di Stefano Folli , dal " Sole 24 Ore"
Se traduciamo in termini politici il severo giudizio morale espresso ieri dal cardinale Bagnasco a nome dei vescovi italiani, la conclusione può essere solo una. Silvio Berlusconi si è talmente indebolito nelle ultime settimane da indurre la Chiesa ad abbandonare la sua consueta prudenza.
Certo, Bagnasco non ha mai nominato il presidente del Consiglio, ma ieri sera non c'era nessuno, proprio nessuno che avesse dubbi sul significato e sull'obiettivo dell'iniziativa della Cei. Riconoscerlo non vuol dire «strumentalizzare Bagnasco», come sostengono gli esponenti del Pdl che hanno il dovere di difendere il leader, ma più semplicemente prendere atto della realtà.
Berlusconi è stato condannato con durezza perché i suoi comportamenti morali imbarazzano oltre misura il mondo cattolico, e anche perché il quadro politico di cui il premier era ed è ancora il garante si sta logorando. A lungo la Chiesa si è ispirata alla "realpolitik" nei confronti di Berlusconi: basti pensare alla linea seguita dal segretario di Stato, il cardinale Bertone. Ma dietro questa posizione ufficiale, che pure negli anni non è stata priva di vantaggi, c'era il disagio di una vasta collettività. E la Chiesa, nel suo complesso, ha la memoria lunga: prima o poi salda i suoi conti. Ad esempio, è difficile dimenticare che l'allora direttore di "Avvenire", Dino Boffo, fu oggetto di una campagna distruttiva proprio perché aveva dato spazio alle voci critiche della base cattolica circa le abitudini e i costumi del premier.
È stato anche detto: non c'è nelle parole di Bagnasco una vera e propria «scomunica politica» di Berlusconi. Sì e no. È vero che il presidente della Cei ha posto interrogativi che riguardano l'uso e l'abuso delle intercettazioni, ma ha anche precisato che questo non deve far velo all'immoralità rivelata dalle indagini. Ed è anche vero che il richiamo alla «questione morale» coinvolge, nelle sue parole, più o meno tutte le parti politiche. Però è evidente che il «decoro delle istituzioni» è stato sfregiato da chi avrebbe dovuto farsene paladino, quindi da chi riveste responsabilità istituzionali.
Del resto, c'è un passaggio che sembra adombrare un sommesso invito alle dimissioni rivolto al premier: laddove si parla di «rapporti cristallizzati e insolubili, tanto da inibire seriamente il bene generale». In questi casi, afferma Bagnasco, «ognuno è chiamato a comportamenti responsabili e nobili; la storia ne darà atto».
Si può interpretare così: la storia sarà riconoscente nei confronti di chi si ritira dalla scena, in modo «responsabile e nobile», così da rendere un servigio al «bene generale», cioè al Paese. Il linguaggio è quello ecclesiastico, ma molto meno filtrato di altre volte. Tanto più che la Cei guarda a future forme di aggregazione politica che possano interessare i cattolici. In tale contesto la formale scomunica di Berlusconi non era necessaria. È tutto il discorso del cardinale a testimoniare del grave indebolimento a cui è giunto nel corso delle ultime settimane il presidente del Consiglio. E di sicuro da stamane egli non sarà più forte.
È come se la Chiesa considerasse chiusa o in via di superamento una lunga fase politica vissuta nel segno berlusconiano. Come se guardasse con scetticismo e distacco ai tentativi della maggioranza di mostrarsi vitale nonostante tutto. Senza dubbio resta vigile l'attenzione per i provvedimenti graditi, ad esempio la legge cosiddetta sul «fine vita». Ma si guarda oltre: al destino di un centrodestra o di un'area moderata che dovrà sopravvivere a Berlusconi e riorganizzarsi per i nuovi tempi. Quando si farà la storia del lungo tramonto del berlusconismo, l'intervento di Bagnasco sarà ricordato come un momento rilevante, forse persino cruciale.
Se traduciamo in termini politici il severo giudizio morale espresso ieri dal cardinale Bagnasco a nome dei vescovi italiani, la conclusione può essere solo una. Silvio Berlusconi si è talmente indebolito nelle ultime settimane da indurre la Chiesa ad abbandonare la sua consueta prudenza.
Certo, Bagnasco non ha mai nominato il presidente del Consiglio, ma ieri sera non c'era nessuno, proprio nessuno che avesse dubbi sul significato e sull'obiettivo dell'iniziativa della Cei. Riconoscerlo non vuol dire «strumentalizzare Bagnasco», come sostengono gli esponenti del Pdl che hanno il dovere di difendere il leader, ma più semplicemente prendere atto della realtà.
Berlusconi è stato condannato con durezza perché i suoi comportamenti morali imbarazzano oltre misura il mondo cattolico, e anche perché il quadro politico di cui il premier era ed è ancora il garante si sta logorando. A lungo la Chiesa si è ispirata alla "realpolitik" nei confronti di Berlusconi: basti pensare alla linea seguita dal segretario di Stato, il cardinale Bertone. Ma dietro questa posizione ufficiale, che pure negli anni non è stata priva di vantaggi, c'era il disagio di una vasta collettività. E la Chiesa, nel suo complesso, ha la memoria lunga: prima o poi salda i suoi conti. Ad esempio, è difficile dimenticare che l'allora direttore di "Avvenire", Dino Boffo, fu oggetto di una campagna distruttiva proprio perché aveva dato spazio alle voci critiche della base cattolica circa le abitudini e i costumi del premier.
È stato anche detto: non c'è nelle parole di Bagnasco una vera e propria «scomunica politica» di Berlusconi. Sì e no. È vero che il presidente della Cei ha posto interrogativi che riguardano l'uso e l'abuso delle intercettazioni, ma ha anche precisato che questo non deve far velo all'immoralità rivelata dalle indagini. Ed è anche vero che il richiamo alla «questione morale» coinvolge, nelle sue parole, più o meno tutte le parti politiche. Però è evidente che il «decoro delle istituzioni» è stato sfregiato da chi avrebbe dovuto farsene paladino, quindi da chi riveste responsabilità istituzionali.
Del resto, c'è un passaggio che sembra adombrare un sommesso invito alle dimissioni rivolto al premier: laddove si parla di «rapporti cristallizzati e insolubili, tanto da inibire seriamente il bene generale». In questi casi, afferma Bagnasco, «ognuno è chiamato a comportamenti responsabili e nobili; la storia ne darà atto».
Si può interpretare così: la storia sarà riconoscente nei confronti di chi si ritira dalla scena, in modo «responsabile e nobile», così da rendere un servigio al «bene generale», cioè al Paese. Il linguaggio è quello ecclesiastico, ma molto meno filtrato di altre volte. Tanto più che la Cei guarda a future forme di aggregazione politica che possano interessare i cattolici. In tale contesto la formale scomunica di Berlusconi non era necessaria. È tutto il discorso del cardinale a testimoniare del grave indebolimento a cui è giunto nel corso delle ultime settimane il presidente del Consiglio. E di sicuro da stamane egli non sarà più forte.
È come se la Chiesa considerasse chiusa o in via di superamento una lunga fase politica vissuta nel segno berlusconiano. Come se guardasse con scetticismo e distacco ai tentativi della maggioranza di mostrarsi vitale nonostante tutto. Senza dubbio resta vigile l'attenzione per i provvedimenti graditi, ad esempio la legge cosiddetta sul «fine vita». Ma si guarda oltre: al destino di un centrodestra o di un'area moderata che dovrà sopravvivere a Berlusconi e riorganizzarsi per i nuovi tempi. Quando si farà la storia del lungo tramonto del berlusconismo, l'intervento di Bagnasco sarà ricordato come un momento rilevante, forse persino cruciale.
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