In marzo, insieme alle rondini e alla primavera, arrivano le cambiali europee e l'ultimo telegramma da Bruxelles. Francia e Germania, che posseggono 700 miliardi di euro del nostro debito, per continuare a sostenere i titoli pubblici italiani chiedono un piano di rientro nei parametri di Maastricht per portare il rapporto tra il debito pubblico lordo e il Pil al 60 %. Il rapporto attuale è quasi il doppio, circa il 120%. Il Pil è al palo. Non cresciamo. In 10 anni l'unico Paese a far peggio dell'Italia nel mondo è stato Haiti. Il debito va al galoppo, a botte di 100 miliardi di euro in più all'anno. Se il Pil non cresce e il debito pubblico è arrivato a 1.870 miliardi, c'è un solo modo per rientrare: ridurre il debito di circa 900 miliardi. Il dilemma è quindi: "Debito o default?". L'Europa non può permettersi un nostro default, rischierebbe di crollare come un castello di carte. I titoli italiani in mano alla Francia equivalgono al 20% del Pil francese e con un default diventerebbero carta straccia. La cosiddetta "ristrutturazione" del debito di cui si discute non è altro che il quasi azzeramento del valore del titolo. Un po' come quando viene "ristrutturata" un'azienda per mandare tutti a casa.
Se il default è un frutto proibito, resta solo la riduzione del debito. Supponiamo di fare un piano decennale con una rata di tagli di 90 miliardi annui. Una manovra da far tremare la triade Dracula, Attila e Amato. Supponiamo che la manovra sia inevitabile. L'unica domanda che ci resta allora è: "Come si fa?". Nel 2010 Tremorti tagliò la spesa di "soli" 25 miliardi, scatenando proteste sociali. Un filotto decennale a botte di 90 miliardi (ma anche di 40) non se lo può permettere nessun governo, ma questa volta è inevitabile. Tremorti equipara il debito pubblico al risparmio privato, da quando lo ha detto i capitali hanno cominciato ad emigrare. Topo Gigio Veltroni (9.000 euro di pensione) ha lanciato la patrimoniale chiedendo un sacrificio a chi le tasse le ha sempre pagate fino all'ultimo euro. Dal suo grido di dolore (dei risparmiatori) al Lingotto debenedettiano altri capitali hanno varcato velocemente la frontiera.
Sembra di essere di fronte a un problema impossibile, senza soluzioni. Invece, come direbbe il dottor Spock di Star Trek: "C'è sempre un'alternativa". Ogni anno l'evasione ammonta a più di 100 miliardi di euro, l'inefficienza amministrativa (inclusi raddoppi di competenze, enti inutlii, stipendi faraonici) vale almeno altri 50 miliardi, la corruzione, che moltiplica il costo dei lavori pubblici, vale circa 60 miliardi. Un calcolo prudente ci consente di disporre di un attivo tra maggiori entrate e minori spese di 150 miliardi all'anno. Ne avanzano 60 all'anno (da investire in innovazione e ricerca), dedotti i 90 necessari per non naufragare. E' un obiettivo possibile, ma solo con un completo ricambio della classe politica. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.
Dal blog di Beppe Grillo
Se il default è un frutto proibito, resta solo la riduzione del debito. Supponiamo di fare un piano decennale con una rata di tagli di 90 miliardi annui. Una manovra da far tremare la triade Dracula, Attila e Amato. Supponiamo che la manovra sia inevitabile. L'unica domanda che ci resta allora è: "Come si fa?". Nel 2010 Tremorti tagliò la spesa di "soli" 25 miliardi, scatenando proteste sociali. Un filotto decennale a botte di 90 miliardi (ma anche di 40) non se lo può permettere nessun governo, ma questa volta è inevitabile. Tremorti equipara il debito pubblico al risparmio privato, da quando lo ha detto i capitali hanno cominciato ad emigrare. Topo Gigio Veltroni (9.000 euro di pensione) ha lanciato la patrimoniale chiedendo un sacrificio a chi le tasse le ha sempre pagate fino all'ultimo euro. Dal suo grido di dolore (dei risparmiatori) al Lingotto debenedettiano altri capitali hanno varcato velocemente la frontiera.
Sembra di essere di fronte a un problema impossibile, senza soluzioni. Invece, come direbbe il dottor Spock di Star Trek: "C'è sempre un'alternativa". Ogni anno l'evasione ammonta a più di 100 miliardi di euro, l'inefficienza amministrativa (inclusi raddoppi di competenze, enti inutlii, stipendi faraonici) vale almeno altri 50 miliardi, la corruzione, che moltiplica il costo dei lavori pubblici, vale circa 60 miliardi. Un calcolo prudente ci consente di disporre di un attivo tra maggiori entrate e minori spese di 150 miliardi all'anno. Ne avanzano 60 all'anno (da investire in innovazione e ricerca), dedotti i 90 necessari per non naufragare. E' un obiettivo possibile, ma solo con un completo ricambio della classe politica. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.
Dal blog di Beppe Grillo
Come ripagheremo i nostri debiti? Nella storia economica moderna conosciamo essenzialmente quattro modi. Il primo è legato all’innovazione tecnologica e alla crescita. Nuove tecnologie consentono tassi di crescita tali da ridurre rapidamente il rapporto debito/Pil. L’Occidente ha conosciuto una dinamica simile dopo la Seconda guerra mondiale negli Usa, negli anni 70 in Giappone, alla fine degli anni 90 con le telecomunicazioni e internet. Quale rivoluzione per il prossimo decennio? L’unico all’orizzonte è quello “verde”. Ma l’Italia in questo senso non è certo all’avanguardia. La seconda possibile uscita dal debito è l’inflazione. Salgono i prezzi e con questi il Pil nominale. È successo in molti Paesi negli anni 70. La terza via è quella che i riformisti chiamano “riforme della spesa pubblica” e che a sinistra si traduce in “tagli alla spesa sociale”. Privatizzato il privatizzabile, i governi riducono il loro bilancio tagliando i servizi sociali. Ricordate la Thatcher negli anni 80? Esistono in verità anche tagli “socialmente sostenibili”, come quelli alla spesa militare. La quarta exit-strategy dal debito è la più drastica: il default. Il governo dichiara di non poter ripagare, del tutto o in parte, le somme dovute. È successo a molti Paesi, di recente (Russia, Messico e Argentina negli ultimi dieci anni circa). Qual è la strada scelta dall’Italia? La triste realtà è che non è chiaro neanche ai policy makers.
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