E benvenuti a ’sti forconi
Quando il movimento per l’acqua bene comune aveva ricevuto il maleodorante endorsement di alcuni movimenti neofascisti, gli esponenti della battaglia contro la privatizzazione non avevano avuto alcuna difficoltà a rigettare quell’appoggio e rivendicare la discriminante antifascista. Non è così per il cosiddetto Movimento dei Forconi, che da qualche giorno sta paralizzando la Sicilia.
Nessuno mette in dubbio che quella mobilitazione sia animata da gente in buona fede. Tuttavia ormai è evidente la manovra che ha permesso all’estrema destra di Forza Nuova di piazzare i propri dirigenti all’interno dell’organigramma della rivolta. In fondo, non c’è nulla di nuovo: questa è la storia del fascismo in Italia: raccogliere la frustrazione della gente e canalizzarla dentro un progetto autoritario, ammantandosi di parole roboanti come “rivoluzione”. In più, i Forconi coinvolgono gente che in questi anni è cresciuta dentro le “zone grigie” del “né di destra né di sinistra”, recentemente analizzate da Wu Ming 1 in un articolo sul blog del collettivo di scrittori, Giap!, che ha raccolto centinaia di commenti. Nella confusione ideologica delle “zone grigie”, in mezzo a parole d’ordine confuse e riferimenti storici vaghi o addirittura inventati, il più delle volte prosperano gli speculatori della sofferenza.
In questo caso, nella temperie della crisi e dello smottamento delle garanzie sociali, qualcuno pensa di poter ignorare la pregiudiziale antifascista e di andare a braccetto con gente dal dubbio passato e dalla poco edificante idea di futuro. In pochi hanno notato che l’altra componente del Movimento dei Forconi si appoggia sul sistema di potere che Cuffaro prima e Lombardo poi hanno costruito nell’isola. Questa componente, affonda le radici in una corrente di pensiero che negli anni scorsi è stata sottovalutato, quando non addirittura incoraggiata, dalle sinistre. Mi riferisco al revisionismo meridionale dei pamphlet di Pino Aprile, delle retoriche pro-briganti del berlusconiano Micciché, dei saggi storici di Giordano Bruno Guerri, in questi mesi ha contribuito a costruire un’”identità meridionale” posticcia e nostalgica della dominazione borbonica speculare e alla fine accondiscendente con le invenzioni leghiste sulla “Padania”.
Le destre meridionali, a vario titolo, si sono impadronite della narrazione autoconsolatoria secondo la quale tutti i mali del “Sud” risiederebbero nello sfruttamento del “Nord”. Siamo di fronte ad un tipico schema di destra: esisteva un ordine naturale, ma è venuto qualcuno “da fuori” a corromperlo e turbarlo. A quella retorica, insidiosa ma fondata su falsi storici (le carceri borboniche traboccavano di prigionieri politici, prima del Risorgimento), non bisogna ovviamente rispondere con le arringhe nazionaliste sul tricolore. Bisogna invece ragionare di quanto “Nord” e “Sud” siano intrecciati, di come gli emigrati calabresi abbiano contribuito ad alimentare le lotte operaie degli anni Sessanta e Settanta, strappando diritti e garanzie per tutti oppure di come la mafia si sia insediata nei distretti produttivi del postfordismo.
La sedicente “rivolta” dei Forconi, insomma, è la dimostrazione di come reti clientelari costruite coi soldi pubblici comincino a sentire i tagli dello Stato centrale. Sarebbe un’ottima occasione per rivendicare diritti e sbarazzarsi dei caporioni di provincia, dei trafficanti dei voti e dei politicanti locali. E invece, guardacaso, questi ultimi appoggiano la “rivolta” e indicano al popolo il nemico: i “politici”, in senso lato. Cioè tutti tranne loro.
di Giuliano Santoro, da micromega
(20-01-2012)
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