Il sentiero è in salita. Don Lorenzo Milani ha fondato, qui, in mezzo al bosco, nel 1956, la Scuola di Barbiana. Barbiana è una chiesa con una canonica, niente di più. Un esempio da studiare e per molti da imitare.
Una scuola diversa, dove il confine tra maestro e allievo è labile ma netto, le posizioni non si confondono ma si completano nell’esercizio della pratica dell’insegnamento, che si fa sempre in due. Risuona il latino di un tempo “magister vitae”, maestro di vita. La scuola dovrebbe essere luogo dove si impara la vita. Eppure Barbiana è così lontana dal mondo, oppure no? Forse per vederlo bene, questo mondo, bisogna distaccarsene, guardarlo in lontananza e piano piano metterlo a fuoco. La scuola di Barbiana, nei dintorni di Vicchio nel Mugello, aveva come allievi “gli ultimi”, quelli che erano troppo poveri per imparare a leggere e che certo era meglio far lavorare, quelli che non erano abituati a concentrarsi su lettere e numeri ma ad alzarsi prima del sole e ad andare a letto appena il sole va giù. La stessa vita tutti i giorni, per anni, senza uno sprazzo di un perché. Ultimi! Don Lorenzo Milani, il prete che veniva da una famiglia borghese e colta, fece la più grande delle rivoluzioni: li rese cittadini sovrani, testimoni di un cambiamento che si rinnova in altri dopo di loro. I testimoni sono l’elemento più pericoloso per un sistema che non vuole cambiare: vi dicono niente i campi di concentramento? Oppure i testimoni di giustizia? Nessuna traccia deve rimanere di ciò che potrebbe essere diverso.
E don Milani fece esattamente l’opposto: isolato dalle gerarchie ecclesiastiche, senza soldi, arrivò il 7 dicembre 1954, a soli 31 anni, in quella chiesa che doveva chiudere, in punizione perché predicava il Vangelo, lavorò sull’anima dei suoi allievi, educandoli a pensare e a dubitare. Tra gli alberi del bosco vicino al Monte Giovi, un tempo rifugio dei partigiani della Caiani, della Lanciotto Ballerini, e di altre brigate, don Milani cammina, pensa e agisce: la Scuola non può essere un ospedale che cura i sani e manda via i malati (1). Nessuno deve rimanere indietro, se gli allievi non capiscono ci si ferma finché non hanno appreso. Eravamo a metà degli anni ’50, a Firenze c’erano don Giulio Facibeni, prete antifascista e suo maestro, e Giorgio La Pira, il Sindaco santo. Erano gli anni della guerra fredda, del mondo diviso in due, era l’Italia che tentava di risollevarsi dal buco nero della guerra.
La scuola di Barbiana, laggiù nel bosco, divenne un laboratorio di idee e di futuro. L’apprendimento era correlato al lavoro, perché il lavoro dà dignità all’uomo. Vi era sempre corrispondenza fra lo studio teorico e la pratica. Una volta i sei piccoli monaci, come li chiamava don Milani, che erano i suoi primi allievi, impararono a comporre i mosaici con i vetrini colorati, così decorarono le vetrate della chiesa, realizzando un piccolo monaco scolaro che don Lorenzo battezzò santo scolaro proprio in onore dei suoi piccoli monaci (2). Quella scuola era dura, non era uno scherzo, perché si studiava a tempo pieno dalle 8 della mattina alle 7 della sera.
L’arrivo di Lorenzo e la sua scuola trasformarono la parrocchia di Sant’Andrea, riuscendo a mutare il corso della storia di decine di bambini e lo stesso paesaggio. Fu costruita la strada, l’acquedotto, i laboratori di falegnameria, di officina e di fotografia. Pensate, in quella scuola c’erano anche gli strumenti del cinema, la cinepresa e il cineproiettore. La scuola era un vero e proprio centro di produzione editoriale. Si imparava a pensare e nel contempo a realizzare ciò che si pensava, cioè il tempo studio era molto spesso legato al tempo e al luogo dove si produceva.
Lorenzo era il prete che rammentava che c’erano 3 M da valutare con attenzione: moglie, macchina, mestiere, le 3 M a cui resistere, perché già intravedeva la corruzione degli uomini attraverso il conformismo. Anche Pasolini preconizzava nella fine del mondo contadino la fine della civiltà e di quello stato di grazia che, solo, porta alla santità, cioè all’autonomia del soggetto, alla piena disponibilità di sé, del proprio corpo e della propria mente. Il massimo della laicità fu immaginato e insegnato da un prete e da uno scrittore “scomodo”, da due isolati e scacciati.
La realtà può essere compresa se ne siamo immersi, come in un grande mare e a quel punto acquisiamo consapevolezza che la si può anche tradire. Sempre conservare il dubbio, mai farsi abbindolare dal progresso illimitato e dalle formalità democratiche. A Barbiana c’era la stanza con i tavoli a ferro di cavallo, non una cattedra. Lì, allievi e maestro svolgevano le attività insieme, come la lettura dei giornali. Gli articoli erano studiati nei minimi dettagli, così come erano studiati il Parlamento, i governi, i partiti e le loro idee. Altre stanze servivano per le attività di gruppo. Libera Repubblica di Barbiana, la chiamava don Milani, conducendo i suoi allievi al libero esercizio della ragione critica. Don Lorenzo diceva: godere della vita e di questa scuola, l’esatto contrario dell’isolamento. Barbiana, lontana dal mondo eppure al centro, espressione del connubio tra pensiero e azione.
Le 3 M, moglie, macchina e mestiere somigliano alle 3 I, Inglese, Informatica, Innovazione del Ministro Gelmini. Entrambe da evitare, perché ti racchiudono in un recinto, in un percorso già definito, limitano la tua autonomia di pensiero. Ma qui, vicino al Monte Giovi, profumato della Libertà conquistata dai partigiani della Lanciotto, don Milani parlava di leggi e di obbedienza, insegnando
in quanto alla loro vita di giovani sovrani domani che dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste, cioè quando sono la forza del debole. Quando invece vedranno che non sono giuste, cioè quando sanzionano il sopruso del forte, essi dovranno battersi perché siano cambiate. E la leva per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero. Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola e con l’esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona un’obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede (3).
Il primo giorno che Lorenzo arrivò a Barbiana fece un percorso in mezzo al bosco di circa un chilometro, oggi quel percorso è il “Sentiero della Costituzione” con 55 bacheche, una per ogni articolo della Costituzione fino al 53, poi la 54 è sull’organizzazione dello Stato e la 55 su come don Milani insegnava. Gli articoli sono illustrati dai disegni dei ragazzi di diverse scuole d’Italia. Alla scuola di don Milani la Costituzione era studiata, era la bussola per non smarrirsi, era la guida del futuro cammino dei ragazzi nella società, era lo strumento di riscatto per annullare le disuguaglianze sociali.
A Barbiana l’articolo 3 si materializzava, si praticava, perché, come diceva il prete, non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali (4) Fino a quando l’eguaglianza formale non sarà seguita da quella sostanziale, la Costituzione non sarà applicata, perché il compito dello Stato è rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, di fatto, la limitano.
Il priore don Milani ci trasmetteva il senso religioso di questa nostra Carta Costituzionale, ogni suo scritto ne era impregnato. Un prete che è più laico dei laici e ci insegna che solo con gli altri si produce il cambiamento: su una parete della nostra scuola c’è scritto grande “I CARE”. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori: “me ne importa, mi sta a cuore”. È il contrario esatto del motto fascista “me ne frego” (5).
Su quei monti dei partigiani, su quella terra da cui provenivano 4 dei cinque giovanissimi renitenti alla leva, fucilati dai fascisti allo stadio del Campo di Marte di Firenze, il 22 marzo 1944, un prete un giorno s’incamminò per andare ad insegnare e a godere della vita con i suoi allievi, su quel sentiero bambini delle scuole d’Italia di oggi scelgono un albero, disegnano su un pannello un articolo della Costituzione, lo adottano, lo curano, lo praticano. Quel sentiero parla una lingua che tutti intendono e che dice: ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia (6).
La scuola di Barbiana chiuse nel 1968 un anno dopo la morte del sacerdote, oggi la Fondazione Don Lorenzo Milani ne conserva il ricordo. Tra i soci fondatori 3 dei primi sei ragazzi per i quali don Lorenzo la fondò nel 1956: Michele Gesualdi, Agostino Burberi, Carlo Carotti. Su quel sentiero centinaia di persone e di giovani ancora oggi si incamminano per imparare che il nostro vivere civile è impegno e fatica ma poi in cima la vista del mondo insieme agli altri è così a fuoco.
NOTE
(1) Don Lorenzo Milani, Lettere ad una professoressa
(2) Questa storia è descritta nel libro La parola fa eguali.
(3) Don Lorenzo Milani, Lettera ai giudici.
(4) Don Lorenzo Milani, Lettera ad una professoressa.
(5) Don Lorenzo Milani, Lettera ai giudici.
(6) Don Lorenzo Milani, Lettera ad una professoressa.
Fonte: Patria Indipendente, rivista storica dell’Anpi
Una scuola diversa, dove il confine tra maestro e allievo è labile ma netto, le posizioni non si confondono ma si completano nell’esercizio della pratica dell’insegnamento, che si fa sempre in due. Risuona il latino di un tempo “magister vitae”, maestro di vita. La scuola dovrebbe essere luogo dove si impara la vita. Eppure Barbiana è così lontana dal mondo, oppure no? Forse per vederlo bene, questo mondo, bisogna distaccarsene, guardarlo in lontananza e piano piano metterlo a fuoco. La scuola di Barbiana, nei dintorni di Vicchio nel Mugello, aveva come allievi “gli ultimi”, quelli che erano troppo poveri per imparare a leggere e che certo era meglio far lavorare, quelli che non erano abituati a concentrarsi su lettere e numeri ma ad alzarsi prima del sole e ad andare a letto appena il sole va giù. La stessa vita tutti i giorni, per anni, senza uno sprazzo di un perché. Ultimi! Don Lorenzo Milani, il prete che veniva da una famiglia borghese e colta, fece la più grande delle rivoluzioni: li rese cittadini sovrani, testimoni di un cambiamento che si rinnova in altri dopo di loro. I testimoni sono l’elemento più pericoloso per un sistema che non vuole cambiare: vi dicono niente i campi di concentramento? Oppure i testimoni di giustizia? Nessuna traccia deve rimanere di ciò che potrebbe essere diverso.
E don Milani fece esattamente l’opposto: isolato dalle gerarchie ecclesiastiche, senza soldi, arrivò il 7 dicembre 1954, a soli 31 anni, in quella chiesa che doveva chiudere, in punizione perché predicava il Vangelo, lavorò sull’anima dei suoi allievi, educandoli a pensare e a dubitare. Tra gli alberi del bosco vicino al Monte Giovi, un tempo rifugio dei partigiani della Caiani, della Lanciotto Ballerini, e di altre brigate, don Milani cammina, pensa e agisce: la Scuola non può essere un ospedale che cura i sani e manda via i malati (1). Nessuno deve rimanere indietro, se gli allievi non capiscono ci si ferma finché non hanno appreso. Eravamo a metà degli anni ’50, a Firenze c’erano don Giulio Facibeni, prete antifascista e suo maestro, e Giorgio La Pira, il Sindaco santo. Erano gli anni della guerra fredda, del mondo diviso in due, era l’Italia che tentava di risollevarsi dal buco nero della guerra.
La scuola di Barbiana, laggiù nel bosco, divenne un laboratorio di idee e di futuro. L’apprendimento era correlato al lavoro, perché il lavoro dà dignità all’uomo. Vi era sempre corrispondenza fra lo studio teorico e la pratica. Una volta i sei piccoli monaci, come li chiamava don Milani, che erano i suoi primi allievi, impararono a comporre i mosaici con i vetrini colorati, così decorarono le vetrate della chiesa, realizzando un piccolo monaco scolaro che don Lorenzo battezzò santo scolaro proprio in onore dei suoi piccoli monaci (2). Quella scuola era dura, non era uno scherzo, perché si studiava a tempo pieno dalle 8 della mattina alle 7 della sera.
L’arrivo di Lorenzo e la sua scuola trasformarono la parrocchia di Sant’Andrea, riuscendo a mutare il corso della storia di decine di bambini e lo stesso paesaggio. Fu costruita la strada, l’acquedotto, i laboratori di falegnameria, di officina e di fotografia. Pensate, in quella scuola c’erano anche gli strumenti del cinema, la cinepresa e il cineproiettore. La scuola era un vero e proprio centro di produzione editoriale. Si imparava a pensare e nel contempo a realizzare ciò che si pensava, cioè il tempo studio era molto spesso legato al tempo e al luogo dove si produceva.
Lorenzo era il prete che rammentava che c’erano 3 M da valutare con attenzione: moglie, macchina, mestiere, le 3 M a cui resistere, perché già intravedeva la corruzione degli uomini attraverso il conformismo. Anche Pasolini preconizzava nella fine del mondo contadino la fine della civiltà e di quello stato di grazia che, solo, porta alla santità, cioè all’autonomia del soggetto, alla piena disponibilità di sé, del proprio corpo e della propria mente. Il massimo della laicità fu immaginato e insegnato da un prete e da uno scrittore “scomodo”, da due isolati e scacciati.
La realtà può essere compresa se ne siamo immersi, come in un grande mare e a quel punto acquisiamo consapevolezza che la si può anche tradire. Sempre conservare il dubbio, mai farsi abbindolare dal progresso illimitato e dalle formalità democratiche. A Barbiana c’era la stanza con i tavoli a ferro di cavallo, non una cattedra. Lì, allievi e maestro svolgevano le attività insieme, come la lettura dei giornali. Gli articoli erano studiati nei minimi dettagli, così come erano studiati il Parlamento, i governi, i partiti e le loro idee. Altre stanze servivano per le attività di gruppo. Libera Repubblica di Barbiana, la chiamava don Milani, conducendo i suoi allievi al libero esercizio della ragione critica. Don Lorenzo diceva: godere della vita e di questa scuola, l’esatto contrario dell’isolamento. Barbiana, lontana dal mondo eppure al centro, espressione del connubio tra pensiero e azione.
Le 3 M, moglie, macchina e mestiere somigliano alle 3 I, Inglese, Informatica, Innovazione del Ministro Gelmini. Entrambe da evitare, perché ti racchiudono in un recinto, in un percorso già definito, limitano la tua autonomia di pensiero. Ma qui, vicino al Monte Giovi, profumato della Libertà conquistata dai partigiani della Lanciotto, don Milani parlava di leggi e di obbedienza, insegnando
in quanto alla loro vita di giovani sovrani domani che dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste, cioè quando sono la forza del debole. Quando invece vedranno che non sono giuste, cioè quando sanzionano il sopruso del forte, essi dovranno battersi perché siano cambiate. E la leva per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero. Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola e con l’esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona un’obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede (3).
Il primo giorno che Lorenzo arrivò a Barbiana fece un percorso in mezzo al bosco di circa un chilometro, oggi quel percorso è il “Sentiero della Costituzione” con 55 bacheche, una per ogni articolo della Costituzione fino al 53, poi la 54 è sull’organizzazione dello Stato e la 55 su come don Milani insegnava. Gli articoli sono illustrati dai disegni dei ragazzi di diverse scuole d’Italia. Alla scuola di don Milani la Costituzione era studiata, era la bussola per non smarrirsi, era la guida del futuro cammino dei ragazzi nella società, era lo strumento di riscatto per annullare le disuguaglianze sociali.
A Barbiana l’articolo 3 si materializzava, si praticava, perché, come diceva il prete, non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali (4) Fino a quando l’eguaglianza formale non sarà seguita da quella sostanziale, la Costituzione non sarà applicata, perché il compito dello Stato è rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, di fatto, la limitano.
Il priore don Milani ci trasmetteva il senso religioso di questa nostra Carta Costituzionale, ogni suo scritto ne era impregnato. Un prete che è più laico dei laici e ci insegna che solo con gli altri si produce il cambiamento: su una parete della nostra scuola c’è scritto grande “I CARE”. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori: “me ne importa, mi sta a cuore”. È il contrario esatto del motto fascista “me ne frego” (5).
Su quei monti dei partigiani, su quella terra da cui provenivano 4 dei cinque giovanissimi renitenti alla leva, fucilati dai fascisti allo stadio del Campo di Marte di Firenze, il 22 marzo 1944, un prete un giorno s’incamminò per andare ad insegnare e a godere della vita con i suoi allievi, su quel sentiero bambini delle scuole d’Italia di oggi scelgono un albero, disegnano su un pannello un articolo della Costituzione, lo adottano, lo curano, lo praticano. Quel sentiero parla una lingua che tutti intendono e che dice: ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia (6).
La scuola di Barbiana chiuse nel 1968 un anno dopo la morte del sacerdote, oggi la Fondazione Don Lorenzo Milani ne conserva il ricordo. Tra i soci fondatori 3 dei primi sei ragazzi per i quali don Lorenzo la fondò nel 1956: Michele Gesualdi, Agostino Burberi, Carlo Carotti. Su quel sentiero centinaia di persone e di giovani ancora oggi si incamminano per imparare che il nostro vivere civile è impegno e fatica ma poi in cima la vista del mondo insieme agli altri è così a fuoco.
NOTE
(1) Don Lorenzo Milani, Lettere ad una professoressa
(2) Questa storia è descritta nel libro La parola fa eguali.
(3) Don Lorenzo Milani, Lettera ai giudici.
(4) Don Lorenzo Milani, Lettera ad una professoressa.
(5) Don Lorenzo Milani, Lettera ai giudici.
(6) Don Lorenzo Milani, Lettera ad una professoressa.
Fonte: Patria Indipendente, rivista storica dell’Anpi
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