venerdì 30 settembre 2011

Terzo polo : una chimera per il PD.

di FEDERICO GEREMICCA , dalla " Stampa"



Si sente ripetere spesso - e la tesi non è infondata - che il fatto che il grosso della polemica politica resti tutta ancora incentrata sulle vicende giudiziarie del premier, in fondo, per l’esecutivo non sia un male.



Avrebbe di certo più difficoltà, infatti, a trovare argomenti e reggere il confronto sulle riforme promesse e non realizzate o sulle ricette, per esempio, messe in campo per l’uscita dalla crisi. Fatte tutte le differenze (e la principale sta nelle responsabilità che riguardano chi governa) analogo ragionamento sembra valere anche per l’opposizione: unitissima nell’attacco a Berlusconi ma pronta a dividersi su quasi qualunque altro tema.



La vicenda del non-voto della pattuglia radicale sulla mozione di sfiducia al ministro Romano o le profonde differenze intorno al modello di legge elettorale (ipoteticamente) da adottare sono solo alcuni esempi recenti di tali divisioni. In verità, non sono nemmeno i più preoccupanti, considerato che, col gran parlare che si fa di elezioni anticipate, due questioni stanno riemergendo con irrisolvibile nettezza: le alleanze con le quali andare al voto e il leader chiamato a guidare la coalizione nella sfida al centrodestra.



Negli ultimi giorni, diciamo a partire dalla presenza contemporanea di Bersani, Vendola e Di Pietro alla festa dell’Idv di Vasto, le due questioni si sono fuse dando il via ad un fuoco di fila che ha per bersagli il modello di alleanza prefigurato nel raduno abruzzese (che ha fatto evocare la «gioiosa macchina da guerra» di occhettiana memoria) e la circostanza che il candidato premier del centrosinistra debba inevitabilmente essere Pierluigi Bersani, qualunque sia il tipo di alleanza con il quale il Pd affronterà le elezioni. La polemica contro la «triade di Vasto» è stata cavalcata soprattutto dall’area cattolica del partito democratico, che non fa mistero di considerare irrinunciabile un’alleanza col Terzo polo di Pier Ferdinando Casini; a non dare per scontata la candidatura a premier di Bersani, invece, sono i cosiddetti veltroniani - animati ancora da un qualche spirito di rivalsa - oltre che Vendola stesso, naturalmente.



Si tratta di questioni certamente non facili da risolvere, tanto è vero che sono lì del tutto aperte. Ma, giunti a questo punto, non è forse azzardato ipotizzare che una soluzione - in fondo - sia già nelle cose: e che non venga accettata (riconosciuta) perché forse dolorosa e sgradita ai più. Intendiamo dire che la posizione ripetutamente espressa da Pier Ferdinando Casini (mai con Di Pietro e Vendola) andrebbe, a questo punto, presa per quel che è: cioè una seria dichiarazione di intenti. E che l’eclissi di Berlusconi e le grandi manovre in corso nel centrodestra rendono certamente più allettante - oltre che più naturale - per il leader dell’Udc un patto con un centrodestra libero (se sarà libero...) dalla presenza di Silvio Berlusconi.



Le difficoltà dell’area cattolica del Pd a «digerire» una tale soluzione sono del tutto comprensibili: la caccia al sempre inseguito «voto moderato» (se non proprio cattolico) si farebbe infatti assai difficile. Eppure, se la scelta del Terzo polo va maturando nella direzione che si diceva, forse converrebbe prenderne atto per tempo, provando almeno a valorizzarne le conseguenze. La prima è certamente una maggior chiarezza strategica da trasmettere agli elettori: fine, insomma, dell’imbarazzante ritornello «vi diremo poi con chi ci alleiamo», che è uno dei limiti maggiori delle forze oggi all’opposizione. La seconda potremmo definirla un atto di fiducia (in condizioni di necessità, certo) verso quello che viene di solito chiamato il «popolo di sinistra».



Pochi mesi fa, dopo l’esito delle primarie in città come Milano e Cagliari (dove i candidati cosiddetti «radicali» sconfissero gli alfieri del Pd) o dopo il risultato del primo turno a Napoli (con De Magistris al ballottaggio al posto del favorito Morcone), vennero intonati molti «de profundis», perché le partite sembravano inevitabilmente perse. Fu invece un trionfo, col centrodestra scompaginato nelle sue roccaforti (Milano) e battuto in città già date per conquistate (Napoli). Ora, naturalmente, una cosa è vincere (per di più delle elezioni amministrative) e un’altra è riuscire a governare, come testimoniò l’ultimo esperienza di Romano Prodi. Ma intanto, banalmente, è sempre meglio vincere che perdere. E soprattutto, se la via dell’alleanza elettorale col Terzo polo si va tramutando sempre più in una chimera, tanto vale - forse - prenderne atto, smetterla di inseguire fantasmi e rimboccarsi le maniche, piuttosto, in vista di quel che sarà...





Se il cane da guardia non morde!

30/9/2011 - STAMPA E GIUSTIZIA




Se il cane da guardia non morde


di VLADIMIRO , dalla "Stampa"



Cane da guardia della democrazia. Questo è il ruolo che la stampa svolge (deve svolgere, deve poter svolgere) in una società democratica, secondo una formula ripetutamente utilizzata, con lessico anglosassone, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’immagine è ricca di indicazioni. Il buon cane da guardia gira libero attorno a casa, orecchie tese e naso al vento. E abbaia, anche più forte del necessario e qualche volta deve mordere. Così la stampa.



La libertà di espressione è uno dei fondamenti essenziali di una società democratica e vale non soltanto per le informazioni o le idee accolte con favore o che sono inoffensive o indifferenti, ma proprio e specialmente per quelle che urtano e inquietano. Sulle questioni di interesse per il dibattito pubblico, al diritto di diffondere informazioni e opinioni corrisponde quello del pubblico di riceverle. Certo è possibile prevedere limiti alla libertà di espressione, quando siano in pericolo la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico o occorra difendere la morale o la reputazione altrui, oppure si debba impedire la divulgazione di segreti o sia necessario proteggere l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario. Riprendo dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo questa elencazione di ipotesi di restrizioni legittime. Ma anche in quei casi solo una necessità imperativa può giustificare le limitazioni.



Alle ristrette possibilità di cui dispone l’autorità pubblica nel limitare la libertà di informazione si accompagna però il richiamo ai doveri professionali e alla responsabilità di chi, esponendo i fatti ed esprimendo il suo pensiero, si avvale della libertà di espressione.



Questo quadro di principi costituisce un tratto identitario della civiltà europea e occidentale. Nessuna società europea può distaccarsene, nessun governo può rifiutarlo o forzarlo.



Ma da tempo in Italia si discute aspramente di limitazioni da imporre alla possibilità di pubblicare (e quindi commentare) informazioni tratte dalle indagini giudiziarie. Si parla quasi solo delle intercettazioni telefoniche, ma si tratta di tutte le informazioni, anche quelle che si ricavano dalle testimonianze, da documenti, ecc. L’argomento che si usa è legato al diritto, anch’esso fondamentale, che le persone hanno al rispetto della propria reputazione e alla riservatezza della vita privata. L’occasione contingente della presente, acuta sensibilità rispetto a questo diritto delle persone spinge spesso ad assimilare il potente di turno a ciascuno di noi. Egli infatti dice: difendo la mia vita privata, ma lo faccio perché la nostra, di noi tutti, è in pericolo. Chi fosse impressionato dall’argomento, dovrebbe però considerare che non siamo tutti eguali e che meritano di essere conosciuti e commentati anche aspetti della cosiddetta vita privata dell’uomo politico, proprio perché egli si è candidato e si candiderà a essere eletto dai cittadini. Egli non «fa i fatti suoi», ma si occupa «dei fatti nostri» e si è esposto volontariamente all’esame del pubblico.



Dovendo tener conto della libertà di informazione, si dice spesso da parte governativa che si dovrebbe poter pubblicare solo quello che ha «rilievo penale». Purtroppo anche dall’opposizione si tende a seguire questa strada, come se fosse possibile stabilire ciò che in una conversazione è penalmente rilevante e come se questo fosse il vero discrimine tra ciò che è pubblicabile e ciò che non lo è.



Raramente una conversazione è in sé penalmente rilevante. Può esserlo se esprime minaccia o ingiuria, oppure rivela informazioni che devono rimaner segrete. Ma altrimenti il suo significato in un processo penale deriva dal contesto generale delle prove. La più innocente delle conversazioni telefoniche prova almeno che i due si conoscono. Non solo, ma ciò che ora sembra irrilevante può assumere altro senso e importanza in seguito, quando altre prove illumineranno diversamente la scena. E infine, occorrerà attendere il giudizio definitivo per costatare che questa o quella informazione, questa o quella frase hanno avuto peso nella decisione del giudice? I tempi di un’efficace informazione non corrispondono a quelli propri della giustizia penale.



Ma quello della rilevanza penale non è solo un criterio inutilizzabile in pratica. Più radicalmente è un criterio sbagliato. Da una parte, proprio perché una notizia riguarda un fatto rilevante per l’indagine o il processo penale, la protezione dell’efficacia della indagine può richiedere di impedirne o ritardarne la divulgazione. E dall’altra e soprattutto, perché il dibattito che legittimamente e doverosamente si svolge nella società democratica, considera un ambito di fatti che va ben oltre ciò che è «penalmente rilevante». L’opinione pubblica si interessa e si forma su ciò che è socialmente, culturalmente, economicamente, politicamente significativo. Il giudizio su ciò che è significativo e ciò che non lo è deve restare prevalentemente nelle mani di chi fa uso della libertà di espressione che la Costituzione e le convenzioni internazionali gli assicurano. E si tratta di un giudizio legato alla specificità del caso concreto, che mal sopporta regole generali e astratte, come sono quelle che impongono le leggi.



Non dunque il rilievo «penale», ma il rilievo «sociale» spinge il giornale e il giornalista a pubblicare o a trascurare una notizia e ancor prima, nel giornalismo di inchiesta, a cercarla, fino a forzare il segreto che altri è interessato ad assicurare.



I confini del lecito e dell’illecito nell’attività giornalistica sono inevitabilmente incerti. Esigenze e interessi diversi e opposti si contrappongono. Un bilanciamento è necessario: uno prevale e l’altro soffre. La violazione dei limiti imposti dalle leggi e dalla deontologia professionale è nell’ordine delle cose possibili. Ma anche quando ciò avvenga e sia quindi legittima una reazione repressiva o si imponga il risarcimento dei danni morali procurati ad altri, la protezione della libertà di stampa in generale richiede che la sanzione sia equilibrata. E che essa non produca un effetto di generale intimidazione alla libera stampa: giornalisti, giornali e editori. Dalle decisioni della Corte europea i parlamenti nazionali e i giudici ricavano che una sanzione penale detentiva è giustificata solo quando si sia di fronte a discorsi che incitano alla violenza o all’odio razziale, mentre anche le sanzioni economiche non devono essere eccessive. Ma di tutto ciò è scarso l’eco nel dibattito politico, né nei progetti che il parlamento è chiamato a discutere. Forte è invece la preoccupazione di assicurarsi che il cane da guardia non morda e sia prudente nell’abbaiare. Insomma, che non disturbi.





Spiritualità. E se smettessimo di "combattere" la malattia?

Cultura


29/09/2011 -

Torino Spiritualità, se smettessimo

di "combattere" la malattia?

"Per guarire bisogna fare pace all’interno di sé. Ma lottando contro il male la persona lotta contro se stessa"

Il guru mondiale dell'omeopatia propone una nuova visione della vita e della salute, non più fondata sullo spirito di competizione

di CHRISTIAN BOIRON, dalla "Stampa"



Il modello fondamentale della nostra civiltà, l’eroe dei tempi moderni, è sempre quello che combatte. Contro la violenza, la miseria, la malattia, contro i concorrenti, la stupidità e la morte. Ci inventiamo dei nemici per mettere in maggior risalto la forza e la bellezza delle nostre virtù combattive, con l’obiettivo di alimentarle, condividerle e farle riconoscere come essenziali.



Spirito di competizione, aggressività e violenza sono ovunque e ci viene incessantemente ripetuta la necessità di essere «combattivi». Molte aziende, partiti politici e governi profondono tesori di ingegnosità per mettere in pratica «l’arte della guerra». Si fa sempre più spesso riferimento a piani di campagna, strategie, attacchi e leadership, a dimostrazione di come le parole e il clima della guerra abbiano progressivamente invaso il nostro territorio. Nemmeno il campo della salute sfugge a una certa rappresentazione guerriera della vita: si deve combattere contro lo stress, l’alcol, la droga e il fumo, contro le malattie, i virus e i batteri.



Si interviene sulla malattia senza cercare né di conoscerla a sufficienza, né di capirne la causa e spesso non si esita a utilizzare rimedi che possono avere effetti indesiderati, senza domandarsi se esistano invece altri metodi più adatti e non tossici. In questo modo si rischia di focalizzarsi esclusivamente sull’ipotetico agente causale esterno, considerando l’organismo umano come un campo di battaglia dove farmaci sempre più potenti devono combattere nemici sempre più temibili. Il nostro corpo in crisi deve essere veramente trattato come un nemico? Non vi sono altre visioni possibili della fisiopatologia?



Certamente esiste una sola medicina, ma vi sono diverse concezioni possibili della malattia. Si possono considerare i sintomi del malato come una malattia in sé, ma li si può anche considerare manifestazioni di uno squilibrio più profondo dell’intera persona, che può avere un’origine psichica, alimentare, osteoarticolare, affettiva, professionale ecc. La malattia richiede che si faccia pace all’interno di sé. Lottando contro la malattia, la persona lotta contro se stessa, ma non dimentichiamoci che non si può dichiarare guerra e allo stesso tempo fare pace. È importante tener conto a sufficienza dello straordinario potenziale di salute che è insito in ciascuna persona e ricordarsi che l’Uomo è una creatura di Dio.



«Dio è in noi», diceva padre Albert Chassagneux, il mio cappellano del liceo Ampère di Lione. E Dio, per definizione, ci conosce meglio di quanto conosciamo noi stessi. Ha previsto la malattia e ha dato all’uomo i mezzi per uscire dalle crisi che chiamiamo «malattie». Ma invece di ascoltarle come segnali di allarme destinati a farci cambiare comportamento, ci ostiniamo a farle sparire senza cercarne il significato, senza ascoltarne il messaggio. Ambroise Paré, famoso medico francese considerato come il padre della chirurgia moderna, diceva: «Io l’ho curato, Dio l’ha guarito!». Molti secoli prima, Ippocrate affermava: «Natura medicatrix», la natura è medicina. A condizione però di lasciarla fare e di non metterle troppo i bastoni tra le ruote. Per questo motivo ai medici consigliava, nella sua famosa scuola dell’isola greca di Kos, di stare soprattutto attenti a non nuocere ai pazienti: «Primum non nocere». In molti casi la malattia fa già parte del processo di guarigione, ma invece di rispettarla la si blocca. La malattia, in realtà, è sia una guida sia un processo di guarigione. Come guida, ci invita a sviluppare l’attitudine che ci serve di fronte alla crisi che attraversiamo. Come processo di guarigione testimonia che il nostro organismo ha già iniziato a risolvere il problema.



È importante avere quindi un’attitudine basata sulla fiducia nel potenziale di autoguarigione del malato. Si tratta di aiutarlo a superare naturalmente la propria crisi dopo averne eliminato le cause, invece di sostituirsi a lui in questo «lavoro». Di conseguenza, l’arte medica corrisponde alla capacità di adattare la strategia terapeutica al paziente e richiede la conoscenza dei diversi metodi di cura per poter proporre la scelta migliore. Dopo gli studi, il medico «vero» si trova a dover reimparare tutto: la vita, la morte, le psicologie, l’umanesimo, la sofferenza e le diverse terapeutiche a disposizione.



Omeopatia, chirurgia, agopuntura, psichiatria e osteopatia racchiudono tutte - oltre al proprio potenziale terapeutico specifico - anche uno sguardo particolare sulla fisiopatologia, ossia sulle relazioni tra buona salute e malattia. In tal senso, la conoscenza approfondita di un metodo terapeutico come quello dell’omeopatia porta in genere il medico ad avere una visione più ampia e più ricca della malattia. Un medico divenuto «omeopata», quindi, non è soltanto un esperto nell’arte di prescrivere i medicinali omeopatici, ma è anche un «altro medico». In quanto «terapeuta» saprà combinare le diverse strategie di cura tenendo conto della modalità reattiva del malato. Saprà quindi scegliere quando ricorrere ai mezzi della «medicina dura» - quali chirurgia, terapia antibiotica, morfinici o corticosteroidi - e quando prescrivere le «medicine dolci» quali omeopatia, agopuntura, osteopatia. Il vantaggio di queste alternative terapeutiche diventa quindi duplice: da un lato apportano una complementarietà efficace o addirittura essenziale e dall’altro arricchiscono e ampliano la cultura medica. La concezione della felicità che ho illustrato nel mio ultimo libro Siamo tutti fatti per essere felici potrebbe essere insieme il presupposto e la conseguenza di una nuova visione della vita in ogni suo aspetto: quello della salute, della malattia e della morte, spingendo la riflessione oltre che sul piano medico, anche sul piano pratico e metafisico, sociale e politico-economico.





A Matera la fucina delle scrittrici

Cultura


29/09/2011 - DA OGGI A DOMENICA 2 OTTOBRE

A Matera la fucina delle scrittrici

Al via il "Women's Fiction Festival"



La scrittrice Margaret Mazzantini

Per l'ottavo anno la rassegna

propone incontri con editori

e agenti a esordienti e non

In programma anche eventi

aperti al pubblico: attese

Mazzantini, Alessia Gazzola,

Ritanna Armeni, Cinzia Leone,

Alessandra Casella e tante altre

Per l'ottavo anno consecutivo Matera sarà lo scenario del Women's Fiction Festival, l'appuntamento annuale che permette alle scrittirici, esordienti e affermate, di incontrare a tu per tu agenti letterari e editor delle principali case editrici nazionali e internazionali.



Per quattro giorni, da giovedì 29 settembre a domenica 2 ottobre, si terranno a Matera diversi eventi rivolti ad autrici provenienti da diversi paesi del mondo. Sono in programma il Congresso internazionale per scrittori, Master Class offerte da scrittrici best seller, Briefings for Thriller Writers dedicati ai giallisti, e appuntamenti a tu per tu tra scrittori, editor, agenti letterari e consulenti editoriali; tutti gli iscritti al Festival avranno modo di approfondire tecniche, dinamiche e trucchi del mestiere per accrescere la possibilità di pubblicazione e consolidare le proprie competenze professionali. Inoltre, per il pubblico, saranno organizzati incontri con gli autori, happy hour, premiazioni letterarie e concerti.



Seguendo il modello delle maggiori Writers Conferences internazionali, il Festival rappresenta una grande novità sul mercato editoriale italiano, proponendo spazi di condivisione e di approfondimento sulle tecniche di scrittura e sui metodi e le strategie più innovative e mirate per proporre la propria opera sul mercato editoriale. Il Festival di Matera si posiziona sempre di più come il luogo dove l'offerta editoriale si contraddistingue per qualità e alta professionalità dei relatori.



Comincia a essere considerevole il numero di autrici che hanno pubblicato i loro scritti grazie al Women's Fiction Festival: nel 2008 Giuseppina Torregossa partecipa al Festival incontrando l'incoraggiamento di alcuni editor. L'anno successivo pubblica il Conto delle minne (Mondadori), un successo e vero caso editoriale. Attualmente è nei primi posti in classifica con l'ultimo titolo, Manna e miele, ferro e fuoco (Mondadori). Altri nomi e altre storie di incontri editoriali iniziati a Matera: Emilia Marasco, con Famiglia femminile plurale (Mondadori), Daniela de Prato, con “Il sole negli occhi (Tea), Gabriella Genisi, con La circonferenza delle arance (Sonzogno), che prossimamente diventerà una fiction tv; Margaret Moore, con Tuscan Terminator (Worldwide Mystery), Elizabeth Edmondson, con “Doume and Shadows” (Sourcebooks).



Anche quest'anno i referenti dell'industria editoriale sono numerosi: dall'estero, Etopia Press (U.S.), Simon & Schuster (U.K.), Hodder Publishing (U.K.), Ullstein Verlag (DE). Dall'Italia: Mondadori, Harlequin Mondadori, Leggereditore, Kowalski, Ponte alle Grazie, Frassinelli. Negli incontri singoli, all'”help desk per scrittori,” ci saranno Sophie King, writing coach, scrittrice e giornalista, Beth Barany, esperta di social media, e Raoul Chiesa, esperto di hacking e di sicurezza informatica.



Gli agenti con cui confrontarrsi su idee e manoscritti: Maria Paola Romeo, Grandi & Associati (It), Judith Murdoch, Murdoch Literary Agency (Uk); Sallyanne Sweeney, Watson & Little Literary Agency (Uk); Rita Vivian, Rita Vivian Literary Agency (It); Christine Witthohn, Book Cents Literary Agency (Usa).



Tra le novità assolute dell'edizione 2011 ci sarà il Brainstorming, uno spazio dove i partecipanti potranno liberare la loro energia creativa e avranno occasione di riflettere a più voci su trame da sviluppare e personaggi da caratterizzare. Sarà condotto, per la sessione italiana, dall'agente letterario Maria Paola Romeo, e per la sessione inglese dalla scrittrice ed esperta di scrittura creativa Sophie King.



Accanto agli eventi riservati agli iscritti e al congresso internazionale, proseguono gli incontri con il pubblico: Non è un paese per donne” è il titolo dell’incontro a cui parteciperanno Cristina Zagaria e Carmen Pellegrino, curatrici e autrici dell’opera Non è un paese per donne. Racconti di straordinaria normalità (Oscar Mondadori 2011). Insieme alle scrittrici, mamma e figlia, Elvira Seminara e Viola di Grado. Per gli amanti del genere thriller, un incontro con la giovane anatomopatologa Alessia Gazzola, autrice de L’allieva (Longanesi 2011). Per festeggiare un anno di narrativa femminile, Leggereditore invita all’aperitivo letterario in compagnia di Sergio Fanucci, Lara Adrian, Ornella Albanese, Mariangela Camocardi, Kathleen McGregor. Emilia Marasco, Mariangela Mianiti, Lidia Castellani si confronteranno sul tema della “Famiglia” come istituzione in continua evoluzione. E ancora: Ritanna Armeni, Stefania Auci, Gianpaolo Balsamo, Alessandra Casella, Vittorio Catani, Roberta Ciuffi, Silvana De Mari, Cinzia Leone, Giuseppe Lupo, Kathleen McGregor, Carlotta Mismetti Capua, Francesca Palumbo, Giovanni Solimine, Giuseppina Torregrossa.



Come ogni anno, il direttore editoriale di Harlequin Mondadori, Alessandra Bazardi, consegnerà il Premio Baccante. Nell'ottava edizione il magnifico gioiello in oro verrà assegnato a Margaret Mazzantini, vincitrice del premio Strega nel 2002 e autrice di Non ti muovere (Mondadori, 2001), ai vertici delle classifiche con l'ultimo romanzo Nessuno si salva da solo (Mondadori, 2011).



Infine, la mostra Preferisco leggere mette in evidenza l'importanza di questa attività in tempi in cui il libro attraversa un periodo di trasformazione e la lettura diventa una scelta ancora più significativa in mezzo alla marea di attività di evasione e di intrattenimento. La mostra di Patrizia Traverso, composta da fotopagine dedicate ai libri, evidenzia come la lettura sia il comune denominatore tra ispirazione e tecniche narrative, racconti autobiografici, romanzi, thriller e fantasy, tradizione e innovazione. Il programma completo e le info per le iscrizioni: http://www.womensfictionfestival.com/

Fonte : "La Stampa"

Alimentazione e celiaci.

Alimentazione


30/09/2011 - la prima manifestazione "gluten free"

Per i celiaci l’appuntamento è a CELIA’

Il logo di Celia', la prima manifestazione "gluten free" che si svolge in Italia - dal 15 al 16 ottobre 2011

A Mondovì (CN) il 15-16 ottobre 2011 ci sarà il primo evento italiano completamente gluten free

La celiachia sarà protagonista in Piemonte, e precisamente a Mondovì in provincia di Cuneo il 15 e 16 ottobre 2011, in un evento nazionale che ha per nome “Celià”.



Sarà il primo appuntamento italiano "Gluten free" in cui sarà possibile discutere, approfondire e conoscere da vicino il mondo dell’intolleranza al glutine. Faranno da cornice all’evento spettacoli e convegni tematici, senza tuttavia rinunciare all'approfondimento specialistico-scientifico. Qui saranno anche presentati i progetti e le strategie di intervento della Regione Piemonte nell’ambito delle intolleranze alimentari. Non mancheranno nemmeno i laboratori, le degustazioni che vedranno coinvolti grandi Chef e Associazioni di categoria.



Celià sarà occasione divertente e al tempo stesso riflessiva per affrontare in modo critico una delle tematiche più attuali nel campo alimentare. Celià si rivolge al grande pubblico così come ai pazienti celiaci, i medici, gli operatori sanitari e gli operatori del settore agroalimentareì.

Tra i partner scientifici che sostengono la manifestazione c’è l’AIC – Associazione Italiana Celiachia e la SIGE – Società Italiana di Gastroenterologia.



La celiachia, nota come intolleranza al glutine, allo stato attuale nel nostro Paese affligge una persona su 100. Il tasso d’incidenza è in sensibile aumento se si considera che le presone che si scoprono intolleranti al glutine accrescono del 10% ogni anno. Di fronte a questo fenomeno, un tempo poco considerato dalla società, oggi si stanno interessando non solo gli enti e gli operatori sanitari, ma anche le aziende che offrono sempre più prodotti adatti a coloro che soffrono di intolleranze alimentari. Gli stessi consumatori, sempre più attenti alla propria salute, cercano di affidarsi a un regime alimentare più sano e in linea con le proprie esigenze.



La quindi maggiore disponibilità sul mercato di prodotti indicati anche a chi soffre di intolleranze alimentari, affiancata all’apertura di ristoranti idonei, contribuisce a migliorare la qualità della vita di coloro che fino a poco tempo prima si sentivano in qualche modo esclusi dal condurre una vita alimentare come tutti gli altri, la quale ha implicazioni anche nel sociale e nei rapporti interpersonali. Non a caso la società odierna e l’attività lavorativa obbligano sempre più spesso un consumo dei pasti fuori casa, e spesso chi ha problemi di intolleranza trova assai difficile seguire una dieta adatta.



Celià porta a conoscenza realtà diversificate, tutte accomunate dalla volontà di garantire altissima qualità “gluten free”, una strada intrapresa con successo da soggetti autorevoli come Eataly, partner della manifestazione monregalese. «Eataly è molto contenta di collaborare al primo evento italiano dedicato alla Celiachia - dichiara Francesco Farinetti, amministratore delegato - e ringrazia l’Associazione Intolleranza Zero per l'entusiasmo dimostrato nell'organizzazione di questa importante manifestazione. Il quarto punto del manifesto di Eataly s'intitola “TUTTI”, perché Eataly è un luogo aperto in cui chiunque può sentirsi protagonista di un informale percorso di avvicinamento e comprensione dei cibi e delle bevande di qualità. Proprio in questo solco abbiamo aderito con convinzione a Celià, perché pensiamo che fra quei "tutti" rientrino a pieno diritto le persone che soffrono di intolleranze alimentari».



Come i grani di una spiga virtuale, le piazze del centro storico di Mondovì accolgono il visitatore in un percorso suggestivo. Piazza Maggiore ospita il cuore della manifestazione: un’area espositiva dedicata a tutte le realtà che offrono prodotti, servizi, sistemi e attrezzature per la celiachia. Dai produttori e rivenditori di alimenti per celiaci alle strutture ricettive, dagli studi medici ai laboratori di ricerca, dai servizi di catering alle associazioni di categoria. Nell’area espositiva di Piazza Maggiore è presente l’AIC – Associazione Italiana Celiachia Piemonte Valle d’Aosta con uno stand istituzionale, dove è possibile consultare materiale informativo e conoscere le principali attività e iniziative promosse dall’Associazione. Presente, inoltre, la Libreria celiaca, con testi medico-scientifici, ricettari, testi di economia domestica e familiare, e un’area lettura dove sfogliare comodamente le pubblicazioni interessanti e approfondire i temi dell’evento. Un’offerta completata dal Celià Bar, spazio relax dove degustare menu genuini e raffinati, rigorosamente a intolleranza zero.



Due sono i convegni, principali momenti per l’informazione medico-scientifica in programma nell’Aula Magna dell’Istituto Alberghiero Giolitti, Piazza IV novembre:

- Riservato agli operatori. Sabato 15 ottobre, h. 9.30-19.30: La malattia celiaca: la diagnosi e la gestione del paziente. Stato dell'arte, convegno accreditato ECM.

- Aperto al pubblico. Sabato 15 ottobre, h. 15.30-17.30, FAQ Medici e Pazienti: interazione per creare cultura, dibattito dedicato al confronto fra ricerca, assistenza ospedaliera, medici di famiglia e pazienti. Moderatore Federico Quaranta, celebre conduttore della trasmissione di Radio 2 Decanter. Tra i relatori dei convegni, Gianfranco Delle Fave, presidente SIGE - Società Italiana di Gastroenterologia, Caterina Pilo, Direttore Generale AIC - Associazione Italiana Celiachia e Aldo Manca, Direttore SC Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva ASO Santa Croce e Carle Cuneo.



I Cook Celià show

Tutti i giorni, alle ore: 11,00 – 14,00 e 17,00, Sala Fracchia del Circolo di Lettura - Palazzo del Governatore (Via Gallo ang. Piazza Maggiore), appuntamento con i Cook Celià Show, laboratori dimostrativi durante i quali professionisti della cucina si esibiscono nella preparazione e nell’illustrazione di piatti e prodotti per tutti. Non mancano degustazioni guidate per presentare preparazioni e materie prime, raccontando la storia e l’evoluzione dei prodotti utilizzati nelle cucine italiane. A condurre gli show, il cuoco di Eataly Luca Montersino, fondatore di Golosi di salute, la prima pasticceria salutistica, volto della trasmissione di Alice TV Peccati di gola e ospite fisso a La Prova del cuoco di Rai 1. Per partecipare è necessaria la prenotazione.



Sabato 15 ottobre, ore 20,30, Istituto Alberghiero G. Giolitti - Piazza IV Novembre, Stelle per tutti, il gran galà di Celià. Non solo una cena, ma un vero e proprio evento con chef stellati che preparano e presentano piatti di qualità a intolleranza zero. A condurre e animare la serata, Federico Quaranta, voce di Decanter – Rai Radio 2. Per partecipare è necessaria la prenotazione.



Tutti i giorni, al Belvedere di Mondovì, l’Accademia dei Folli di Torino presenta Che ne sai tu di un campo di grano? Spettacolo musical-teatrale, ideato appositamente per la manifestazione, che affronta in tono ora ironico, ora poetico il mondo della celiachia e delle intolleranze alimentari.



Grazie a Celià, il Piemonte diventa territorio di riferimento per tutte le aziende che offrono prodotti, servizi, sistemi, attrezzature per la celiachia, creando una stretta relazione con gli aspetti a essa connessi (medicina, ricerca, formazione, cultura, ambiente, tradizione, commercio, grande distribuzione). Celià rappresenta dunque un’occasione di promozione strategica del territorio e dei principali luoghi storici del cuore del monregalese, come Piazza Maggiore, il Belvedere e il Museo della Ceramica.

«La Regione Piemonte è impegnata in prima persona sul fronte della celiachia – sottolinea Alberto Cirio, assessore regionale al Turismo – In particolare sosteniamo dei corsi di formazione in collaborazione con l’AIC per sensibilizzare il sistema turistico e della ristorazione a offrire ai propri clienti anche la possibilità di una cucina senza glutine, di qualità e capace di valorizzare le nostre tipicità locali. Poter mangiare tutto è un diritto di tutti e questo è fondamentale anche turisticamente per una regione come il Piemonte, dove l’enogastronomia è una delle attrattive più forti. Questo evento ci permette, quindi, di promuovere la sensibilità del nostro territorio su questo tema e di farci conoscere come destinazione pronta ad accogliere tutti al meglio, anche i turisti celiaci».



Celià è un evento organizzato dall’Associazione Intolleranza Zero, che promuove la conoscenza del mondo delle intolleranze alimentari attraverso l’organizzazione di eventi, in collaborazione con il Comune di Mondovì. Celià gode del patrocinio della Regione Piemonte, della Provincia di Cuneo, della Camera di commercio di Cuneo e dell’Azienda Turistica Locale del Cuneese. La segreteria scientifica di Celià è curata da M.A.F. Servizi, la segreteria organizzativa da Fly Eventi.



Info e prenotazioni Celià – senza glutine che spettacolo
15-16 ottobre 2011
Mondovì - Piazza Maggiore Tel. +39 0172 474003 Web: www.celia.cn.it
E-mail: info(at)celia.cn.it Social: facebook.com/CeliaMondovi
twitter.com/celiamondovi
youtube.com/celiamondovi



Fonte : la stampa

Referendum : la grande sfida.

LEGGE ELETTORALE


Referendum, la grande sfida

chi lo vuole e chi lo teme

Firme in Cassazione in attesa della pronuncia della Consulta. E dietro il quesito elettorale si gioca la partita delle alleanze. E il sospetto che il Cavaliere, pur di non di fare a meno del Porcellum, punti alle elezioni anticipate

di MATTEO TONELLI,da Repubblica

I promotori del referendum (agf)

ROMA - "Pungolo" o "grimaldello" che sia, il possibile via libera al referendum elettorale che punta ad abolire l'ormai famigerato Porcellum per tornare al Mattarellum, apre scenari e interrogativi su quello che potrà essere il nuovo sistema elettorale italiano. E su chi ne beneficerà maggiormente. Infatti, se l’attuale Porcellum sarà abolito e si ritornerà al 'Mattarellum', gli ingranaggi della politica potrebbero rimettersi in movimento. Anche perché la legge elettorale è materia delicatissima. Al punto che la caduta del governo Prodi arrivò proprio in occasione dei negoziati sulle nuove regole elettorali (con la conseguente rivolta dei partitini).

Oggi i promotori del referendum hanno consegnato le firme in Cassazione, 2 primo vaglio di validità, in attesa della pronuncia della Corte costituzionale. Perché è quella la spada di Damocle che incombe sull’iter referendario. La possibilità che la Consulta bocci il referendum dichiarandolo incostituzionale perché porterebbe una vacatio legis del parlamento.



Nell’attesa, però, le grandi manovre sono già in atto. Partendo da due punti. Il primo: il Mattarellum non piace al Pdl, alla Lega, all’Udc e anche a una parte del Pd. Il secondo: la riforma elettorale è strettamente connessa alla precaria situazione politica. E' chiaro infatti che gli scenari che si aprono divergono a seconda della permanenza dell'attuale governo fino alla scadenza naturale della legislatura, della nascita di un nuovo esecutivo di larghe intese o di elezioni anticipate.



Schierati a spada tratta per il ritorno al Mattarellum sono l’Idv di Di Pietro, Sel di Vendola, la Rete dei referendari di Segni, il Pli, Popolari (ex asinello). La logica che si porta dietro il Mattarellum è quella delle grandi coalizioni (solo il 25% è proporzionale). Ipotesi che a Di Pietro e Vendola piace. Senza contare che i due hanno da tempo sposato l’onda lunga referendaria come nel caso dell’acqua pubblica.



Più complessa la posizione del Pd che, nelle settimane scorse, ha messo sul tavolo una disciplina che ricalcherebbe il sistema ungherese: in pratica un misto di maggioritario a doppio turno, proporzionale con diritto di tribuna. Bersani, viste le divisioni interne, ha evitato di schierarsi apertamente a favore del referendum. Da una parte spiegando che “non tocca ai dirigenti di partito promuovere referendum” e ribadendo che la via maestra è quella parlamentare, dall’altra mettendo a disposizione le feste del Pd per raccogliere le firme. Non è un mistero, però, che la freddezza del segretario sia anche legata alla nettà contrarietà dell’Udc nei confronti del referendum. Del Mattarellum Casini non vuol sentire parlare anche perché un sistema che privilegi le grandi coalizioni rischierebbe di mettere l’Udc (e in neonato Terzo Polo) in una situazione di marginalità. Per questo i centristi chiedono da sempre un sistema proporzionale con ritorno alle preferenze anche se Casini, convinto che l’unica via di riforma possibile debba essere quella parlamentare, ha offerto una sponda a Bersani: “Noi siamo per il proporzionale alla tedesca ma possiamo, l’ho detto anche a Bersani, a discutere del loro disegno di legge”. Apparentemente più netta la posizione di Fli: “Se il Pdl fosse tentato da una nuova legge elettorale contro il Terzo Polo si renderebbe inevitabile un’alleanza tecnica e costituzionale con il centrosinistra e con il Pd in tutti i collegi”. Come dire: a mali estremi, estremi rimedi.



Eppoi c’è la Lega che, nei mesi scorsi, non ha chiuso le porte al ritorno al proporzionale anche perché il Mattarellum obbligherebbe il Carroccio ad allearsi, in una fase in cui il dopo Pdl senza Berlusconi è tutto da disegnare. Meglio avere le mani libere, dunque. Chi invece non ha ancora scoperto le carte è il Pdl. L’attuale legge ha permesso al centrodestra di poter godere su di una solida maggioranza parlamentare e, in passato il Cavaliere ha sempre detto che non aveva intenzione di cambiarla, ritenendolo un sistema in grado di garantire la governabilità e il bipolarismo. Adesso, però, qualcosa sembra muoversi. Non a caso il neosegretario Alfano ha tratteggiato un abbozzo di proposta articolata su due punti: stop ai parlamentari nominati, ma il bipolarismo non si discute. In pratica si tratterebbe di un'ipotesi che, pur mantenendo in vita l'attuale sistema nei suoi aspetti fondamentali, andrebbe incontro alle richieste di correzioni che sono state avanzate da più parti, a cominciare dall'esigenza di superare il sistema delle liste bloccate o comunque di consentire agli elettori di scegliere i propri rappresentanti. Un altro punto sul quale intervenire potrebbe essere il premio di maggioranza e anche su questo aspetto la proposta studiata dal Pdl prevede un intervento che pur non accogliendo la richiesta di abolizione del meccanismo tuttavia lo corregge. Ma anche in questo caso, come per il Pd, la nuova legge elettorale diventa uno strumento di dialogo con l'Udc. In particolare per chi, nel Pdl, punta ad un processo di "riunificazione del centrodestra". I centristi, per adesso, frenano: "Il Terzo polo andrà da solo alle elezioni, perché serve un'alternativa di serietà ".



Ed è a questo punto che occorre fare un passo indietro e interrogarsi su quelli che potrebbero essere gli scenari politici. A partire dal fatto che Berlusconi potrebbe far saltare il banco. Lo dice, senza mezzi termini, il presidente lombardo Roberto Formigoni: "Siccome la legge elettorale che uscirebbe dal referendum è assolutamente contraria agli interessi nostri potremmo essere portati ad andare ad elezioni nel 2012". Con il Porcellum, che tante gioie ha regalato al Cavaliere. E pazienza se, a dispetto di tante promesse, gli elettori si troveranno nuovamente a "scegliere" candidati imposti dall'alto.





giovedì 29 settembre 2011

I blogger in piazza contro il Ddl intercettazioni.

Politica


29/09/2011 -

La protesta in piazza del Pantheon a Roma

 contro

la legge bavaglio



Oggi la protesta a Roma contro

la legge -bavaglio. Ma il Pdl va

avanti: «La prossima settimana

il testo all'esame della Camera»

Decine di cartelli con la scritta «No ai bavagli» hanno fatto da sfondo alla manifestazione organizzata al Pantheon a Roma dal Comitato per la libertà e il diritto all’informazione la cultura e lo spettacolo, per dire no alla legge sulle intercettazioni che mercoledì 4 ottobre inizierà il suo iter in Parlamento. Diverse centinaia di persone sono scese in piazza con cartelli e bandiere per sottolineare il no ad un provvedimento ritenuto incostituzionale, perchè in contrasto con l’articolo 21 sulla libertà di informazione. Alla protesta hanno partecipato diverse associazioni, da Articolo 21, alla Rete Viola, fino a Libertiamo.it. In piazza anche i rappresentanti della neonata Unione delle giornaliste libere e autonome, denominata Giulia, tra cui le giornaliste Rai Maria Luisa Busi e Tiziana Ferrario.



Presenti anche l’Usigrai, per portare avanti la battaglia «Riprendiamoci la Rai», e la Fnsi con il suo presidente Roberto Natale. «Il nostro - ha detto chiudendo dal palco la manifestazione - non è il no di una casta ma di tanta parte della società italiana». Hanno aderito anche decine di parlamentari del Pd, dell’Udc, dell’Idv, di Fli, oltre a esponenti di Sel. Oltre alla protesta contro la legge sulle intercettazioni, in piazza è stato gridato il no al cosiddetto comma «ammazza-blog’, che estenderebbe la regolamentazione della carta stampata ai siti informatici, in particolare relativamente all’obbligo di rettifica. Una "battaglia" portata avanti dall’associazione Agorà Digitale.



Nonostante le proteste il governo ha deciso di accelerare sul provvedimento. Nel corso del vertice di maggioranza a palazzo Grazioli si è discusso del calendario della riforma costituzionale al Senato, «stabilendo di arrivare al primo voto entro 40 giorni», e del calendario dei lavori della Camera, che prevederanno per «la prossima settimana le intercettazioni». È quanto ha reso noto Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera, lasciando la residenza romana del premier.

Fonte :" la stampa"

Liti pendenti : arrivano gli avvisi.


L'Agenzia delle entrate potrebbe inviare avvisi per informare sulla sanatoria

L'agenzia delle Entrate si attiva a sostegno della chiusura delle liti pendenti. È allo studio, infatti, la possibilità di inviare a tutti i contribuenti che possono aderire alla sanatoria una lettera per segnalare l'opportunità offerta dalla manovra di luglio (Dl 98/2011, convertito dalla legge 111/2011).



Al momento, gli uffici stanno verificando la possibilità di indirizzare le lettere senza raggiungere soggetti che non possono accedere alla sanatoria, per evitare di creare situazioni di allarme.



Bisogna ricordare, infatti, che non tutte le liti di (verosimile) valore ridotto possono essere sanate. Inoltre, la norma dispone che «restano comunque dovute per intero le somme relative al recupero di aiuti di Stato illegittimi».



Per avere un quadro delle esclusioni, occorre ricordare che il comma 12 dell'articolo 39 del Dl 98/2011 ha stabilito che le liti possono essere chiuse se hanno valore non superiore a 20mila euro. Un'indicazione che sembra tagliare di netto in due l'universo delle liti pendenti. In realtà non è così, perché questo riferimento esclude tutti i casi in cui il valore non è determinabile, e non sono pochi.



La norma limita espressamente le liti definibili a quelle relative a imposte gestite dall'agenzia delle Entrate. Poichè la legge fa riferimento al criterio del valore, non si possono definire le liti che non hanno un importo definibile. Rientrano fra queste i casi in cui il contribuente ha impugnato il rifiuto a una richiesta di agevolazioni, o in cui la controversia è relativa alla rendita catastale. Allo stesso modo, restano fuori anche le cause per rimborsi rifiutati esplicitamente o attraverso il meccanismo del silenzio rifiuto. Una ricognizione di tutti i casi "dentro e fuori" avverrà verosimilmente nella circolare in fase di preparazione da parte dell'Agenzia.



Le eslcusioni riducono, dunque, il numero delle controversie sanabili. Secondo stime informali, in linea di massima le cause sotto i 20mila euro potrebbero arrivare fino al 60% di quelle pendenti, ma quelle che potenzialmente possono aderire alla sanatoria si dovrebbero attestare intorno alle 250mila. Si capisce, dunque, perché sono in molti a fare pressioni perché in una delle prossime manovre sia rivisto il tetto dei 20mila euro.



L'invito ai contribuenti tiene conto del fatto che in molti casi questi ultimi possono difendersi da soli davanti alle commissioni tributarie, se le cause sono inferiori ai vecchi cinque milioni di lire. Il contribuente che non si fosse informato in questo periodo sulla possibilità offerta dalla legge, non andrebbe ovviamente a sanarla.



L'Agenzia, comunque, sta pensando di rivolgersi a tutti per informare sulla nuova possibilità. I versamenti per aderire alla sanatoria vanno, infatti, effettuati entro il 30 novembre 2011 in unica soluzione. Da qui la necessità di stringere i tempi anche nell'operazione avvisi ai contribuenti.

Fonte : "Vivere"
INTERCETTAZIONI


Anche la Cgil in campo


contro la legge bavaglio

Il sindacato partecipa attivamente alla mobilitazione. "Invece di parlare di lavoro e sviluppo, la maggioranza intasa il Parlamento con provvedimenti utili solo a salvare Berlusconi dai suoi processi"

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DA SEMPRE “parte del movimento”. Per difendere la libertà d'informazione e lottare contro ogni forma di bavaglio alla stampa e all'attività della magistratura. La Cgil è in campo. Da oggi, per partecipare alla manifestazione prevista in piazza del Pantheon, Roma, dalle 15 alle 18. E, se sarà necessario, anche “nelle prossime settimane: marcheremo a uomo i passaggi parlamentari del disegno di legge sulle intercettazioni”, dice Fulvio Fammoni. Perchè “invece di parlare di lavoro e sviluppo, la maggioranza intasa il Parlamento con provvedimenti utili solo a salvare Silvio Berlusconi dai suoi processi”.



Una maggioranza impazzita, che invoca la tutela della privacy come principio guida del ddl sulle intercettazioni. “Una cosa assurda”, continua Fammoni. “Questo provvedimento non ha niente a che fare con la privacy. Basta far caso a una cosa: viene riattivato solo quando emergono problemi di carattere giudiziario relativi al presidente del Consiglio”. Una situazione torbida, resa ambigua dalla strategia del Governo: “Sembra che si utilizzi la crisi, il fatto che i cittadini sono impegnati a pensare a come arrivare alla fine del mese, per continuare l'affondo verso la libertà d'informazione”. La legge Bavaglio “è solo un pezzo di un'iniziativa più generale che mette insieme le censure, i tagli e il depotenziamento del servizio pubblico, gli interventi sui giornalisti”.



Poi i temi della giustizia, le “interferenze, indebite, dell'esecutivo sulla magistratura”. Una violazione della separazione dei poteri che passa attraverso le norme che prevedono “la sostituzione del pm se solo emerge qualche notizia relativa all'inchiesta che sta curando”. E ancora le nuove regole “ammazza-blog”. E la norma D'Addario. Ovvero: il divieto di utilizzare registrazioni definite “fraudolente”. Fammoni: “Pensiemo a chi viene taglieggiato e registra le minacce che subisce. Se passa questo testo cosa farà, chiederà il permesso a chi lo ricatta per utilizzare la registrazione? Siamo alle comiche...”.



Ancora sulla privacy. “Discutiamo di privacy per quanto riguarda i cittadini, ma facciamo delle differenze per chi ricopre un incarico pubblico”. Perchè al di là del privato del premier, “ci interessa sapere che il presidente del Consiglio invita un possibile indagato a restare fuori dal Paese per non subire un processo. Ci interessano le risate della cricca pochi minuti dopo il terremoto de L'Aquila”. Poi i dubbi di incostituzionalità, la certezza che il ddl sulle intercettazioni contenga norme che “vanno contro tutti i principi della Carta”.



Infine la mobilitazione. Con l'invito rivolto dal maggior sindacato italiano a tutti i cittadini. “Abbiamo già fermato questa legge più volte. E attraverso la mobilitazione dei cittadini per il referendum dello scorso giugno abbiamo mandato un messaggio chiaro alla politica: ci sono beni comuni, come l'informazione, che non vanno toccati”.

Fonte : Repubblica"

mercoledì 28 settembre 2011

INTERVISTA A RODOTA' SUL DDL INTERCETTAZIONI.

Ddl intercettazioni, Rodotà: “Una svolta pericolosa”






“L’altra volta la mobilitazione della Rete contro la legge bavaglio ha dato origine a un vero e proprio movimento. Adesso ci avviamo a fare il bis, dobbiamo resistere allo stesso modo, finchè la maggioranza ritiri il provvedimento”. Già animatore – con un appello firmato tra l’altro da molti intellettuali – della prima campagna democratica contro il bavaglio, il professore Stefano Rodotà è nuovamente sulle barricate pronto ad ottenere lo stralcio definitivo del ddl intercettazioni. Anche se questa volta si dice più preoccupato: “La maggioranza oggi non ha al suo interno nessuna capacità critica, nessuna intelligenza della situazione. Sono stati estromessi i finiani che invece l’altra volta hanno portato avanti un prezioso lavoro di ragionamento, con la presidente della Commissione giustizia Giulia Bongiorno che si muoveva con molto equilibrio”.



Berlusconi, ormai in agonia, sta avanzando un nuovo attacco alle regole democratiche del Paese. Però va detto che anche l’opposizione ci ha messo del suo: ricordiamo il governo Prodi e il ddl intercettazioni di Mastella. Che ne pensa?

Bloccare le intercettazioni è un tentativo che prosegue da molto tempo e l’attuale maggioranza cerca sicuramente di recuperare il vecchio ddl Mastella che – tra l’altro – è pessimo. Fermare tutto fino al giorno in cui si arriva al giudizio di appello significa impedire l’informazione dell’opinione pubblica, quindi un inquinamento pericoloso del clima. Non avremmo saputo nulla della vicenda, ad esempio, che ha coinvolto il governatore della Banca d’Italia Fazio o di altri processi di interesse pubblico. Più in generale, la parola “bavaglio” torna ad essere significativa.



Non crede quindi, professore, che c’è un eccessivo utilizzo delle intercettazioni e – per alcuni aspetti – violazione della privacy?

Questo modo di guardare alle intercettazioni è assolutamente pericoloso perché diventa non solo un bavaglio ma un’oscurità dalla quale la democrazia non si avvantaggia. Poi ci sono una serie di indicazioni che sono state date in questi anni che possono certamente eliminare quelle che sono distorsioni come la circolazione di informazioni su persone estranee ai fatti o la circolazione di informazioni non rilevanti. Ma tutto quello che si sta cercando di fare non ha nulla a che vedere con questo modo di affrontare la questione.



Nel ddl intercettazioni c’è anche il comma 29 – cosiddetto ammazza blog – che prevede l’obbligo di rettifica entro 48 ore e mette i blog allo stesso livello dei media main stream. Cosa ne pensa da questo punto di vista della norma e della equiparazione tra il blog e il giornalismo su carta stampata o radiotelevisivo o tra il blogger e il giornalista?

Non so se in questo caso dover parlare di ignoranza assoluta delle nuove tecnologie oppure di deliberata volontà di censurare. Nell’uno o nell’altro caso è palese il tentativo di imbavagliare qualcuno. I blog sono un mondo eterogeneo, sono molto diversi tra loro: esistono quelli professionisti, quelli amatoriali, poi i siti che sono diversi dai blog. Con il comma 29 si uccide quello che oggi è un fatto estremamente importante per l’informazione, perché l’ammontare della cifra che dovrebbe essere pagata, 12mila euro, annienta qualsiasi blogger, il quale invece di far circolare con libertà informazione, sarà costretto ad una autocensura. In secondo luogo anche il meccanismo, la rettifica entro 48 ore, è sbagliato: se un blogger per 2-3 giorni decide di non svolgere la sua attività e non si rende conto dell’obbligo di rettifica? Il blog non sempre è aggiornato di continuo o quotidianamente. Il problema per lui qui è estremamente pericoloso. Inoltre stona anche che questa richiesta di rettifica sia senza alcun riferimento al fatto (non si dovrebbe prima indagare sulla fondatezza o meno della rettifica?).



Ma una mobilitazione popolare o sane campagne della stampa democratica possono per lei risultare decisive affinché la maggioranza ritiri il ddl intercettazioni o almeno questo comma sui blog, oppure siamo di fronte a una scenario in cui niente si può fare per far cambiare la linea a questa maggioranza?

La maggioranza questa volta ha la volontà di arrivare fino in fondo, blindando il testo con la fiducia. E sono convinto che nascerà un nuovo movimento molto determinato per contrastare il provvedimento. Mi auguro che in parlamento anche l’opposizione sia altrettanto determinata per evitare che si consumi questo sopruso. In fondo la libertà di informazione non è affare dei giornalisti, dal diritto di informazione dei cittadini si può arrivare a una svolta pericolosa.



Che intende per svolta pericolosa?

Non c’è un rapporto diretto ma la stessa operazione si sta portando avanti con il testamento biologico: il rischio è che nel giro di qualche settimana noi abbiamo un drammatico – uso di proposito questo aggettivo – arretramento delle libertà civili in questo Paese. Avremmo espropriato i cittadini del diritto di essere informati (pilastro della democrazia), espropriate le persone del diritto all’autodeterminazione – che è un diritto fondamentale della persona come sancito dalla Corte Costituzionale. Nel momento in cui si toccano i diritti fondamentali non è questione di essere più o meno pessimisti, più o meno critici, ma ci sarebbe veramente un’accelerazione verso la chiusura di quelli che si chiamano spazi di democrazia e libertà.



A scuola di salute

Dossier - A scuola di salute


Si diffondono gli "agriasili", dove i bambini crescono giocando all'aria aperta. Intanto un'indagine tra scuole elementari e medie rivela che tra i banchi ci si ammala. Ecco perché...Indice



Asili del futuro, tra orti e animali di fattoria

E a scuola tira una brutta aria

In classe apriamo le finestre



Asili del futuro, tra orti e animali di fattoria

26/09/2011 La terra non è qualcosa di sporco, ma è là dove cresce giorno dopo giorno il cibo che arriva in tavola. Far passare questo concetto è la scommessa degli asili nelle aziende agricole, i cosiddetti “agriasili”. Un'indagine Coldiretti/SWG evidenzia il crescente successo del fenomeno: più di tre genitori su quattro (78%) sognano di far crescere i propri figli in un ambiente così, semplice, familiare e naturale dove giocare all’aria aperta con piante e animali e gustare merende e colazioni genuine. L’iniziativa è vincente per tutti i soggetti chiamati in causa. La famiglia risolve il problema della carenza delle strutture esistenti nonché del basso livello di soddisfazione che una famiglia su due dichiara nei confronti dell’offerta attuale di nidi o scuole materne. Il bambino ha la possibilità di stare all'aria aperta, correre più di quanto possa fare in un normale asilo e mangiare prodotti freschi e di stagione. L’imprenditore agricolo, infine, trova un'integrazione del reddito dalla gestione dell’asilo, ma anche dal potenziale indotto derivante dalla vendita dei prodotti aziendali.



Nato in Piemonte e presente in Lombardia, Veneto, Trentino e Friuli, l'agriasilo si sta diffondendo anche nelle altre regioni italiane, grazie alla sensibilità dei genitori che capiscono l'importanza del contatto con la natura, da sperimentare fin da piccoli. Dai dati Coldiretti/Swg emerge che per gli italiani è molto importante stare all’aria aperta (80%), a contatto diretto con la natura (76%), mangiare cibi del territorio e di stagione (67%) e avere contatti con gli animali (51%). Il metodo educativo nell'agriasilo prevede l’avvicinamento dei bambini ad un ambiente agricolo, in forma innovativa e alternativa rispetto all’offerta educativa tipica, con i bimbi che partecipano alla cura dell'orto o degli animali della fattoria, asinelli e caprette.









L'orto insegna il senso del tempo e della pazienza, mentre la "pet therapy" porta a interagire positivamente con altri esseri viventi. Le esperienze che possono offrire gli agriasili sono molteplici, dall’aromaterapia alla fitoterapia, dal teatro nella natura ai laboratori per costruire mangiatoie per uccelli con bottiglie di plastica usate. Spesso si possono sperimentare gli agriasili anche per tempi più brevi rispetto alla frequenza scolastica, perché queste strutture ospitano feste di compleanno e offrono servizi di baby parking. Giovanni Bollea, il padre della neuropsichiatria infantile, morto alcuni mesi fa a 97 anni, era convinto che tra i bambini e gli alberi si costruiscono rapporti indissolubili e importanti.



“Basti soltanto vedere i bambini quando sono nei giardini con gli alberi e con le piante o quando entrano nel bosco – ha scritto Bollea – Alzano subito la testa, gli occhi si allargano. Gli alberi più alti portano lo sguardo fino al cielo e i bambini cominciano a sognare. L’albero è un segno di vita e raccoglie in sé il concetto di crescita”. La speranza è che i bimbi che frequentano un agriasilo non solo saranno adulti più rispettosi della natura, ma anche meno timorosi, senza quella paura del contatto diretto con il sole, il vento, il fango, l’erba e la pioggia, che è stato inculcato da piccoli a molti di noi.







di Gabriele Salari, da Famiglia Cristiana

L'Italia che non sta alla finestra.

L'Italia che non sta alla finestra


Anticipiamo il Primopiano di Famiglia Cristiana: le campagne e le iniziative popolari contro l’ignavia delle “caste” arroccate a difesa dei privilegi e sorde agli appelli del Paese.

27/09/2011 Nonostante i venti gelidi della crisi, che congelano non solo i sogni, ma anche le “normali” speranze di vita delle famiglie italiane; nonostante la totale immobilità della politica, preda anch’essa di una crisi, soprattutto di valori, idee e onestà; nonostante la valanga di volgarità, furberie e impunità, che sta travolgendo le istituzioni... ciononostante, c’è ancora un’Italia sana, che non si arrende. Un’Italia “buona”, non “buonista”, che non si perde in parole, proclami e false promesse. Ma si rimbocca le maniche per salvare il Paese. A cominciare dalla difesa dei diritti dei più deboli.







È l’Italia solidale della “società civile”. A fronte dell’“inciviltà” dei politici e delle “caste”, arroccati a difesa dei propri privilegi, da non condividere con nessuno. È l’Italia delle famiglie con figli. Degli uomini e delle donne di “buona volontà”, che vogliono più giustizia, equità e condivisione. È l’Italia degli onesti, non delle escort e dei faccendieri. Il rispetto della legalità, in vista del bene comune, è nell’interesse di tutti.







Forse, mai come oggi, è necessario il risveglio delle coscienze. Prima che si frantumino, assieme al Paese. E trasformare la crisi in opportunità. Con profondi cambiamenti e stili di vita più sobri. In tutto: dalle parole ai comportamenti. E poi, più partecipazione e meno deleghe. Soprattutto per chi usa il consenso popolare per affari privati. E gestisce la “cosa pubblica” come “bene personale”.







Se i “nominati” in Parlamento non muovono coda senza ordini dall’alto, ben vengano dal basso iniziative e proposte di legge. Il popolo è “sovrano”. Ma sempre, non a corrente alternata o a convenienza. Sono campagne di giustizia e solidarietà. Come “L’Italia sono anch’io”, promossa da diciotto organizzazioni (Caritas, Migrantese, Acli, Libera...), in favore della cittadinanza ai figli degli stranieri nati in Italia. Oppure, “Vogliamo zero” dell’Unicef contro la mortalità infantile. O la raccolta fondi della Caritas per la carestia in Somalia, dramma “fantasma” nei media. O la marcia della pace Perugia-Assisi con duecentomila partecipanti. O la provocazione delle Famiglie numerose (nella foto), che si sono incatenate a Roma per dire “Basta!” a una politica “bugiarda” per le tante promesse non mantenute.







Mentre la nave affonda, i timonieri continuano a sollazzarsi. Nel complice silenzio di chi li copre, perché nulla cambi nei privilegi delle “caste”. Ma ora c’è bisogno di più etica pubblica e privata. E di “nuovi protagonisti” in politica. Come ha ricordato il vescovo teologo Bruno Forte: «Gente onesta e preparata delle più diverse ispirazioni in Italia ce n’è. Andrebbero individuati al più presto, attraverso un movimento di partecipazione, che nasca il più possibile dal basso (penso all’associazionismo cattolico, ma anche a tante forme di volontariato o a voci responsabili del mondo sindacale), e punti su esperienza, competenza e serietà. Non è più tempo di stare a guardare o di tenersi lontani dalla politica, col pretesto di non sporcarsi le mani. Si sporca chi cede al compromesso, non chi si mette al servizio degli altri».

Fonte : "Famiglia Cristiana"

Il Sud verso lo "tsumani demografico".

I NUMERI


nei prossimi anni emigrerà un giovane su 4

L'allarme del Rapporto Svimez 2011: nel Mezzogiorno la disoccupazione reale al 25% alimenta le partenze e nel 2050 quasi un abitante su cinque avrà più di 75 anni. La fuga dalle città colpisce soprattutto Napoli, Palermo, Bari e Caserta. Il 45% di chi va via ha laurea o diploma

di FLAVIO BINI, da "Repubblica"



La protesta dei dipendenti Fiat di Termini Imerese a Roma. Lo stabilimento interromperà la produzione a dicembre

ROMA - Il Mezzogiorno si allontana dall'Italia: riparte l'emigrazione, il tasso di disoccupazione reale è del 25%, meno di un giovane su tre ha un lavoro e tre donne su quattro stanno a casa. E' questo il quadro drammatico che emerge dal rapporto Svimez 2011 sulle regioni del Sud; il ritratto di una fetta d'Italia a rischio "tsunami demografico", come denuncia Svimez (associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno), che nel 2050 vedrà gli over 75 crescere di dieci punti percentuali e i giovani scendere da 7 a meno di 5 milioni e del 25% già entro i prossimi vent'anni.



Il fenomeno, rileva il rapporto, provocherà un'inversione nella composizione della società, con il Centro-Nord che diventa più "giovane" del Mezzogiorno. La scarsa natalità, l'assenza di lavoro che causa bassa attrazione di stranieri e massiccia emigrazione verso il Centro-Nord e l'estero, rischiano insomma di trasformare il Mezzogiorno da qui ai prossimi 40 anni in un'area spopolata, sempre più anziana e dipendente dal resto del Paese.



Economia ferma. Il rapporto analizza l'andamento del Pil, rilevando una crescita dello 0,2% nel 2010 a fronte del tracollo (-4,5%) del 2009. La ripresa c'è stata, dunque, ma un punto e mezzo al di sotto delle regioni del Centro-Nord (+1,7%). Va anche peggio se si guarda al medio periodo: negli ultimi dieci anni (dal 2001 al 2010), il Mezzogiorno ha segnato una media annua negativa dello 0,3%, mentre il Centro-Nord è cresciuto del 3,5%, a riprova del perdurante divario di sviluppo tra le due aree.



Abruzzo la più ricca, Campania la più povera. In termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno è passato dal 58,8% del valore del Centro-Nord nel 2009 al 58,5% del 2010. Tra le più ricche nell'area meridionale si posiziona l'Abruzzo, con un pil pro capite di 21.574 euro, inferiore comunque di circa 2.200 euro rispetto all'Umbria, la regione più "debole" del Centro-Nord. Seguono il Molise (19.804), la Sardegna (19.552), la Basilicata (18.021 euro), la Sicilia (17.488), la Calabria (16.657) e la Puglia (16.932). La regione più povera è la Campania, con 16.372 euro.



Due giovani su tre senza lavoro. I numeri della disoccupazione sono impietosi. Dei 533mila posti di lavoro persi in Italia tra il 2008 e il 2010, ben 281mila sono nel Mezzogiorno. Nel Sud, dunque, pur essendo presenti meno del 30% degli occupati italiani, si concentra il 60% delle perdite di lavoro causate dalla crisi. Incide in questa area, più che altrove, il crollo dell'occupazione industriale (-120mila addetti, che vuol dire quasi il 15% di calo, il 20% in Campania).



Se i padri vengono espulsi dal mondo del lavoro, i figli non riescono neppure ad entrarvi. Il tasso di occupazione giovanile (15-34 anni) è sceso nel 2010 al 31,7% (nel 2009 era del 33,3%): praticamente, meno di un giovane su tre ha un impiego. Condizione drammatica anche per le giovani donne, il cui tasso di occupazione nel 2010 ha toccato quota 23,3%, 25 punti in meno rispetto al Nord del Paese (56,5%): di fatto, tre su quattro non hanno lavoro.



Il peso della manovra. Brutte notizie per il Meridione arrivano anche dalla manovra di bilancio. Secondo Svimez, l'effetto cumulato delle manovre 2010 e 2011 dovrebbe pesare in termini di quota sul pil 6,4 punti al Sud (di cui 1,1 punti nel 2011, ben 3,2 punti nel 2012, 2,1 nel 2013) e 4,8 punti sul Pil del Nord (1 nel 2011, 2,4 nel 2102, 1,4 nel 2013). Per quanto riguarda gli incrementi delle entrate, il 76% si realizzerebbe al Centro-Nord e il 24% al Sud, ricalcando così il peso delle diverse aree in termini di produzione della ricchezza.



La fuga dal deserto - Dal 2000 al 2009, segnala il Rapporto, quasi 600mila uomini e donne sono emigrati dal Meridione. Nel 2009 sono partiti in direzione del Centro-Nord circa 109mila abitanti delle regioni del Sud: in testa la Campania (33.800 partenze), seguita da Sicilia (23.700), Puglia (19.600) e Calabria (14.200). I protagonisti di questa fuga dal deserto del lavoro sono soprattutto uomini, il 21% è laureato (la percentuale sale al 54% se si considerano i diplomati) e la meta preferita (un migrante su 4 nel 2009) è stata la Lombardia. Il Lazio è invece ancora il polo d'attrazione principale per abruzzesi, molisani e campani.



Città svuotate, città in crescita. Tornando al dato decennale (2000-2009), delle 583mila persone che hanno abbandonato il Mezzogiorno ben 108 mila sono partite dalla città di Napoli. L'esodo è stato molto rilevante anche da Palermo (-29mila), Bari e Caserta (-15mila), Catania e Foggia (-10mila). Colpiti anche Torre del Greco (-19mila), Nola ed Aversa (-11mila) e Taranto (-13mila). Di riflesso sono cresciute Roma (+66mila), Milano (+50mila), Bologna (+31mila), Reggio Emilia, Parma e Modena (+13mila), Bergamo e Torino (+11mila), Firenze e Verona (+10mila).



La pausa della crisi. Nel biennio 2009-2010, quando la crisi ha colpito il tessuto industriale del Nord e provocato licenziamenti e ricorso massiccio alla cassa integrazione, le partenze di massa dal Sud hanno avuto una pausa. In quei due anni, i "pendolari di lungo raggio" da Sud a Nord si sono ridotti del 22,7%; circa 40mila in meno del 2008. Tra questi emigrati, pur diminuiti in valori assoluti, è cresciuta però la componente laureata (dal 2004 sono stati il 6% in più del totale), a testimonianza dell'incapacità del Mezzogiorno di assorbire personale qualificato. I laureati emigrano soprattutto da Molise (27,8% del totale), Abruzzo (26,6%) e Puglia (24,8%).



Uno su 4 in partenza. Nel dettaglio, secondo Svimez, nei prossimi venti anni il Mezzogiorno perderà quasi un giovane su quattro, mentre nel Centro-Nord oltre un giovane su cinque sarà straniero. Nel 2050 gli under 30 al Sud passeranno dagli attuali 7 milioni a meno di 5, mentre nel Centro-Nord saranno sopra gli 11 milioni. A quella data, inoltre, ci sarà il sorpasso: la quota di over 75 sulla popolazione complessiva passerà al Sud dall'attuale 8,3% al 18,4% nel 2050, superando il Centro-Nord dove raggiungerà il 16,5%.



Le proposte. Dai numeri, lo Svimez passa poi alle proposte. Per rilanciare il Mezzogiorno e il Paese è più che mai urgente - rileva il rapporto - la realizzazione di grandi infrastrutture di trasporto, per colmare i deficit infrastrutturali dello sviluppo logistico, potenziando i nodi di scambio e intermodali, e le iniziative di sviluppo produttivo collegate, per sfruttare le potenzialità del Mezzogiorno nel Mediterraneo. La Svimez stima un costo di 60,7 miliardi di euro, di cui 18 miliardi già disponibili e 42,3 da reperire, da dedicare al potenziamento dell'autostrada Salerno - Reggio Calabria e della statale "Jonica"; la realizzazione di nuove tratte interne alla Sicilia; l'estensione dell'alta capacità (se non dell'alta velocità) nel tratto ferroviario Salerno- Reggio Calabria-Palermo-Catania; il nuovo asse ferroviario Napoli- Bari; infine, il ponte sullo Stretto.



Secondo Svimez, ci sono alcune aree che mostrano potenzialità di sviluppo come filiere territoriali logistiche rivolte "all'internazionalizzazione delle produzioni ed alla maggiore apertura ai mercati esteri": area vasta dell'Abruzzo meridionale; area vasta del basso Lazio e dell'alto Casertano; area vasta Torrese-Stabiese; area vasta pugliese Bari-Taranto-Brindisi; area vasta della Piana di Sibari; area vasta Catanese (Sicilia orientale); area vasta della Sardegna settentrionale.





L'importanza della merenda.

I nutrizionisti considerano determinante per i piccoli spezzare la giornata con la merenda

Con il ritorno a scuola e il cambiamento dello stile di vita i nutrizionisti considerano determinante per i più piccoli spezzare la giornata con la merenda che però viene saltata da ben il 40 per cento dei bambini mentre per gli altri il menù è sempre lo stesso (in 3 casi su 4 panini o pizza).



È quanto afferma la Coldiretti in occasione della prima rassegna nazionale delle merende tradizionali a Torino nell’ambito di MangiaTo, sulla base dei primi dati raccolti nell'ambito del progetto "A scuola in forma".



Una occasione per cogliere idee dal passato e tentare di recuperare una sana abitudine con gli ingredienti semplici della tradizione locale. Nell’ambito della rassegna sono state infatti presentate decine di ricette regionali che hanno fatto crescere intere generazioni. Dalle seadas alle tigelle fino alle torte di verdure sono moltissime le merende preparate secondo le antiche ricette regionali conservate gelosamente nelle campagne, grazie agli agriturismi di Terranostra.



Alcune idee per una merenda che vada alla riscoperta degli antichi sapori: il pane friulano si accompagna a una mousse di ricotta fresca di latte vaccino, le tigelle modenesi, conosciute anche come crescentine, cotte un tempo su terracotta e oggi su piastre di ghisa si accompagnano a confetture di frutta. La Liguria non trascura le verdure che, con il loro contenuto di vitamine e sali minerali, vanno a infarcire le torte di pasta sfoglia o frolla, mentre all’insegna della cucina mediterranea è la bruschetta pugliese dove dominano l’olio d’oliva e il pomodoro.



Gustosa riscoperta della tradizione enologica laziale sono le ciambelle al mosto, per avvicinare al profumo del vino i più piccoli che non possono ancora berlo, mentre dalla Sardegna arrivano le seadas o sebadas, grandi ravioli di una pasta molto sottile fatta con semola di grano duro, acqua e poco strutto, con un ripieno di formaggio pecorino. Il tutto viene fritto e una volta tolto dall’olio, si cosparge di miele di corbezzolo.



La merenda è uno degli appuntamenti fondamentali per l’alimentazione dei più piccoli, ma anche due adulti su tre non rinunciano allo spuntino che si fa spazio tra il pranzo e la cena nelle abitudini degli italiani. Il primo rapporto Coldiretti/Censis sulle abitudini alimentari degli italiani evidenzia che il 62,3 per degli italiani lo fa alla mattina, il 63,8 per cento il pomeriggio e il 52,2 per cento sia alla mattina che al pomeriggio. Frutta, yogurt, cracker e, al mattino, anche cornetto, brioche e merendine, sono gli alimenti più consumati anche se cresce la tendenza a incontrarsi per un break e gustare sapori più particolari.

Fonte : "Vivere"

Funghi e pecorino contro lo stress.


Il merito è del triptofano al quale sono state attribuite proprietà rilassanti

Dai funghi coltivati al pecorino è lunga la lista dei cibi che aiutano a combattere lo stress grazie all'elevato contenuto in triptofano al quale sono state attribuite proprietà rilassanti da una nuova ricerca dell'Università di Cambridge.



È quanto emerge da una analisi della Coldiretti in riferimento alla ricerca condotta dall'italiano Luca Passamonti del Cnr di Catanzaro e pubblicata sulla rivista Biological Psychiatry che dimostra come anche un menu sbagliato può contribuire a fare perdere la calma. La responsabilità secondo questa ricerca è della riduzione della quantità di serotonina nel cervello che avviene quando si salta il pranzo o si ha una dieta carente di triptofano che è appunto un precursore della serotonina.



Consigli che sono particolarmente utili negli incontri a tavola per motivi di affari o di cuore quando è particolarmente importante non perdere le staffe e sicurezza e calma con i propri commensali. Secondo la Coldiretti sono molti i piatti di uso comune che grazie al loro elevato contenuto in triptofano possono aiutare a rilassarsi e a combattere il nervosismo.



Cibi da preferire

Per evitare gli sbalzi d'umore che mettono spesso a rischio anche i rapporti personali è bene dunque non fare mancare dalla propria dieta questi prodotti che l'agricoltura italiana offre in abbondanza. Oltre ai funghi coltivati, sono particolarmente efficaci pappa reale e mandorle ma anche bieta cruda, uova, spinaci crudi, cioccolato, noci, latte, fagiolini, farina di grano integrale, crescenza, zucchine, orata, agnello, tacchino e pecorino romano, secondo la lista elaborata dall'Inran.



Le proprietà del triptofano

Si tratta di cibi che contengono un aminoacido, il triptofano, che favorisce la sintesi della serotonina, il neuromediatore del benessere e il neurotrasmettitore cerebrale che stimola il rilassamento. Per garantirsi una giornata all'insegna della tranquillità un buon presupposto sembra quindi essere quello di alzarsi non dimenticando a colazione il latte e i biscotti di farina integrale ma anche le uova per chi ama il breakfast all'inglese.



A pranzo e cena è importante non farsi mancare carne di tacchino o agnello oppure pesce come l'orata o la sogliola accompagnati da verdure (fagiolini, zucchine e spinaci o bieta) per finire il pasto con una buona scaglia di pecorino romano o crescenza e frutta secca come le noci e le mandorle. E se il "trucco" del menu dovesse fallire è bene ricordare che le proprietà rilassanti del triptofano sono riconosciute essere valide anche per favorire il sonno e una notte serena in tutta tranquillità.

Fonte:"Vivere"

martedì 27 settembre 2011

Verso un post-Berlusconismo peggiore del Berlusconismo?

di GIORGIO CREMASCHI , da  " Liberazione"


Da Standard&Poor’s, alla Confindustria, al “Corriere della Sera”, è un coro unico. Berlusconi se ne deve andare. Non è paradossale che l’uomo più ricco d’Italia, colui che ha governato il sistema politico italiano negli ultimi vent’anni nel nome dell’impresa e del mercato, sia sfiduciato da questi ultimi. Per il capitale gli Stati sono come aziende, e se gli amministratori delegati sono inaffidabili e impresentabili devono essere licenziati. La crisi della democrazia italiana sta anche in questo: che gli enormi guasti sociali, civili, morali, che l’hanno colpita, per opera decisiva di Silvio Berlusconi, non sarebbero stati sufficienti a farlo cadere se non ci fosse stata la crisi del debito.



Berlusconi viene licenziato dai suoi colleghi padroni, ma è ancora lì a far danni, perché i virus autoritari della seconda repubblica non hanno vaccini sufficienti. Almeno per ora. Nella tanto vituperata prima repubblica dei grandi partiti e delle organizzazioni di massa, del proporzionale, del conflitto politico e della lotta di classe, un capo di governo indegno e indecente come Berlusconi sarebbe già stato liquidato dalla sua stessa parte. Così non è oggi ed è per questo che cacciare Berlusconi è condizione necessaria, ma assolutamente non sufficiente per riprendere un percorso realmente democratico.



Dovremo scendere in piazza, mobilitarci, perché l’uomo delle escort e la sua corte ci liberino del loro ridicolo. Ma dobbiamo nello stesso tempo sin d’ora preparare l’alternativa a chi vuole cacciarlo e pensa di farci pagare tutti i conti del suo disastro. Abbiamo due avversari. L’attuale governo e il governo unico delle banche e della finanza europee e mondiali, che stanno distruggendo con le loro ricette liberiste lo stato sociale e i diritti in tutta Europa. Il primo avversario è oramai in crisi, il secondo invece aumenta prepotenza e arroganza, nonostante sia altrettanto responsabile dei nostri guai.



Nel nome della cacciata di Berlusconi si chiedono ancora tagli alle pensioni, privatizzazioni, liberalizzazioni, ulteriori flessibilità nel mercato del lavoro. E’ un terribile accanimento terapeutico contro un corpo sociale massacrato da anni di flessibilità, bassi salari, distruzione dei diritti sociali e dei beni comuni. Eppure pare l’unica strada. Anche la Cgil cede ad essa firmando, senza neppure la consultazione dei lavoratori, l’accordo del 28 giugno. Accordo da cui ha preso spunto quell’articolo 8 della manovra che cancella contratti e Statuto dei lavoratori.



Pare che Berlusconi debba essere cacciato perché non è stato sufficientemente di destra e antisociale. A tutto questo dobbiamo porre rimedio con le sole armi a nostra disposizione: la costruzione di un altro punto di vista, di un’altra via per uscire dalla crisi e la mobilitazione per percorrerla. Oggi il debito non può essere pagato. La Grecia è arrivata ai sacrifici umani pur di far contenti gli strozzini della Banca Europea (che poi sono le banche francesi e tedesche) e del Fondo Monetario Internazionale. Taglia, taglia e non basta mai perché il debito cresce. Più tagli, più lo alimenti.



L’Italia è sulla stessa via. Gli interessi sul debito sono pari a 80 miliardi di euro all’anno, le attuali catastrofiche manovre ne finanziano forse due terzi. Quindi anche noi continuiamo a tagliare mentre il debito cresce. Non si può più andare avanti per questa via e tutte e tutti coloro che anche nel centrosinistra si piegano ad essa, preparano, dopo la catastrofe di Berlusconi, un altro disastro. Bisogna fermare la schiavitù del debito e rompere radicalmente con la politica economica liberista. La lotta all’evasione fiscale, la tassa patrimoniale, devono servire a finanziare la ripresa dei salari, dei diritti, della crescita fondata sui beni comuni e non finanziare gli interessi delle banche.



Se si facesse solo questo, anche una patrimoniale severa sarebbe solo una partita di giro, che tornerebbe al mondo dei ricchi attraverso la speculazione finanziaria. Bisogna rompere la macchina infernale del debito e delle politiche liberiste che l’alimentano e per questo occorre una svolta radicale. La politica italiana di oggi non è in grado di farlo. Pensa di sostituire Berlusconi con qualche banchiere più affidabile ed estraneo al mondo della prostituzione di lusso. Ma così la crisi sociale si aggrava. E i drammatici segnali di catastrofe civile che vediamo oggi a Lampedusa potrebbero estendersi ben oltre quell’isola.



Bisogna ricostruire una politica democratica basata sull’uguaglianza sociale e pertanto fondata sulla distruzione delle politiche economiche liberiste. Altro che le filosofie bocconiane ben strapazzate ieri da Dino Greco su queste pagine (Liberazione, ndr). Per questo in 1.500 abbiamo firmato un appello per trovarci a Roma il 1° ottobre, per lanciare anche in Italia, così come sta avvenendo in tutta Europa, un movimento contro la schiavitù del debito, per far pagare davvero la crisi ai ricchi e soprattutto per non pagarla più noi. La piccola Islanda ci ha insegnato la via da percorrere.



Bisogna partire da qui, bisogna partire da una piattaforma alternativa a quella di chi ha sfiduciato Berlusconi in nome degli interessi del grande capitale. Bisogna che la successiva manifestazione del 15 ottobre esprima una profonda sintonia con l’appello degli “indignados” spagnoli, che non chiedono semplicemente un cambio di governo (da loro le politiche dei tagli li amministra il governo socialista), ma vogliono ripristinare la democrazia distrutta da trent’anni di politica economica liberista. L’alternativa a Berlusconi e al liberismo si comincia a costruire sin d’ora, mentre si lotta per cacciarlo, solo così non finiremo dalla padella nella brace. Non siamo tutti nella stessa barca.



Giorgio Cremaschi - da “Liberazione“





La goccia che ha fatto spazientire il Cardinal Bagnasco.

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di Ugo Magri, da La Stampa, 27 settembre 2011



C' è sempre una goccia che fa tracimare il vaso, e nel giro berlusconiano credono di sapere precisamente quando lo sdegno del cardinal Bagnasco ha rotto gli ultimi argini. Pare sia stato una decina di giorni fa, dopo che il «Fatto quotidiano» se ne uscì raccontando il «porno-sacrilegio» (neologismo di Paolo Flores d'Arcais) commesso durante una festa di Arcore: spogliarello della Minetti vestita da suora, parodia a luci rosse del film «Sister Act», e benedizione goliardica di Silvio, col crocifisso di legno annegato poi tra i seni della consigliera regionale...



Così perlomeno racconta una testimone, o sedicente tale, nel processo su Ruby che si aprirà il 3 ottobre a Milano, e tante altre ne sentiremo sulla falsariga o peggio. Cosicché nessuno si è mai dato pena di smentire il «Fatto». Narrano a Palazzo Grazioli di una telefonata non a Berlusconi personalmente ma a Letta, nella quale Bagnasco avrebbe manifestato tutto il suo sdegno.



Ieri la «mazzata pazzesca» del presidente Cei, come la definiscono nel Pdl. Dove se la sentivano piombare addosso e, se si dà ascolto a personaggi molto influenti della cerchia berlusconiana, avevano fatto di tutto per scongiurarla, o comunque per evitare che prendesse le sembianze di una condanna all'Inferno.



Il Cavaliere come al solito ci ha messo del suo, rifiutando qualunque gesto di pentimento, perdendo perfino l'occasione di emendarsi che Ferrara gli aveva servito sul piatto d'argento con la famosa lettera al «Foglio»... «Non ho nulla da rimproverarmi»,è l'auto-difesa cocciuta berlusconiana. Anziché cospargersi il capo di cenere, Silvio sostiene che in fondo «qualunque italiano, con le mie possibilità economiche, in casa sua si comporterebbe allo stesso modo». Il ministro Rotondi coglie con vena ironica il paradosso quando definisce Berlusconi «santo puttaniere» che comunque, aggiunge, «passerà alla storia da grande statista».



I cattolici del Pdl si stracciano le vesti. Telefonate sul filo della disperazione al segretario Alfano. Sfoghi del tipo «la nostra sopportazione ha un limite», «scherza coi fanti ma lascia stare i santi», «verremo mangiati vivi da Casini», il quale negli ultimi sondaggi riservati è l'unico che guadagna voti. E ancora: «Dovrebbe chiedere scusa all'Italia come Strauss-Kahn, anzi dovrebbe annunciare il passo indietro come Zapatero». Bisogna vedere poi in concreto chi avrà il coraggio di dirglielo. Come nel congresso dei topi, tutti sono d'accordo che al gatto andrebbe messo un campanello al collo, salvo che nessuno glielo va a legare...



(27 settembre 2011)







Di seguito l'articolo apparso sul "Fatto quotidiano".
di Paolo Flores d’Arcais, da il Fatto quotidiano, 20 settembre 2011



Davvero enigmatico il prolungato silenzio di monsignor Rino Fisichella, da tempo in odore di porpora cardinalizia, dati i suoi trascorsi di cappellano di Montecitorio e dunque direttore spirituale e confessore di tanti “eccellenti”. Sono passati ormai 4 giorni dalla clamorosa intervista a il Fatto quotidiano in cui una partecipante ai festini/mercimonio di Berlusconi ha raccontato il porno-sacrilegio che ha visto la consigliera regionale Nicole Minetti (eletta nel listino bloccato personale di Formigoni, guru storico di Comunione e Liberazione) vestita da monaca esibirsi in uno spogliarello sexy al palo della lap dance, molto efficace, sembra (“un bellissimo spettacolo, davvero”), e – una volta che la consigliera di Formigoni è completamente nuda – concluso dal premier che smaneggia un crocifisso piazzandoglielo prima tra le tette e poi tra le cosce mentre biascica una personalissima variante della benedizione canonica (“ha detto ‘Dio santo ti benedica’; poi le ha appoggiato il crocifisso sulla testa, tra le gambe e sui seni”).



Ci aspettavamo che monsignor Fisichella intervenisse prontamente, come già in passato a proposito di un exploit del premier bestemmiatore, per invitare i fedeli troppo facili a scandalizzarsi (facendo il gioco dei comunisti, ça va sans dire) a contestualizzare il comportamento dell’ex compagno di merende di Gheddafi, relativizzandolo ad esuberanza ludica. Invece nulla. Evidentemente quel comportamento non esige neppure una cattolica contestualizzazione: va bene così. Del resto nessun altro giornale l’ha ripreso, e nessuna delle tante trasmissioni di approfondimento che, in assenza di Annozero, confermano così di essere civilmente e giornalistica-mente superflue (civismo e giornalismo dovrebbero fare una cosa sola, secondo “leggende” come Joseph Pulitzer, e ancor prima come il grande storico dell’Ottocento Jules Michelet).



Evidentemente, tanto la Chiesa gerarchica quanto il giornalismo embedded considerano che l’episodio sia irrilevante sul piano pubblico. Sia chiaro, noi siamo tra i pochissimi a credere davvero che la vita sessuale e privata di ciascuno vada rigorosamente rispettata (gli “attenzionamenti” di Pio Pompa hanno avuto sanzioni? Anche solo morali? I nostri “garantisti” un tanto al chilo farebbero meglio a tacere), e che ogni incursione in esse vada severamente repressa. Con le eccezioni e i limiti che ciascuna persona pubblica stabilisce ella stessa.



Nei giorni scorsi, dopo il tragico esito di un gioco sadomasochista in un garage di Roma, uno dei guru in fatto di “bondage” ha raccontato (cronaca di Roma di Repubblica) come gli adepti siano tantissimi, di ogni ceto sociale, e nella “comunità” fosse presente un notissimo politico da poco promosso ai vertici di un importante partito. Giustamente nessuno ha approfondito, e anzi quella stessa dichiarazione, forse non sufficientemente criptica, era censurabile.



Ma l’onorevole che propone una legge contro l’omosessualità non può lamentarsi se un cronista svela una sua relazione gay, il ministro che tuona contro la prostituzione ha già stabilito la legittimità (anzi doverosità) di uno scoop che lo colga in meretricio sollazzo, il candidato tutto casa e chiesa e indissolubilità del matrimonio non può obiettare se una o più famiglie parallele finiscono in pasto a lettori e telespettatori. Per non parlare delle campagne contro l’aborto.



Perciò, i porno-sacrilegi con crocifisso tette e cosce cui si dedica il succube di Tarantini nella sua villa di Arcore (strappata per un tozzo di pane a un’orfana minorenne grazie alle cure dell’avvocato Previti, non dimentichiamolo) sarebbero vicenda privata, se il puttaniere-premier avesse condotto le campagne elettorali sventolando l’opera omnia del marchese de Sade come personalissimo “Mein Kampf”. Ma il Berlusconi porno-sacrilego è lo stesso che come capo del governo ha sostenuto con grande dovizia di mezzi pubblici un contenzioso di fronte ai tribunali europei, il cui oggetto era l’irrinunciabilità del crocifisso in tutte le aule scolastiche dello Stivale, perché simbolo altissimo di civiltà, sacralità, identità e chi più ne ha più ne metta.



Perciò l'uso che Berlusconi fa del crocifisso, il suo teatrino di “messe rosa”, di propiziazione e supporto a una virilità idraulico-artificiale evidentemente indigente, è questione di rilevanza pubblica. Il silenzio dei media in proposito si chiama censura e viltà , fino all’omertà. Quello della Chiesa gerarchica rientra invece piuttosto tra gli effetti collaterali di una vocazione simoniaca che con Ruini, Bertone e Bagnasco è di nuovo prepotentemente riaffiorata. Se Bertone cita domenica un richiamo di Benedetto XVI ai laici (del settembre 2008), secondo cui devono essere “testimoni di coerenza tra i principi, la vita spirituale che praticano, e i comportamenti” e fa il pesce in barile per quanto riguarda nomi e cognomi, rifiutando anche la più obliqua, “gesuitica” o sibillina allusione al puttaniere di Arcore, è perché non c’è sacrilegio ne spudorata infamia morale che prevalga per il Vaticano rispetto al sontuoso piatto della bilancia dove pesano l’8 per mille, le esenzioni Ici, le anticostituzionali munificenze alla scuola privata, il bacio della pantofola allo Ior, la tortura di Stato per i moribondi, e le altre infinite delizie mondane e spirituali che la Cei ha ottenuto in questi anni dal regime. Una volta di più, tra Dio e Mammona la Chiesa cattolica gerarchica sceglie inequivocabilmente Mammona.



(21 settembre 2011)

Gli stipendi dei consiglieri regionali lucani. Modificare la L.R. n.38 del 2002,


24/09/2011 MATERA - Modificare la legge regionale del 29 ottobre 2002 n. 38 su indennità di carica, di funzione, di rimborso spese, missione, fine mandato e assegno vitalizio per i consiglieri regionali.

E’ l’obiettivo della proposta di legge “Zero privilegi” presentata dal Movimento 5 stelle e illustrata ieri a Matera da Antonio Materdomini e Vito Petrocelli alla presenza di esponenti di Lauria, Policoro e della Lista dei cittadini di Pisticci.

Dal massimo di 11.799.47 euro del presidente della regione Vito De Filippo fino ai 9.153 euro di uno dei tanti consiglieri regionali, i privilegi sono equamente suddivisi fra maggioranza e opposizione e gravano sui contribuenti per un totale di 3,5 milioni di euro all’anno (guarda il grafico).

«Vogliamo togliere i soldi alla politica – aggiunge Antonio Materdomini – per evitare che la disponibilità economica generi anche clientelismo». Tra qualche settimana i gazebo del Movimento, che dovranno raccogliere almeno 2000 firme (ma se ne attendono di più) saranno allestiti per sei mesi a Matera e nelle principali cittadine lucane.

Si tenterà, in questo modo, di realizzare un progetto già avviato a livello nazionale. In Lombardia la raccolta firme si concluderà ad ottobre, ma nel resto del Paese l’iniziativa finora non si è ancora trasformata in legge. In Emilia Romagna, poi, la proposta è stata già bocciata anche se i costi dei consiglieri sono di gran lunga inferiori a quelli dei colleghi lucani. Il paradosso della Basilicata è presto spiegato: «I consiglieri regionali lucani – dice Vito Petrocelli - hanno diritto allo stesso compenso sia che partecipino alle 18 sedute mensili previste o che siano presenti ad una sola». La modifica prevede la decurtazione del 50% dei compensi dei consiglieri, l’eliminazione del vitalizio, dell’indennità di fine mandato, dei rimborsi forfettari, ovvero della diaria, sostituendoli con rimborsi che coprano le spese effettivamente e realmente sostenute. «Crediamo che in un momento di crisi come questo, il taglio sia la soluzione più adatta – hanno aggiunto Materdomini e Petrocelli». L’unico caso virtuoso si registra in Piemonte dove i consiglieri regionali del Movimento 5 stelle si sono autoridotti lo stipendio da 10mila a 2500 euro netti al mese». Silenzio assoluto, finora, dagli esponenti dei partiti. Il passo dalla teoria alla realtà, nelle buone pratiche d’altronde è sempre complicato.

L’insofferenza e il malcontento degli italiani, non ha confini, spiegano gli attivisti di 5 Stelle che spiegano di contare su una rete significativa. «In Basilicata il nostro risultato è stato eclatante. Nel corso delle precedenti elezioni a Matera, il candidato sindaco Mimmo Savino ha ottenuto il 5% delle preferenze». Difficile che a sostenere la battaglia possa arrivare anche il leader Beppe Grillo, anche se l’ipotesi non è completamente esclusa. «Se la risposta sarà importante, potremmo invitarlo in Basilicata per una iniziativa di respiro nazionale».
Fonte :" il quotidiano della Basilicata"


L'agenda del governo, tra veti e schermaglie tattiche....


di Marco Rogari, dal "Sole 24 Ore"

La definizione del decreto per lo sviluppo, la tempistica delle misure per la crescita, l'eventuale accelerazione su nuovi interventi sulle pensioni, le stesura della legge di stabilità e la composizione del piano di dismissioni di immobili pubblici e municipalizzate. È a dir poco fitta l'agenda economica su il governo è chiamato a decidere rapidamente.




Senza considerare il pressing degli organismi internazionali, della Ue, delle parti sociali, Confindustria in testa, e anche del capo dello Stato per addottare interventi strutturali immediati ed efficaci per evitare al Paese di correre un "rischio-Grecia".



Scelte da compiere in tempi brevissimi e senza sbagliare, dunque. Anche perché l'Italia resta nel mirino dei mercati, deve fare i conti con un spread tra titoli di Stati e bund ormai costantemente vicino a quota 400 e con una crescita che, secondo la recente nota di aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza) del Governo, è destinata a rimanere a uno stato poco più che embrionale anche nei prossimi mesi.



Al momento, però, non si capisce ancora se a pronunciare la parola decisiva sulle misure da mettere in moto sarà il super ministero dell'Economia, del quale una parte della maggioranza chiede uno spacchettamento "seduta stante" peraltro realizzabile solo per via legislativa, o una "cabina di regia" a palazzo Chigi, tutta da ideare ed approntare, evocata da altri ambienti della stessa maggioranza.



L'ennesima partita politica all'insegna dei veti e delle schermaglie tattiche che, alla fine (come in altre occasioni), dovrebbe concludersi con il tentativo di imporre (soprattutto al ministro Giulio Tremonti) una maggiore collegialità sulle decisioni economiche. Ma intanto le lancette continuano a scorrere inesorabili in attesa di decisioni che restano, allo stato attuale, sulla carta. Eppure da Bruxelles come da Francoforte, passando anche per via dell'Astronomia, a più riprese è stato ricordato all'Esecutivo che il tempo delle attese è ormai scaduto.



La Chiesa guarda oltre Berlusconi.

di Stefano Folli , dal " Sole 24 Ore"


Se traduciamo in termini politici il severo giudizio morale espresso ieri dal cardinale Bagnasco a nome dei vescovi italiani, la conclusione può essere solo una. Silvio Berlusconi si è talmente indebolito nelle ultime settimane da indurre la Chiesa ad abbandonare la sua consueta prudenza.



Certo, Bagnasco non ha mai nominato il presidente del Consiglio, ma ieri sera non c'era nessuno, proprio nessuno che avesse dubbi sul significato e sull'obiettivo dell'iniziativa della Cei. Riconoscerlo non vuol dire «strumentalizzare Bagnasco», come sostengono gli esponenti del Pdl che hanno il dovere di difendere il leader, ma più semplicemente prendere atto della realtà.



Berlusconi è stato condannato con durezza perché i suoi comportamenti morali imbarazzano oltre misura il mondo cattolico, e anche perché il quadro politico di cui il premier era ed è ancora il garante si sta logorando. A lungo la Chiesa si è ispirata alla "realpolitik" nei confronti di Berlusconi: basti pensare alla linea seguita dal segretario di Stato, il cardinale Bertone. Ma dietro questa posizione ufficiale, che pure negli anni non è stata priva di vantaggi, c'era il disagio di una vasta collettività. E la Chiesa, nel suo complesso, ha la memoria lunga: prima o poi salda i suoi conti. Ad esempio, è difficile dimenticare che l'allora direttore di "Avvenire", Dino Boffo, fu oggetto di una campagna distruttiva proprio perché aveva dato spazio alle voci critiche della base cattolica circa le abitudini e i costumi del premier.



È stato anche detto: non c'è nelle parole di Bagnasco una vera e propria «scomunica politica» di Berlusconi. Sì e no. È vero che il presidente della Cei ha posto interrogativi che riguardano l'uso e l'abuso delle intercettazioni, ma ha anche precisato che questo non deve far velo all'immoralità rivelata dalle indagini. Ed è anche vero che il richiamo alla «questione morale» coinvolge, nelle sue parole, più o meno tutte le parti politiche. Però è evidente che il «decoro delle istituzioni» è stato sfregiato da chi avrebbe dovuto farsene paladino, quindi da chi riveste responsabilità istituzionali.



Del resto, c'è un passaggio che sembra adombrare un sommesso invito alle dimissioni rivolto al premier: laddove si parla di «rapporti cristallizzati e insolubili, tanto da inibire seriamente il bene generale». In questi casi, afferma Bagnasco, «ognuno è chiamato a comportamenti responsabili e nobili; la storia ne darà atto».



Si può interpretare così: la storia sarà riconoscente nei confronti di chi si ritira dalla scena, in modo «responsabile e nobile», così da rendere un servigio al «bene generale», cioè al Paese. Il linguaggio è quello ecclesiastico, ma molto meno filtrato di altre volte. Tanto più che la Cei guarda a future forme di aggregazione politica che possano interessare i cattolici. In tale contesto la formale scomunica di Berlusconi non era necessaria. È tutto il discorso del cardinale a testimoniare del grave indebolimento a cui è giunto nel corso delle ultime settimane il presidente del Consiglio. E di sicuro da stamane egli non sarà più forte.



È come se la Chiesa considerasse chiusa o in via di superamento una lunga fase politica vissuta nel segno berlusconiano. Come se guardasse con scetticismo e distacco ai tentativi della maggioranza di mostrarsi vitale nonostante tutto. Senza dubbio resta vigile l'attenzione per i provvedimenti graditi, ad esempio la legge cosiddetta sul «fine vita». Ma si guarda oltre: al destino di un centrodestra o di un'area moderata che dovrà sopravvivere a Berlusconi e riorganizzarsi per i nuovi tempi. Quando si farà la storia del lungo tramonto del berlusconismo, l'intervento di Bagnasco sarà ricordato come un momento rilevante, forse persino cruciale.