidamente del previsto. Non si spiegherebbe altrimenti il riferimento al senso di responsabilità di Berlusconi nel dimettersi e nell’agevolare la nascita del governo tecnico, evitando lo scioglimento delle Camere. E vorrà anche dire qualcosa che il Cavaliere s’è ritrovato citato, dal Presidente, oltre che con Monti, con Andreatta e Quintino Sella: un insieme eterogeneo, ma destinato ad accrescere il valore delle sue recenti decisioni.
Se questa è la premessa, tuttavia, va detto che il comportamento dei partiti in queste prime settimane di lavoro del governo non è stato all’altezza. Bene la larga fiducia concessa a Monti per il suo insediamento. Ma subito dopo, i mugugni hanno avuto il sopravvento, rendendo più difficile il lavoro dei tecnici e meno evidente il risultato delle loro scelte. Né serve che gli stessi leader politici, che ogni giorno denunciano la sospensione della democrazia ed esplicitano il loro dissenso da una manovra approvata solo per necessità, si affannino a ripetere che nessuno di loro ha intenzione di provocare crisi, e sarebbe da irresponsabili anticipare le urne. L’idea che questa ambiguità possa servire ad ingannare gli elettori, che ovviamente reagiscono alla politica di sacrifici, è ingenua e alla fine controproducente. Meglio farebbero, gli stessi partiti, a impegnarsi per convincere l’opinione pubblica che tutto quel che si sta facendo, non solo è necessario, ma perfino giusto, nei limiti di una situazione di emergenza gravissima e senza precedenti.
Non c’era pessimismo, nelle parole di Napolitano, semmai una logica stringente. D’altra parte tutti sanno che il punto a cui si è arrivati - punto limite, punto di non ritorno - è il frutto di tanti comportamenti sbagliati di questi anni, colpe reciproche, responsabilità diffuse. C’è l’emergenza, ha chiarito il Presidente, ma non c’è stata alcuna forzatura: è semplicemente accaduto in Italia ciò che paesi come Germania o Inghilterra, in situazioni politiche eccezionali, hanno già fatto senza che nessuno si alzasse a gridare allo scandalo. Esperienze come la grande coalizione tedesca o il governo di coalizione inglese sono risposte pari a quella del governo tecnico italiano, sono «riserve» ma anche «risorse».
Per questo, se si riuscirà a superare il clima di incertezza di queste settimane - consentendo al governo di continuare a mettere in pratica il programma riformatore su cui ha avuto la fiducia, e approvando, dissentendo e negoziando, com’è normale in ogni sistema politico -, una grande occasione potrebbe aprirsi per le stesse forze politiche che hanno finora stentato a ritrovare il loro baricentro.
Dopo il discorso di ieri, sull’agenda proposta dal Capo dello Stato - riforme istituzionali e della seconda parte della Costituzione, dei regolamenti parlamentari e della legge elettorale - dovrebbe aprirsi un serio dibattito, tra i partiti e al loro interno. Solo così, chiusa per sempre la stagione della Seconda, nella prossima legislatura l’interminabile, infinita transizione italiana potrebbe davvero concludersi: lasciando posto alla Terza Repubblica e a un’autentica democrazia compiuta.
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