Mi presento, io sono il “niente”, sono quel “niente” che non fa notizia, sono quel “niente” che non esiste, sono quel “niente” che ha il privilegio di non avere nessun diritto umano, sono appunto “niente”. Ho ventisette anni ma ne dimostro molti di più, troppi. Ricordo mio padre, era un pescatore di Settat, la città del Marocco in cui sono nato. Ricordo i suoi insegnamenti, i suoi sorrisi, il suo sudore, la sua dignità. Mi chiamo Nouredinne Adnane, ho 27 anni, sono sposato e ho una figlia bellissima, sono un immigrato e faccio l’ambulante. Trascino con fatica un carrettino pieno di mercanzie, provo a mettere insieme qualche moneta per poter permettere a mia moglie e mia figlia una vita dignitosa, anche io sudo come mio padre, anche io ho una dignità, non faccio il pescatore ma faccio l’ambulante. Vivo a Palermo, una città difficile, una città dove i mammasantissima sono ovunque, dove la criminalità mostra il suo lato più brutale, la normalità. Qui la violenza è quasi un rituale, una normalità di cui non si può fare a meno. Io sono “niente”, anche per la criminalità, ed è forse per questo che mi lasciano vivere a modo mio. Spesso mi chiamano negro di merda, soprattutto quando entro in qualche bar o ufficio postale per mandare i soldi alla mia bambina. Dovreste vederla la mia bambina, vivo per lei, per i suoi occhi pieni di luce e di speranza, per quei sorrisi che dedica al papà ogni volta che può, ho una sua foto ed è la cosa più preziosa che porto sempre con me. Mia moglie è una donna speciale, è sempre nei miei pensieri felici, quando sono stanco che non riesco a fare un passo, mi basta pensare a loro ed ecco che trovo un po’ di forza per andare avanti. Per mia moglie e mia figlia io non sono “niente”, sono una speranza, un amore profondo, un’ancora, un riferimento. Vivo per loro e loro vivono per me. Mi chiamo Nouredinne Adnane, ho 27 anni, sono un immigrato regolare, ho il permesso di soggiorno e la licenza per il mio carrettino, ho i documenti in regola, sono un “niente” che rispetta la legge e forse è per questo che mi chiamano negro di merda, mi chiamano così perché io rispetto le persone e rispetto la legge. Qui a Palermo è difficile parlare di rispetto, hanno un concetto strano di rispetto, rispettano gli assassini, salutano i narcotrafficanti, mio padre non avrebbe mai rispettato un assassino o uno spacciatore, mio padre mi ha insegnato che la dignità, il rispetto della legge e delle persone, devono essere una luce guida che non può mai essere messa in discussione, un giorno mi disse che glielo bisbigliò una sirena mentre era in mare, ero bambino e ho creduto a mio padre, ora che ho 27 anni credo proprio che quella sirena avesse ragione. Un Venerdì come tanti, una pattuglia di Vigili Urbani di Palermo mi ha fermato per un controllo, controllano me che spingo un carrettino e non controllano mai le macchine dei mammasantissima, forse li rispettano, io sono solo un negro di merda, un niente, è giusto che mi controllino. Mi hanno sequestrato il carrettino con le chincaglierie sopra. Gli dico fra le lacrime che quel carrettino è l’unica cosa che ho, l’unico sostentamento che mi permette di aiutare mia figlia e mia moglie, imploro piangendo di lasciarmi andare perché quel carrettino è la mia unica vita. In quel momento non ho riflettuto sul mio essere negro di merda, un niente, la vita di un niente non può valere qualcosa. I Vigili Urbani con solerzia, solennità e rigore, hanno fatto in modo che la legge, nella città di Palermo, fosse rispettata senza se e senza ma. Mi chiamo Nouredinne Adname, ho 27 anni e qualche giorno fa mi sono cosparso di benzina e mi sono dato fuoco. Non ho sopportato che la mia dignità venisse sequestrata e insieme al mio carrettino, che venisse sequestrata la vita di mia moglie e di mia figlia. Dovreste vedere gli occhi di mia figlia, i suoi sorrisi, ora che sono in ospedale in bilico fra la vita e la morte, rivedo mia moglie e mia figlia. Non sento dolore, il dolore improvvisamente sta scemando, mi sento meglio, mi sembra di sentire la voce di mia figlia che chiama il papà, sento il calore di mia moglie che mi abbraccia, sento una voce lontana, è la voce di mio padre che sta venendomi incontro. Mio padre non è solo, vicino a lui c’è una sirena che sorride, mi rassereno perché finalmente ho scoperto che le sirene esistono davvero, mio padre aveva ragione. Mi chiamo Nouredinne Adname, avevo 27 anni quando sono stato giustiziato nella città delle ingiustizie.
Nessun commento:
Posta un commento