Economia
04/09/2011 - RETROSCENA
La lobby di Cernobbio torna a scommettere sul governo tecnico
Di MARCO ALFIERI,dalla " Stampa"
INVIATO A CERNOBBIO
Finché c’è un governo che ha la fiducia del Parlamento, comunque agisca, non posso pensare alla formazione di un esecutivo diverso da quello attuale». Giorgio Napolitano, collegato in videoconferenza al workshop Ambrosetti di Cernobbio, risponde nell’unico modo possibile all’ambasciatore Sergio Romano che gli chiede lumi su un possibile governo tecnico per sbloccare l’impasse in cui è finito il paese. Domanda irrituale quella dell’editorialista principe del Corriere della Sera per non scatenare la malizia in un consesso in cui il presidente è invitato a parlare di Europa. Quella del Colle è una sorta di vorrei ma non posso. Il che paradossalmente ne rafforza il ruolo di garante davanti ai mercati e all’Ue.
L’Italia manterrà l’impegno del pareggio di bilancio e dei saldi previsti in manovra, è il Napolitano pensiero, rivendicato «giocando» di sponda con il presidente uscente della Bce, Jean Claude Trichet, che gli chiede garanzie sul debito italiano, in mancanza di interlocutori affidabili. Alla fine il Quirinale ringrazia Francoforte per il supporto sul mercato dei titoli pubblici, idealmente in scia al Mario Monti di venerdì: «la cosa peggiore - aveva precisato il presidente della Bocconi - sarebbe mettere in imbarazzo la Bce che ha fatto nei confronti di Italia e Spagna il massimo di quel che poteva fare». In questo quadretto da salute pubblica Napolitano-TrichetMonti-Romano si misura tutto il baratro su cui sta ballando il Belpaese: «Siamo dentro un vortice globale con un supplemento tutto italiano, quello della credibilità finita sotto i tacchi», commenta un imprenditore appena tornato da un viaggio d’affari in Germania.
Da Cernobbio gli indizi si sprecano. La cassandra Nouriel Roubini ripete a chi lo interroga che «I mercati finanziari sono preoccupati per la credibilità della politica italiana - la manfrina sulla manovra docet - per questo ci vorrebbe un governo tecnico». Chi ai tavolini vista lago sta leggendo il Financial Times non fa che commentare il paginone a metà su Italia e Spagna, i malati d’Europa. L’articolo su Roma è una ruvida descrizione che mescola la manovra ballerina e la saga sessuale del premier, con tanto di foto di Ruby «rubacuori» e in bella evidenza le frasi del Cavaliere sull’Italia «paese di m…». L’articolo su Madrid è un elogio all’approvazione in Costituzione del pareggio di bilancio. È la seconda volta dalla fine del regime franchista che la Spagna tocca la propria carta, insomma una cosa epocale, consona ai tempi difficili.
L’analisi dell’Ft riflette al centimetro gli umori degli investitori internazionali: venerdì i rendimenti dei titoli decennali spagnoli sono scesi sotto quelli italiani, nonostante la disoccupazione sia più che doppia. La credibilità politica vale oro e i mercati da qualche giorno sembrano fidarsi più di Madrid. Ma il richiamo alla responsabilità di un governo in panne, che arriva dai potenti di Cernobbio, è anche un monito a un sistema paese in deficit di produttività, innovazione e competitività. Le due cose si sommano. Nelle tabelle su debito, interscambio e investimenti esteri, presentate in sala dal governatore della Banca d’Inghilterra, Mervyn King, l’Italia è sempre accomunata ai paesi di coda dell’eurozona (Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna). Non è un dettaglio in un workshop dove ogni gesto diventa sostanza. «Siete un paese trasformatore, avete prezzi troppo alti - salari, immobili, prodotti - dovete abbassarli per stare nell’euro», va ripetendo l’occhiuto Hans Werner Sinn, l’economista consigliere di Angela Merkel.
I suoi grafici dicono molto del pantano attuale: prima dell’euro i tassi di interesse dei paesi periferici erano molto alti, poi scendono e per un decennio si allineano a quelli di Berlino. Da due anni però sono risaliti, come se l’euro non ci fosse più. «La verità è che per 10 anni abbiamo vissuto da tedeschi senza esserlo», sentenzia un habituè di Cernobbio come Giacomo Vaciago. «In Europa, e soprattutto in Italia, i Governi devono procedere con riforme strutturali», insiste Trichet. La Grecia in fondo vale il 2% dell’eurozona, Roma è la terza economia dell’area. E questo fa tutta la differenza. Insieme alla crisi di credibilità…
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