martedì 27 settembre 2011

La goccia che ha fatto spazientire il Cardinal Bagnasco.

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di Ugo Magri, da La Stampa, 27 settembre 2011



C' è sempre una goccia che fa tracimare il vaso, e nel giro berlusconiano credono di sapere precisamente quando lo sdegno del cardinal Bagnasco ha rotto gli ultimi argini. Pare sia stato una decina di giorni fa, dopo che il «Fatto quotidiano» se ne uscì raccontando il «porno-sacrilegio» (neologismo di Paolo Flores d'Arcais) commesso durante una festa di Arcore: spogliarello della Minetti vestita da suora, parodia a luci rosse del film «Sister Act», e benedizione goliardica di Silvio, col crocifisso di legno annegato poi tra i seni della consigliera regionale...



Così perlomeno racconta una testimone, o sedicente tale, nel processo su Ruby che si aprirà il 3 ottobre a Milano, e tante altre ne sentiremo sulla falsariga o peggio. Cosicché nessuno si è mai dato pena di smentire il «Fatto». Narrano a Palazzo Grazioli di una telefonata non a Berlusconi personalmente ma a Letta, nella quale Bagnasco avrebbe manifestato tutto il suo sdegno.



Ieri la «mazzata pazzesca» del presidente Cei, come la definiscono nel Pdl. Dove se la sentivano piombare addosso e, se si dà ascolto a personaggi molto influenti della cerchia berlusconiana, avevano fatto di tutto per scongiurarla, o comunque per evitare che prendesse le sembianze di una condanna all'Inferno.



Il Cavaliere come al solito ci ha messo del suo, rifiutando qualunque gesto di pentimento, perdendo perfino l'occasione di emendarsi che Ferrara gli aveva servito sul piatto d'argento con la famosa lettera al «Foglio»... «Non ho nulla da rimproverarmi»,è l'auto-difesa cocciuta berlusconiana. Anziché cospargersi il capo di cenere, Silvio sostiene che in fondo «qualunque italiano, con le mie possibilità economiche, in casa sua si comporterebbe allo stesso modo». Il ministro Rotondi coglie con vena ironica il paradosso quando definisce Berlusconi «santo puttaniere» che comunque, aggiunge, «passerà alla storia da grande statista».



I cattolici del Pdl si stracciano le vesti. Telefonate sul filo della disperazione al segretario Alfano. Sfoghi del tipo «la nostra sopportazione ha un limite», «scherza coi fanti ma lascia stare i santi», «verremo mangiati vivi da Casini», il quale negli ultimi sondaggi riservati è l'unico che guadagna voti. E ancora: «Dovrebbe chiedere scusa all'Italia come Strauss-Kahn, anzi dovrebbe annunciare il passo indietro come Zapatero». Bisogna vedere poi in concreto chi avrà il coraggio di dirglielo. Come nel congresso dei topi, tutti sono d'accordo che al gatto andrebbe messo un campanello al collo, salvo che nessuno glielo va a legare...



(27 settembre 2011)







Di seguito l'articolo apparso sul "Fatto quotidiano".
di Paolo Flores d’Arcais, da il Fatto quotidiano, 20 settembre 2011



Davvero enigmatico il prolungato silenzio di monsignor Rino Fisichella, da tempo in odore di porpora cardinalizia, dati i suoi trascorsi di cappellano di Montecitorio e dunque direttore spirituale e confessore di tanti “eccellenti”. Sono passati ormai 4 giorni dalla clamorosa intervista a il Fatto quotidiano in cui una partecipante ai festini/mercimonio di Berlusconi ha raccontato il porno-sacrilegio che ha visto la consigliera regionale Nicole Minetti (eletta nel listino bloccato personale di Formigoni, guru storico di Comunione e Liberazione) vestita da monaca esibirsi in uno spogliarello sexy al palo della lap dance, molto efficace, sembra (“un bellissimo spettacolo, davvero”), e – una volta che la consigliera di Formigoni è completamente nuda – concluso dal premier che smaneggia un crocifisso piazzandoglielo prima tra le tette e poi tra le cosce mentre biascica una personalissima variante della benedizione canonica (“ha detto ‘Dio santo ti benedica’; poi le ha appoggiato il crocifisso sulla testa, tra le gambe e sui seni”).



Ci aspettavamo che monsignor Fisichella intervenisse prontamente, come già in passato a proposito di un exploit del premier bestemmiatore, per invitare i fedeli troppo facili a scandalizzarsi (facendo il gioco dei comunisti, ça va sans dire) a contestualizzare il comportamento dell’ex compagno di merende di Gheddafi, relativizzandolo ad esuberanza ludica. Invece nulla. Evidentemente quel comportamento non esige neppure una cattolica contestualizzazione: va bene così. Del resto nessun altro giornale l’ha ripreso, e nessuna delle tante trasmissioni di approfondimento che, in assenza di Annozero, confermano così di essere civilmente e giornalistica-mente superflue (civismo e giornalismo dovrebbero fare una cosa sola, secondo “leggende” come Joseph Pulitzer, e ancor prima come il grande storico dell’Ottocento Jules Michelet).



Evidentemente, tanto la Chiesa gerarchica quanto il giornalismo embedded considerano che l’episodio sia irrilevante sul piano pubblico. Sia chiaro, noi siamo tra i pochissimi a credere davvero che la vita sessuale e privata di ciascuno vada rigorosamente rispettata (gli “attenzionamenti” di Pio Pompa hanno avuto sanzioni? Anche solo morali? I nostri “garantisti” un tanto al chilo farebbero meglio a tacere), e che ogni incursione in esse vada severamente repressa. Con le eccezioni e i limiti che ciascuna persona pubblica stabilisce ella stessa.



Nei giorni scorsi, dopo il tragico esito di un gioco sadomasochista in un garage di Roma, uno dei guru in fatto di “bondage” ha raccontato (cronaca di Roma di Repubblica) come gli adepti siano tantissimi, di ogni ceto sociale, e nella “comunità” fosse presente un notissimo politico da poco promosso ai vertici di un importante partito. Giustamente nessuno ha approfondito, e anzi quella stessa dichiarazione, forse non sufficientemente criptica, era censurabile.



Ma l’onorevole che propone una legge contro l’omosessualità non può lamentarsi se un cronista svela una sua relazione gay, il ministro che tuona contro la prostituzione ha già stabilito la legittimità (anzi doverosità) di uno scoop che lo colga in meretricio sollazzo, il candidato tutto casa e chiesa e indissolubilità del matrimonio non può obiettare se una o più famiglie parallele finiscono in pasto a lettori e telespettatori. Per non parlare delle campagne contro l’aborto.



Perciò, i porno-sacrilegi con crocifisso tette e cosce cui si dedica il succube di Tarantini nella sua villa di Arcore (strappata per un tozzo di pane a un’orfana minorenne grazie alle cure dell’avvocato Previti, non dimentichiamolo) sarebbero vicenda privata, se il puttaniere-premier avesse condotto le campagne elettorali sventolando l’opera omnia del marchese de Sade come personalissimo “Mein Kampf”. Ma il Berlusconi porno-sacrilego è lo stesso che come capo del governo ha sostenuto con grande dovizia di mezzi pubblici un contenzioso di fronte ai tribunali europei, il cui oggetto era l’irrinunciabilità del crocifisso in tutte le aule scolastiche dello Stivale, perché simbolo altissimo di civiltà, sacralità, identità e chi più ne ha più ne metta.



Perciò l'uso che Berlusconi fa del crocifisso, il suo teatrino di “messe rosa”, di propiziazione e supporto a una virilità idraulico-artificiale evidentemente indigente, è questione di rilevanza pubblica. Il silenzio dei media in proposito si chiama censura e viltà , fino all’omertà. Quello della Chiesa gerarchica rientra invece piuttosto tra gli effetti collaterali di una vocazione simoniaca che con Ruini, Bertone e Bagnasco è di nuovo prepotentemente riaffiorata. Se Bertone cita domenica un richiamo di Benedetto XVI ai laici (del settembre 2008), secondo cui devono essere “testimoni di coerenza tra i principi, la vita spirituale che praticano, e i comportamenti” e fa il pesce in barile per quanto riguarda nomi e cognomi, rifiutando anche la più obliqua, “gesuitica” o sibillina allusione al puttaniere di Arcore, è perché non c’è sacrilegio ne spudorata infamia morale che prevalga per il Vaticano rispetto al sontuoso piatto della bilancia dove pesano l’8 per mille, le esenzioni Ici, le anticostituzionali munificenze alla scuola privata, il bacio della pantofola allo Ior, la tortura di Stato per i moribondi, e le altre infinite delizie mondane e spirituali che la Cei ha ottenuto in questi anni dal regime. Una volta di più, tra Dio e Mammona la Chiesa cattolica gerarchica sceglie inequivocabilmente Mammona.



(21 settembre 2011)

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