martedì 22 febbraio 2011

Le anime morte di “Futuro e Libertà”

di Michele Martelli
Oramai non fa più notizia. Quasi le foglie di un triste autunno. Ogni giorno, come in una funerea processione di anime morte, un parlamentare futurista si ritrasforma nella pallida ombra del suo passato, lascia Fli e, pecora tra le pecore, ritorna nella maleodorante stalla del Pdl. O si accoda al gruppo misto de(gl)i «(Ir)Responsabili», rappresentato dall’italiota exdipietrista Scilipoti, in attesa di passare all’incasso dal padrone.

Ultimo, in ordine di tempo, l’attore travestito da deputato Luca Barbareschi: «Le mie scelte dipendono dalle mie idee», si è scusato. Ma quali idee? C’era alla festa di Mirabello, il 6 agosto 2010, dove nacque il movimento “Futuro e libertà per l’Italia”. C’era alla Convention di Bastia Umbra, il 6 novembre 2010, dove lesse commosso fino alle lacrime il “Manifesto per l’Italia” di Fli, non senza aver prima detto: «Ho un incarico, il più grande che mi è stato affidato nella mia vita di spettacolo e politico: leggere il “Manifesto per l’Italia”». Era politica o spettacolo? O politica-spettacolo?

Subito dopo, Fini, salito sul palco tra le ovazioni, lo abbracciò e accarezzò affettuosamente. Ma il 1 febbraio 2011, due settimane prima del Congresso di fondazione di Fli, l’attore-politico si dichiara in crisi: «Io nel Pdl o nei “Responsabili”? Mai. Resto in Fli. Non so in Parlamento». Oggi, venti giorni dopo, è in Parlamento, non in Fli, ma nel gruppo “(Ir)Responsabili”, in dolce compagnia di Scilipoti. Che cos’era, una fiction? Forse Barbareschi recitava il copione del suo “Trasformista” televisivo? Ma commenti simili, mutatis mutandis, si possono fare facilmente per gli altri transfughi futuristi già piddiellisti e ora di nuovo piddiellisti già ex futuristi.

Due le considerazioni d’obbligo.

A) Lo squallore della maggioranza berlusc(l)onata. Il Signor “compro tutto” della satira di Benigni è capace davvero di comprare tutto. Ma solo tutto ciò che si mette in vendita. E che è privo di dignità. Innanzitutto la sua maggioranza, da lui stesso nominata, quindi costituita da suoi dipendenti, perciò pronta a varare qualsiasi immonda legge ad personam. E poi la Chiesa gerarchica, intimorita dal “metodo Boffo”, e nel contempo ammansita dai soldi pubblici regalati alle sue scuole e proprietà immobiliari, nonché da decreti legislativi tipo il ddl Calabrò (-Bagnasco) contro il biotestamento ora in discussione alla Camera. E poi le escortine dell’Olgettina. E poi, e poi, e poi …: un elenco senza fine!

B) La qualità politica di Fli. La “nuova destra laica ed europea” di Fini, è ora di dirlo, è nata male. Ed è cresciuta peggio. Non è coerentemente e totalmente né nuova, né destra, né laica, né europea. Non è “destra”, perché, altrimenti, non sarebbe entrata nel Terzo polo con i centristi dell’Udc, riconoscendo di fatto al Pdl il ruolo di destra. Non è coerentemente “laica”, perché, se lo fosse, non si potrebbe alleare col filoepiscopale Casini pupillo di Ruini. Non è davvero “europea”: altrimenti, avrebbe approvato la controriforma Gelmini con gli studenti in piazza? Tutt’altro, per es., ha fatto la Merkel su scuola, ricerca e università. E non è per niente “nuova”, perché fatta di transfughi da Berlusconi, quasi tutti lacché di Berlusconi per un quindicennio.

L’ambiguità strutturale di Fli è già tutta nello scontro di Fini con Berlusconi nella direzione del Pdl il 22 aprile 2010. ll suo dito alzato era il simbolo della sua audacia e ribellione, uno scatto di reni, la dignità dell’homo erectus. Le sue parole: «Che fai, mi cacci?» erano però il segno della sua sottomissione, della stessa concezione padronale, anzi patrimoniale del partito imposta dal plutocrate di Arcore. Solo un padrone può cacciare un servo. Con quelle parole sommesse Fini riconosceva in B. il padrone del partito. Altro che cofondatore!

Da ciò l’incredibile attendismo delle sue scelte politiche, l’incapacità di cogliere il kairos, il momento di grazia. «Niente ribaltoni ma un patto per arrivare alla fine della legislatura», così Fini a Mirabello. Emerge e domina il frustrante complesso di Edipo, il parricidio non si consuma. A novembre ha i numeri per far cadere il governo del malaffare. Ma rinvia la mozione di sfiducia al 14 dicembre 2010, dando modo e tempo al piazzista di Arcore di acquisire tre parlamentari compravenduti. A riprova che col Caimano non si patteggia, ma si combatte, si lotta fino in fondo. Per vincere o perdere. Non c’è via di mezzo.

Ma Fini è sempre presidente della Camera, la terza carica dello Stato. Se ha capito la lezione, può fare ancora molto per la salvezza dell’Italia, di «un’Italia – come si legge nel “Manifesto” di Bastia Umbra – intransigente contro la corruzione e contro tutte le mafie, che promuova la legalità, l’etica pubblica e il senso civico». Lo farà, per quel che la sua carica gli consente, al fine di sventare l’assedio caimani(a)co alla Costituzione repubblicana? Sarà una valida sponda politico-istituzionale alla mobilitazione della società civile e all’opposizione parlamentare, finalmente non più letargica, fragile e divisa?

Fonte : micromega

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