28/12/2011
di FRANCO BRUNI, dalla stampa
Il nuovo governo non ha ancora avuto il plauso pieno dei mercati: lo spread sui nostri titoli di Stato rimane alto, anche se gli acquisti della Bce si sono potuti alleggerire. I cittadini non vedono ancora la corrispondenza fra i sacrifici richiesti per aggiustare i conti e il miglioramento dell’affidabilità creditizia del Paese. Quanto dovranno aspettare? Tutti sanno che occorre tempo perché i provvedimenti diano frutto concreto. Ma si era sperato in un miracolo di credibilità. Cambiato il governo e il suo stile, i mercati avrebbero anticipato i benefici della sua azione, il costo del nostro debito lo avrebbe mostrato e ci sarebbe stato più ottimismo degli investitori e dei consumatori. Quanto occorrerà attendere perché questo succeda?
La risposta dipende da tre insiemi di fattori. Il primo è, ovviamente, la capacità che il governo mostrerà nel continuare la sua azione con decisione, affrontando i problemi sui quali non ha ancora inciso abbastanza. Il secondo fattore è l’atteggiamento dei partiti. Monti ha ottenuto una tregua alle baruffe e ha avuto una gran quantità di voti in Parlamento.
Ora serve una più esplicita adesione all’idea che occorre una fase politica nuova, anche dopo la fine di questa legislatura, una fase di concordia e convergenza che veda nell’elettorato e nei suoi rappresentanti la piena consapevolezza che i problemi del Paese non potranno, ancora per diversi anni, essere affrontati litigando, con l’occhio all’ultimo sondaggio e a guadagni effimeri nelle prossime elezioni. I tre partiti che appoggiano il governo devono accelerare il chiarimento delle loro strategie e, se credono davvero in una fase di azione condivisa, devono smettere di dar l’impressione che non riescono a scordare i litigi passati e non vedono l’ora di riprendere a litigare. Per i mercati la credibilità del governo non può resistere senza progressi più evidenti nella credibilità del quadro politico d’assieme che, fra l’altro, ha non più di un anno per prepararsi a far proposte decenti per la prossima legislatura.
Il terzo fattore necessario perché l’azione del governo trovi un’eco più netta nei mercati, riguarda le politiche europee. In Europa c’è disordine. Gli ultimi vertici si sono conclusi in modo confuso e pasticciato. Non c’è niente di veramente chiaro e ben condiviso: né i meccanismi di sostegno finanziario e di solidarietà che dovrebbero calmierare la speculazione dei mercati, né i modi per mettere in pratica la riforma del Patto di Stabilità e il controllo centralizzato degli squilibri macroeconomici, né il ruolo della Bce. La quale ha appena deliberato un colossale finanziamento triennale a favore delle banche e vede ridepositare presso di sé gran parte di quanto ha prestato. Significa che il sistema creditizio europeo è ancora ingolfato, che non è stata fatta la necessaria pulizia nelle banche, che la fiducia e la trasparenza non sono ritornate, che il mondo del credito non è indifferente ai dubbi che circolano sul futuro politico dell’Unione. In queste condizioni non è facile, indipendentemente dalla credibilità dell’Italia, che i nostri titoli pubblici detenuti all’estero in gran quantità vedano migliorare rapidamente le loro quotazioni. Difficoltà analoghe trova il debito di diversi altri Paesi europei.
Fra i tanti chiarimenti necessari nelle politiche europee, alcuni ci sarebbero particolarmente utili, in questa fase delle nostre politiche nazionali. Innanzitutto il capitolo dei provvedimenti per la crescita deve diventare subito più importante anche in Europa: senza un progetto di crescita europea, la credibilità di quelli nazionali ha limiti insuperabili. Il punto chiave è l’azione per il completamento del mercato unico, che è il pilastro principale dell’Ue. Non c’è crescita duratura per i singoli Paesi europei se non si sfrutta il maggior vantaggio dell’economia comunitaria: quello di avere a disposizione, se lo si valorizza sul serio, il grande mercato comune, quello che ancora oggi è il più grande mercato interno del mondo. Sulla questione la tabella di marcia dell’Ue, per eliminare i tanti residui di segmentazione e protezionismo, riflette un progetto preparato più di un anno fa proprio dal nostro attuale premier. Speriamo che il suo contributo ai prossimi vertici serva ad accelerare l’effettiva marcia verso il mercato unico e verso una strategia di crescita comunitaria dove si inserisca bene quella italiana. Si dice (ma sarà ancora vero?) che il tema del mercato unico è particolarmente caro agli inglesi. Servirebbe allora rimediare al pasticcio fatto con la Gran Bretagna nell’ultimo vertice europeo.
Un altro risultato da ottenere in Europa è il chiarimento del rapporto fra gli aggiustamenti richiesti per i bilanci pubblici e la fase del ciclo economico in cui essi devono avvenire. Non bisogna temere di essere costretti a una nuova restrizione fiscale se l’anno venturo avremo un rallentamento del Pil o, addirittura, una recessione. Altrimenti il Pil andrà ancor peggio e, per riaggiustare il rapporto fra deficit e Pil, serviranno nuovi tagli, e così via, un insensato circolo vizioso. L’aggiustamento del bilancio pubblico deve rimediare alla miopia della politica, non deve aggravarla. Certamente la cosa non riguarda solo l’Italia. In materia le regole di Bruxelles non sono ancora chiare o non sono state ancora abbastanza chiarite. Fino a quando non lo saranno i mercati avranno diritto di lesinare credibilità alla disciplina fiscale dei Paesi europei, anche quando si mostra rigorosa: hanno diritto di ritenerla inefficace, controproducente e perciò, a lungo, insostenibile.
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