lunedì 28 febbraio 2011

Pd Nova Siri su ripristino strada provinciale

28/02/2011 16:43
BAS
Il gruppo consiliare del Partito democratico al Comune di Nova Siri ha fatto pervenire luna richiesta al presidente della Provincia di Matera, Franco Stella per interventi urgenti circa il “ripristino della Strada provinciale Nova Siri - Rotondella e Strada provinciale “Madonna della Sulla”.
“In prossimità della contrada Foresta – è scritto nella lettera del Pd – è accerta la presenza di un importante smottamento della sede stradale su menzionata causata dalle copiose piogge degli ultimi giorni. L’entità del danno ha ridotto la percorribilità ad una sola corsia, che da un momento all’altro potrebbe essere anch’essa interessata dal movimento franoso interrompendo del tutto il tratto di strada con le ovvie ripercussioni sul transito e sulle necessità dei Cittadini stessi”.

Bas 03
ISTITUZIONI

Parlamento superattivo
per le leggi sulla giustizia

Openpolis: 60% del tempo dedicato alle norme penali. Spariti precari e lavoro. Le intercettazioni appassionano deputati e senatori più del doppio della corruzione

di ANTONELLO CAPORALE
ROMA - Un terzo dei parlamentari lavora, gli altri sonnecchiano. Più di quattrocento dei 630 deputati giunge alla Camera soltanto per votare. Pigia il pulsante, firma la presenza, raccoglie la diaria e torna a casa, tra gli affetti. Nessuna passione, molta distrazione.

Se la politica costa fatica, di quale impegno si compone il lavoro di un deputato o di un senatore? Un gruppo di esperti (analisti politici, matematici, statistici) s'è messo a far di conto, calcolando l'indice di produttività di ciascuno, il valore delle cose fatte, i temi approfonditi e quelli accantonati. Non è una novità, ma suona adesso come conferma ufficiale: tolti gli affari penali (che occupano molto spazio anche tra i pensieri del premier) la vita parlamentare si consuma stancamente. Anche in tempi di recessione economica, con macroscopici fattori di una crisi oramai endemica, le urgenze sono rivolte al processo. Le leggi sulla giustizia godono di una attenzione sei volte maggiore di quella destinata alla disoccupazione, molto più di cinque volte se raffrontata alla tutela del patrimonio artistico, alla ricerca scientifica o anche alle forme di lotta all'evasione fiscale. Se c'è un'ora di tempo, quaranta minuti vanno di là (processo giusto, breve, abbreviato, diritti degli imputati, diritto alla prescrizione, diritto alla privacy); i restanti vengono spalmati sul resto dello scibile.

I ricercatori di Openpolis 1 non valutano gli effetti politici, ma "pesano"
esclusivamente la quantità di attenzione destinata a un tema e la coerenza tra impegni elettorali e fatti prodotti. Un indice dà valore, secondo una griglia ascendente di punteggio, alle azioni messe in campo in una determinata materia (disegni di leggi, emendamenti, mozioni, leggi poi approvate, eccetera). Capita così di pesare l'impegno legislativo per regolamentare lotterie e concorsi a premio (indice 640) e scoprire che risulta tre volte maggiore di quello destinato alla lotta al precariato (indice 217). I problemi dei precari, per lo più giovani, sono così poco stimati che hanno la peggio persino su quelli legati alla professione dell'avvocatura, in genere esercitata da persone più mature e più abbienti. Anche la corruzione, e si sapeva, appassiona poco (indice 230), le intercettazioni molto di più (indice 496).

Openpolis monitora i quasi 150 mila politici italiani attraverso contributi volontari. Ciascun utente redige l'anagrafe dell'amministratore di turno coprendo una voce - sulla scorta del modello di wikipedia - che deve però essere sempre suffragata da una fonte attendibile e chiara. "Per tenere in piedi questa baracca servono 100mila euro all'anno. La metà di quanto guadagna in un anno un solo parlamentare - dice Vittorio Alvino, presidente dell'associazione - . Sono quattro soldi eppure rischiamo di non farcela".

Conoscere per deliberare. Conoscere soprattutto i nomi di coloro che si danno da fare, quelli che invece dormono, e gli altri politici che fanno fumo più dell'arrosto promesso. Anche qui distinte classifiche aiutano a individuare la qualità della produzione legislativa dei singoli. Vince la palma d'oro di Montecitorio Antonio Borghesi (Italia dei Valori) con uno score pari a 780, seguito da Pier Paolo Baretta (Pd) e Donato Bruno (Pdl). Al Senato vince Gianpiero D'Alia (Udc), score 1099, poi Carlo Vizzini (Pdl) e Felice Casson (Pd). Del partito di Berlusconi i due parlamentari più "fannulloni". Il senatore Sebastiano Burgaretta Aparo, (con un indice di 7,2), mentre alla Camera è Niccolò Ghedini (score 11,3), il superattivo avvocato del premier, a "snobbare" più di tutti i lavori di Montecitorio. Se è vero che quotidianamente scrive, cassa e modifica norme, è adesso certo che lo fa a Palazzo Grazioli. Poi evidentemente sigilla in busta e manda al Parlamento.

Fonte : Repubblica

domenica 27 febbraio 2011

Berlusconi: "la scuola pubblica non educa". E lui?

Premetto la conclusione: la scuola pubblica educa. Ed educa meglio delle private. Dati alla mano.

E' di una settimana fa soltanto la notizia che commento nel post precedente su questo blog: la prof che fa scrivere "deficiente" a un alunno e si becca una condanna. Qualche giorno dopo la storia del sapone in bocca a due alunni e infine la preside con lo spray urticante. Alla prima ho commentato, alla seconda ho sospettato, alla terza ho avuto la prova.
Iniziava a insospettirmi la frequenza di queste notizie: a distanza di un giorno l'una dall'altra.
Sono incidenti che possono accadere in ogni ambito professionale. Anzi nella scuola si verificano in percentuali ben minori. Per cui, leggerne tre a distanza di pochi giorni…

Infine , oggi, la dichiarazione del nostro “premier esemplare”.
Il difensore della famiglia e dell'educazione (termine che in bocca a lui suona come una bestemmia contestualizzata, parafrasando il cardinale) così parla a un convegno organizzato da alcune associazioni cattoliche :
"La scuola pubblica non educa: bisogna dare a tutte le famiglie italiane la possibilità di scegliersi una scuola privata." Autocitandosi dal ’94, così ha proseguito “Nella scuola statale ci sono dei docenti che cercano di inculcare idee contrarie a quelle dei genitori”.
Ecchilà là, la verità: la nota paura del dissenso che attanaglia il premier e che i docenti praticano ogni giorno insegnando nè più e né meno che l’esercizio del libero pensiero autonomamente critico.

La camuffa questa parola, “dissenso”, nel suo solito modo, manomettendone il significato. E dunque cosa diventa? "La scuola non educa i vostri figli ai vostri valori, le scuole private sì"
Un gran regalo alle gerarchie e alla platea cattolica che lo hanno ringraziato con una standing ovation.

Chi come me lo “segue” da qualche anno, specie nel suo attacco subdolo alla scuola statale, oggi può mettere una fascia nera in segno di lutto. Il cerchio s’è chiuso.

Però non desisto: deve passare sul mio cadavere. Le sue reali intenzioni non devono passare sotto silenzio.
A lui frega poco dell'educazione dei giovani, lo abbiamo visto.

Berlusconi mira al sostegno della Chiesa e alla caterva di voti che gli assicura, non ad altro
. “Aiutando” le scuole private prende due pesci con una fava: raccoglie messi di voti tra le famiglie cattoliche, che abboccano subito appena si parla di “educazione” e smantella definitivamente la scuola statale, gettandole addosso una consistente quantità di fango da cui, indebolita, ammalata, osteggiata com’è da tutti e da troppi anni, difficilmente può difendersi da sola, non troverà al suo interno forze adeguate per controbattere.

La società civile? Splendida assente.
L’opposizione politica? Si, a volte, con infinita “educazione”. (Bersani, non basta questo attacco all'istituzione democratica più importante che abbiamo per bloccare l'attività parlamentare? Pensa che ritorno simbolico che avrebbe il PD.)
Gli studenti che protestavano? Da Natale sono tutti a casa a festeggiare le sante feste.

Io dico: non bastavano i finanziamenti alle scuole private? Gli aumenti di stipendio ai docenti di religione? Adesso ci tocca pure l'ennesimo discredito a noi docenti statali e l'enorme credito a loro, gli istituti privati.?

E' da tre anni che ci tenta e adesso ci riesce: a convincervi .
Li ho letti i commenti al post precedente: erano un inno variamente modulato alla legge del taglione, al “io si che saprei come fare”, con un sottotesto pauroso, pericolosissimo, quanto falso,  “non siete capaci”. Mi hanno ferita immensamente perché ho costatato come ovunque vince l’inno allo scontro, alla vendetta, alla "pena sanguinaria". Mezzi di cui, sia chiaro, noi docenti non ci serviamo per educare i nostri ragazzi.

Forse non basta il nostro impegno. Questo va detto.
Servono risorse umane e professionali adeguatamente preparate a replicare all’enorme, inedita, emergenza educativa dei ragazzi di oggi. 
Alla quale i genitori, come i docenti, sia delle scuole pubbliche come di quelle private, ancora non sanno porre rimedio.
Emergenza che tutti tacciono o sottovalutano, ma che apre una voragine di sgomento nel cuore di ogni genitore italiano.

Intanto oggi lo abbiamo visto, il nostro premier, fare un regalo, in cambio di messi di voti e non di messe, a quell'impero economico che sono le scuole cattoliche.

Oggi può dirlo a tutti che non serviamo, che non andiamo bene, che la scuola pubblica non funziona, perchè non educa. Ci ha tolto il terreno dasotto i piedi.
Lo dice lui che non educa: il re del bunga bunga, il patron del Cepu, il mago dell'evasione fiscale. E gli credono pure. E' surreale.
Una platea soprannominata Ipocrisia gli riserva un appaluso.
Ciascuno di loro ha il suo peccato da farsi perdonare e può sacrificarvi la libertà. Quella vera. Quella della critica, a cui solo la libera conoscenza prepara.

Prima ci ha tolto reputazione (docenti fannulloni), poi i soldi (8 miliardi, e non hanno tagliato solo i precari, cercate di mettervelo in testa, ma i fondi alle scuole: siamo in bolletta).
Adesso l'attacco più insidioso: quello di lanciare a ritmo preoccupante notizie terrorizzanti di figli terrorizzati (ancorchè maleducati in partenza).

A leggere quelle notizie, in maggioranza, ci sono mamme e papà e docenti che educano con ben altri criteri che non la banalissima, orribile e inutile legge del taglione. Persone che ritengono che civiltà, cultura, attenzione, dialogo e ascolto facciano parte del bagaglio da trasferire ai figli e agli alunni.
E ci sono quelli che , quasi quasi, i figli li tolgono dalle statali per portarli alle private. Non gioite e preoccupatevi.

Mettiamocelo in testa una volta per tutte: senza scuola statale non c' è Italia e non c'è unità. Non c'è cultura e non c'è progresso.  Senza la scuola l'Italia muore.

Mettiamocelo in testa che, pur nelle estreme difficoltà in cui operiamo, i risultati scolastici dei ragazzi delle scuole statali sono dieci punti in su nelle graduatoria europea rispetto alle scuole private. Se non ci fossero quelle scuole, le private, la scuola italiana andrebbe meglio. Questo dicono i dati.
Dieci punti in su.
Diciamo questo: a tutti, a chiunque. Noi siamo i migliori. Migliori di lui, intanto.
Mille punti in su.

Mettiamocelo in testa: libertà, senso critico e cultura nascono nella scuola statale , non altrove. Nella scuola pensata dai padri costituenti.
Aiutateci a salvarla, aiutateci a smentirli.

Se a Berlusconi andasse in porto la distruzione della scuola pubblica di tutti e per tutti, con il semplice provvedimento di dare “a tutti” possibilità e finanziamenti per andare alle private, avrebbe vinto. La sua dittatura sarebbe attuata in modo indolore e trionfale.
Con la benedizione di Santa Romana Chiesa e il consenso dei più. Gli indifferenti.

Mila Spicola
 
26 febbraio 2011
Fonte : l'unità

sabato 26 febbraio 2011

Dopo i party, bonifici e auto alle ragazze
Ma c'è chi fa il test Aids: "Non si sa mai"
Caso Ruby, nelle 782 pagine dei pm di Milano le strategie per avere soldi dal premier: "Più troie siamo, più bene ci vorrà. Speriamo di tornare con le tasche piene". Versamenti per 400mila euro a 12 di loro. Intanto Berlusconi difende la famiglia tradizionale e torna all'attacco sulle intercettazioni

Nuove intercettazioni e ricostruzioni precise delle transazioni di denaro dai conti di Berlusconi alle ragazze dei party di Arcore (leggi l'articolo). E' quanto emerge dalle 782 pagine della richiesta di giudizio immediato per il premier, avallate dal Gip di Milano Cristina Di Censo. Le novità partono dalle conversazioni tra le ragazze (oltre che per le palle bisogna prenderlo per il coso), ma arrivano ai bonifici del ragionier Spinelli: un conto personale di Berlusconi al Monte dei Paschi da cui risultano bonifici per 406mila a 12 ragazze, tra le quali una sola era già emersa nell’indagine. Dall’esame risultano inoltre tre assegni da 100mila euro passati dai conti del premier a Lele Mora, il quale dopo ogni versamento ha a sua volta versato 50mila euro a Emilio Fede. Ma Berlusconi fa finta di niente e, intervenendo al convegno dei Cristiano riformisti rilascia dichiarazioni in difesa della famiglia tradizionale ("fondata sull'amore tra un uomo e una donna") e contro gli omosessuali. Poi torna all'attacco sulle intercettazioni: "Una vergogna per un paese civile, andremo avanti con la riforma" (leggi l'articolo)
Fonte :il fatto quotidiano


Un grande patrimonio assaltato dai vandali

di Salvatore Settis, da Repubblica, 24 febbraio 2011
Tagliente come un bisturi, la scrittura di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella affonda implacabile nel corpaccione malato dei Beni Culturali. Mitragliando decine di dati inoppugnabili, il loro ultimo libro (Vandali. L’assalto alle bellezze d’Italia. Rizzoli, pagg. 288, euro 18) passa dalla denuncia all’aneddoto, dal reportage all’analisi, dalle statistiche al confronto con gli altri Paesi, con risultati per l’Italia invariabilmente impietosi. Un esempio-simbolo della schizofrenia che viviamo è la Fescina, mausoleo romano in territorio di Quarto (Napoli), comune tanto fiero di tal cimelio da inalberarlo nel proprio gonfalone. Guai però se ci vien voglia di passare dall’araldica al monumento stesso: stentiamo a trovarlo fra «sterpi, erbacce, mucchi di vecchi materassi, poltrone sfondate, pannelli di eternit, lattine e pattume vario, una giungla di rovi». Chi facesse spallucce dicendo "cose che succedono al sud" è invitato a Leri (Vercelli), dove la tenuta Cavour è oggetto di depredazioni: «Dalla casa hanno portato via ogni cosa. Le porte, le tegole dei tetti, gli affreschi. Tutto. Hanno fatto a pezzi la scala interna per rubare i gradini di marmo. Tra i rovi che avvinghiano i muri, le tettoie pelate e le pareti a brandelli» resiste solo la targa che ricorda il conte di Cavour, la cui statua peraltro risulta decapitata. Insomma, Italia finalmente unita, da Napoli a Vercelli e oltre: unita nel degrado, nell’incuria, nel disprezzo della nostra storia, cioè di noi stessi.

Eppure Mario Resca, direttore generale alla Valorizzazione, spiega a ogni piè sospinto ("a ogni Pier sospinto", direbbe l’ex ministro dei Beni Culturali Vincenza Bono Parrino, di cui Rizzo e Stella evocano questa ed altre prodezze verbali) che la cultura rende. Peccato che lo dica con cifre sempre diverse: «Ogni euro investito in cultura genera un indotto 6 volte superiore» dichiara al Giornale dell’arte, «rende da 7 a 10» spiega al Giorno, «ne rende anche 10», proclama al Corriere, «rende da 6 a 12 volte l’investimento» si vanta sul Giornale, «rende 16 volte» discetta al Forum mondiale di Avignone. Cifre improvvisate e velleitarie, che tentano invano di nascondere il nulla di analisi e di progettualità. Nel giugno 2008 il neo-ministro Sandro Bondi dichiarò a Camera e Senato che «l´Italia è agli ultimi posti in Europa per la percentuale della spesa in cultura sul bilancio dello stato (0,28 per cento contro l’8,3 della Svezia e il 3 della Francia)», aggiungendo: «mi impegno ad invertire questa tendenza negativa». Meno di un mese dopo, Bondi incassò senza batter ciglio un taglio di 1 miliardo e 300 milioni, che quasi azzerava la capacità di spesa del suo ministero. Da un lato, la Valorizzazione (a parole) alla Resca, dall’altro lato i tagli (di fatto) alla Tremonti: messi insieme, questi due dati delineano una strategia davvero rivoluzionaria, la teoria economica made in Italy secondo cui si valorizza disinvestendo.

Ancor più drammatica è la situazione delle risorse umane: l’età media degli addetti ha sfondato il muro dei 55 anni, e nessun turn-over è in vista; anzi, il Ministero spinge i funzionari alla pensione anticipata. A Pompei è in servizio un solo archeologo; una deroga al blocco delle assunzioni era prevista nel decreto milleproroghe, ma è saltata senza alcuna reazione del ministro, troppo occupato a fare il poeta di corte. Invece di dotare Pompei di un organico decente, Bondi ha cambiato in un anno tre soprintendenti, peraltro esautorandoli, in nome dell’efficientismo manageriale, con commissariamenti affidati a prefetti in pensione o alla protezione civile. E che cosa han fatto i commissari? 102.963 euro spesi per censire i 55 cani randagi che infestano le rovine; due contratti a Wind (9 milioni) per le linee telefoniche e per un ridicolo video in cui le figure della Villa dei Misteri cantano in inglese (provare per credere: www.pompeiviva.it); 724.000 euro di contratto a un ateneo romano per studiare a Pompei lo "sviluppo di tecnologie sostenibili"; 6 milioni per distruggere il teatro romano sotto «cordoli di cemento armato e rozzi mattoni di tufo di un colore giallastro scuro».

Perché questo è il punto: si taglia sull’essenziale, si spende e spande sul superfluo. Le spese di Palazzo Chigi crescono nel 2011 di 30 milioni, 750 milioni vengono elargiti all’Alto Adige «proprio mentre i due deputati della Südtiroler Volkspartei decidevano di salvare Berlusconi con le loro determinanti astensioni alla Camera», si stanzia per il G8 alla Maddalena un miliardo di euro scippandolo ai Beni Culturali; per non dire della «piccola storia ignobile del portale italia.it», oltre 30 milioni di euro per allestire in sette anni un portale che risulta al 184.594° posto nella classifica mondiale. Questo rapporto perverso fra i tagli e gli sprechi è il frutto avvelenato della stessa economia di rapina che consegna il paesaggio in mano agli speculatori, in «un consumo del territorio abnorme, disordinato, sprecone, indifferente a tutti i rischi»; che in nome del federalismo demaniale prima regala ai Comuni edifici storici e aree protette, e poi li obbliga a svenderli per far quadrare il bilancio.

Hanno ragione i migliori commentatori stranieri, per esempio sul New York Times o su Le Monde: «Pompei che crolla è metafora dell’instabilità politica dell’Italia, della sua incapacità di gestire il proprio patrimonio culturale». Perché a questo siamo giunti: devono essere gli stranieri a ricordarci la nostra tradizione e la nostra storia, e per riportare alla coscienza nazionale l’art. 9 della Costituzione ci vuole Barenboim che ne dà lettura alla Scala, Harding che fa lo stesso alla Fenice. Giocano sporco i finti Soloni che si stracciano le vesti per i tagli "necessari", dato il nostro enorme debito pubblico. Fingono di non sapere che altri Paesi (per esempio Francia e Germania), per uscire dalla crisi, investono in cultura e in ricerca. Fingono di dimenticare che l´Italia ha il record mondiale di evasione fiscale (attorno ai 280 miliardi di euro annui di imponibile evaso), che «la corruzione è una tassa immorale e occulta pagata con i soldi dei cittadini, almeno 60 miliardi di euro l’anno».

Degrado morale e civile, paralisi della politica, disprezzo della cultura sono aspetti complementari di uno stesso declino. Il disastro del paesaggio e dei beni culturali ne è potente metafora e sintomo macroscopico. Si sta finalmente destando la coscienza dei cittadini? Questo libro potrebbe, dovrebbe esserne segno e stimolo.

(25 febbraio 2011)

Fonte : micromega

La cultura non sfama. Ovvero la disoccupazione giovanile secondo il Governo

di Guglielmo Forges Davanzati, da economiaepolitica.it

Vengono definiti Neet (Not in employment neither in education nor training). Sono giovani di età compresa fra i 15 e i 24 anni, in età lavorativa, inoccupati, non frequentano scuola o università. Nell’ultimo rapporto ISTAT si legge che la disoccupazione giovanile in Italia ha toccato a novembre il picco più alto dell’ultimo decennio, con un’incidenza superiore alla media europea. Si rileva un tasso di disoccupazione tra i giovani del 28,9% con un aumento di 0,9 punti percentuali rispetto a ottobre e del 2,4% nel confronto con l’anno precedente.

Non vi è dubbio che la crisi ha colpito, e sta colpendo, soprattutto le aree periferiche dello sviluppo capitalistico (Mezzogiorno in primo luogo) e, in queste, le fasce sociali più deboli [1]. In tal senso, la crisi viene sempre più assumendo un carattere generazionale, a fronte del quale le risposte del Governo appaiono decisamente discutibili.

Il problema viene imputato al mancato incontro fra domanda e offerta di lavoro, a sua volta ricondotto a un eccesso di aspettative da parte dei giovani rispetto a una domanda di lavoro, proveniente dalle imprese, orientata essenzialmente al lavoro manuale. Il Ministro Meloni ha efficacemente sintetizzato questa teoria con la considerazione che i giovani italiani soffrono di “inattitudine all’umiltà”, aggiungendo che il Piano per il lavoro che il Governo sta mettendo a punto – basato essenzialmente sul potenziamento del finanziamento dell’apprendistato – costituisce il definitivo “superamento del ‘68”.

La linea di politica del lavoro che il Ministro Sacconi si appresta a perseguire viene così chiarita: “Se si dicesse a ogni studente che intende iscriversi a giurisprudenza che per gli avvocati il tasso di disoccupazione è al 30%, e chi lavora guadagna 900 euro al mese, mentre per gli infermieri il tasso di disoccupazione è zero, e lo stipendio di 1600 euro, probabilmente inciderebbe sulle scelte”.

La campagna mediatica di delegittimazione dell’Università pubblica ha già posto un tassello importante nella direzione di ciò che si potrebbero definire politiche per la promozione del lavoro manuale [2]: ci è stato detto che molte lauree sono inutili, che le sedi universitarie sono troppe, che i docenti universitari sono baroni e fannulloni, esclusivamente impegnati nel trovare un posto di lavoro per i propri parenti.

La linea Meloni-Sacconi – ridurre la disoccupazione giovanile rendendo meno istruiti i giovani – poggia su una diagnosi sbagliata, per almeno tre considerazioni.

1) Come attestato nell’ultimo rapporto Almalaurea, la condizione occupazionale e retributiva dei laureati resta migliore di quella dei giovani in possesso di titolo di studio inferiore [3]. In particolare, si registra che, nell’arco dell’intera vita, i laureati presentano un tasso di occupazione di oltre 10 punti percentuali maggiore dei diplomati [4]. Dunque, in linea generale, si può affermare che – a maggior ragione in periodi di crisi – gli individui con più alta scolarizzazione sono meno esposti al rischio di licenziamento rispetto ai lavoratori con più bassa istruzione.

2) L’assunto che i NEET siano individui altamente scolarizzati è smentito dall’evidenza empirica disponibile. In particolare, l’ultimo rapporto ISTAT convalida, per contro, l’ipotesi opposta. In Italia, solo 60 individui su mille, nell’età compresa fra i 20 e i 29 anni, sono in possesso di laurea, a fronte dei 77 in e degli oltre 80 nel Regno Unito e in Danimarca [5]. Stando a questa evidenza, i NEET sono tali non perché ‘eccessivamente’ istruiti, ma perché la domanda di lavoro è bassa, indipendentemente dal fatto che si tratti di domanda di lavoro qualificato o meno.

3) La linea Meloni-Sacconi si basa sulla convinzione che la scolarizzazione abbia l’unica funzione di agevolare l’accesso al mercato del lavoro [6], e che occorra calibrarla sulla base della domanda di lavoro espressa dalle imprese. Merita di essere ricordato che la scolarizzazione diffusa produce effetti sociali ed economici benefici in un orizzonte di medio-lungo termine, anche indipendentemente dal fatto che, nel breve periodo, possano esserci eccessi di istruzione. Fra questi: ad elevati livelli di scolarizzazione è, di norma, associata un’elevata mobilità sociale, un’elevata produttività del lavoro, un’elevata dotazione di ‘capitale sociale’ [7] (dunque, maggiore propensione al rispetto delle norme, minore incidenza della criminalità, minore offerta di lavoro nell’economia sommersa [8].

In più, la linea del Governo asseconda un modello di sviluppo che non può che accentuare il problema. Di fatto, essa trova la sua ratio nella constatazione che l’economia italiana è sempre più un’economia periferica, nella quale le imprese, non riuscendo a competere innovando, esprimono una domanda di lavoro poco qualificata. In questo assetto, non è sorprendente il fatto che i salari reali medi sono fra i più bassi nell’ambito dei Paesi industrializzati. Stando all’ultimo rapporto OCSE, si rileva che i salari medi in Italia sono collocati al 23esimo posto su una classifica di 30 paesi.

Assecondare questo modello di sviluppo significa contribuire a rendere ancor più periferica l’economia italiana, accentuandone il profilo di un’economia la cui competitività si basa sulla compressione dei costi di produzione: salari e diritti dei lavoratori in primo luogo [9]. Ciò dà luogo a una spirale perversa, in larga misura già in atto. La compressione dei salari accentua i differenziali retributivi rispetto alla media dei Paesi industrializzati, incentivando le emigrazioni (in particolare, le emigrazioni intellettuali e degli individui – giovani – con maggiore potenziale produttivo) con conseguente trasferimento di produttività nelle aree centrali dello sviluppo capitalistico [10].

Ciò dà luogo a un maggior tasso di crescita in quelle aree rispetto ai Paesi periferici (Italia inclusa) e, dunque, a un aumento della domanda di lavoro (qualificato) in quelle aree, a fronte di una riduzione della domanda di lavoro (qualificato) nelle aree periferiche [11]. Ciò porta a un ulteriore aumento dei differenziali salariali e a un ulteriore impoverimento delle aree periferiche. Si osservi che questo meccanismo è generato spontaneamente dalle dinamiche del mercato [12], e che dovrebbe essere contrastato con politiche di segno esattamente contrario rispetto a quelle che il Governo persegue.
Ovvero: politiche di promozione del ‘salto tecnologico’ delle imprese italiane, mettendole in condizione di esprimere maggiore domanda di lavoro qualificato e di competere innovando. In tal senso, stabilire che “la cultura non si mangia” (almeno in Italia) significa sancire la progressiva marginalizzazione della nostra economia.

NOTE

[1] Ancora su fonte ISTAT, si rileva che il numero di donne disoccupate è aumentato dell’1,5% rispetto a ottobre e del 5% rispetto a novembre 2009. Il numero delle persone in cerca di occupazione risulta in diminuzione dello 0,4% rispetto a ottobre e in aumento del 5,3% rispetto a novembre 2009. Il tasso di inattività, pari al 37,8%, a novembre è rimasto invariato rispetto al mese precedente e in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a novembre 2009.
[2] Ovviamente, non si dà qui alcun giudizio di valore in merito al lavoro manuale. A nostra conoscenza, per trovare un fondamento teorico alla tesi secondo la quale la riduzione dell’istruzione traina la crescita occorre risalire al mercantilismo. Pollexfen (cit. in A. Loria, Analisi della proprietà capitalistica, Torino, 1889, p. 258 ss.) scriveva: “si voglia ben considerare in qual misura l’educazione dei figli dei poveri al sapere ed alla scienza abbia contribuito a farli deviare dalle occupazioni manuali; poiché pochi hanno imparato a scrivere e leggere senza che i loro genitori o essi non siano inclinati a credere di meritare qualche preferenza, e per questa ragione disprezzano tutte le occupazioni manuali”.
[3] Sul punto si rinvia al mio L’Università e il mito meritocratico, su questa rivista.
[4] V. Almalaurea.
[5] Si rileva anche che, in Italia, sono 12,1 ogni mille individui in età compresa fra i 20 e 1 29 anni coloro che hanno conseguito una laurea tecnico-scientifica, contro i 13,8 della media europa.
[6] Il che non è per le motivazioni rilevate a seguire, e come, peraltro, ampiamente riconosciuto nei documenti ufficiali della commissione europea, laddove si fa riferimento all’auspicata transizione a un’economia della conoscenza.
[7] Cfr. J.S. Coleman, Social capital in the creation of human capital, “The Americal Journal of Sociology”, 1988, vol.94, pp.95-120.
[8] Sul tema, sia consentito rinviare a G.Forges Davanzati, Sussidi di disoccupazione ed economia sommersa: un’analisi keynesiano-istituzionalista, “Studi e note di economia”, 2011.
[9] E’ noto che uno dei problemi più rilevanti dell’economia italiana riguarda la crescita modesta della produttività del lavoro. Un’elevata disoccupazione giovanile, unita alla precarietà dell’impiego, non aiuta a recuperare il divario di produttività rispetto ai Paesi centrali dello sviluppo capitalistico, semmai contribuisce ad ampliare i divari a nostro danno. Ciò per almeno due ragioni. In primo luogo, per ragioni che attengono a fattori motivazionali (entusiasmo, creatività, capacità fisica), i giovani sono mediamente più produttivi dei lavoratori più anziani. In secondo luogo, i giovani sono mediamente più istruiti dei loro genitori e, dunque, potrebbero contribuire in misura maggiore alla crescita economica, se occupati e se occupati coerentemente con le professionalità acquisite. Sul tema, si rinvia a Giuseppe Fontana, Perché conviene che l’Europa investa in istruzione e sanità, su questa rivista.
[10] Stando all’ultimo rapporto SVIMEZ, dal 1990 al 2009 sono emigrati circa 2 milioni e 390 mila individui da Mezzogiorno (9 su 10 al Centro-Nord). Di questi, circa il 30% è in possesso di laurea. I trasferimenti sulla direttrice opposta – da Nord a Sud – sono di entità del tutto trascurabile.
[11] Per una trattazione più ampia del tema, in un contesto di ‘causazione circolare cumulativa’, e anche con riferimento al caso italiano, si rinvia al pionieristico contributo di Gunnar Myrdal. E’ lo stesso Myrdal a rilevare che, nelle aree periferiche, nelle quali – a seguito del loro progressivo impoverimento – si rende sostanzialmente impossibile l’espansione del welfare state, la ‘legittimazione’ del sistema è affidata alla diffusione dell’ignoranza o viene relegata all’attività di repressione del conflitto sociale. Sul piano empirico, e come registrato nell’ultimo rapporto ISTAT, la criminalità è in crescita in Italia, con la massima incidenza nel Mezzogiorno (dove peraltro, in controtendenza rispetto al senso comune, la presenza di extra-comunitari è minima). Per un inquadramento generale del problema, si rinvia a. Myrdal, G. (1957). Economic Theory and Underdeveloped Regions. London: London: General Duckworth & Co..
[12] Data la condizione che vi siano “economie di agglomerazione” e conseguenti rendimenti crescenti nelle aree centrali. Sul tema, si rinvia a Krugman, P. (1991). Increasing returns and economic geography, “Journal of Political Economy”, vol. 99, n. 3, pp.483-499.

(26 febbraio 2011)

Latronico (Pdl) su approvazione “Milleproroghe”

26/02/2011 14:09
BAS“Con l’approvazione del ‘milleproroghe’ si compie un altro passo verso la compiuta realizzazione della Banca del Mezzogiorno che avrà come struttura di appoggio la rete degli sportelli postali e delle banche di credito cooperativo che potranno valorizzare la fitta rete territoriale dei due sistemi a servizio del piccole medie imprese del Sud”. Lo ha dichiarato il senatore del Pdl, Cosimo Latronico. “In particolare è stato approvato un ordine del giorno, da me sottoscritto, che impegna il Governo a vigilare per una piena tutela dei consumatori affinchè venga dato seguito dalle banche all'interpretazione che le stesse Commissioni riunite hanno fornito alla disposizione secondo cui ‘in ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge’. In questo modo i correntisti non sono tenuti a restituire agli istituti di credito importi che le medesime banche hanno già versato agli stessi correntisti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge; mentre la banca è tenuta a versare al correntista quanto dalla stessa dovuto per effetto di sentenza passata in giudicato prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, sebbene la stessa sentenza non sia stata ancora eseguita dalla banca medesima. Nel medesimo ordine del giorno ho anche impegnato il Governo ad assicurare la massima operatività della disposizione contenuta nel decreto legge, come modificato in sede di conversione, in materia di Bancoposta con particolare riguardo all'interesse delle imprese del Meridione a favore delle quali la Banca del Mezzogiorno opererà”.

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Appello del governatore Draghi: «Per imprese e famiglie servono riforme coraggiose». Timori su lavoro giovanile e caro-petrolio

ROMA
«In Italia la crescita stenta da 15 anni» e i tassi di sviluppo del nostro paese «sono attorno all’1%» mentre la domanda interna rimane «debole». Lo afferma il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, al Forex osservando come «a beneficio della crescita di tutta l’economia andrebbe un assetto normativo ispirato pragmaticamente all’efficienza del sistema».

"Impatto del caro-petrolio sulla crescita"Le tensioni in Libia con il rincaro del prezzo del petrolio possono avere «ripercussioni sulla crescita mondiale». In Italia «un aumento del 20% del prezzo del petrolio determina, ceteris paribus, una minor crescita del prodotto di mezzo punto percentuale nell'arco di tre anni». Il governatore della Banca d'Italia lancia l'allarme sui rischi per l'economia mondiale dalla crisi del Nordafrica. «Le dimensioni umane e l'esito ancora incerto della sollevazione popolare che scuote la Libia - ha detto il numero uno di Via Nazionale - preoccupano la comunità internazionale. L'impatto immediato di eventuali difficoltà di approvvigionamento di fonti energetiche dall'Africa settentrionale può essere contenuto dall'ampia capacità inutilizzata negli altri paesi produttori, ma le drammatiche vicende a cui stiamo assistendo possono indebolire gli investimenti nell'industria petrolifera in quell'area, far rincarare l'energia, con ripercussione sulla crescita mondiale».

"Salari dei giovani fermi sotto i livelli degli anni '80"I salari di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, in termini reali, «sono fermi da oltre un decennio sui livelli al di sotto di quelli degli anni Ottanta» e il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 30%. Secondo Draghi «la recessione ha reso più difficile la situazione. Si accentua la dipendenza, già elevata nel confronto internazionale, dalla ricchezza e dal reddito dei genitori, un fattore di forte iniquità sociale. Vi contribuisce fortemente la segmentazione del mercato del lavoro italiano, dove vige il minimo di mobilità a un estremo, il massimo di precarietà dall'altro. E' uno spreco di risorse che avvilisce i giovani e intacca gravemente l'efficienza del sistema produttivo».

"Maggiori entrate da lotta all'evasione devono servire per tagliare le tasse"«Le maggiori entrate che arriveranno dalla lotta all'evasione devono essere utilizzate per ridurre le tasse sui contribuenti» ha continuato il governatore della Banca d'Italia. «Maggiori entrate che si rendano disponibili grazie ai recuperi di evasione - ha affermato - dovranno essere usate per ridurre la pressione sui contribuenti che già pagano il dovuto».

"Per imprese e famiglie servono riforme coraggiose"Per migliorare le aspettative delle imprese e delle famiglie servono «azioni riformatrici più coraggiose» necessarie per dare «impulso alla crescita». Tuttavia, il numero uno di Via Nazionale ha sottolineato che «possiamo guardare con ragionevole fiducia alla possibilità di un'azione di riforma». «L'Italia - ha detto - dispone di grandi risorse, ha molte aziende, una grande capacità imprenditoriale, la sua gente è laboriosa e parsimoniosa. Si tratta di liberare lo spirito degli imprenditori e degli individui da molti vincoli».
fonte : La stampa

Vaccaro (Uil) su rapporto Corte dei Conti e costi politica

26/02/2011 11:29
BAS“Se ci fosse ancora qualcuno che avesse dei dubbi sui reali obiettivi della campagna “meno costi della politica=meno tasse” promossa dalla UIL farebbe bene a leggersi le relazioni diffuse ieri in occasione dell’apertura del nuovo anno di attività della sezione regionale della Corte dei Conti. Una bella sforbiciata ai costi della politica, accompagnata da una riorganizzazione di uffici e centri decisionali di spesa, sono l’antidoto più efficace contro i casi di sprechi pubblici”. A sostenerlo è il segretario generale regionale della UIL lucana Carmine Vaccaro per il quale “non possono che preoccupare il sindacato le vicende di sperpero o comunque di uso distorto delle risorse finanziarie pubbliche specie, come è stato denunciato dai magistrati della Corte dei Conti, se gli investimenti finalizzati all’occupazione non producono nemmeno un posto di lavoro. Come non può che allarmarci l’andamento della spesa complessiva della Regione per investimenti, pari appena al 26,4%, tra l’altro in calo rispetto alle annualità precedenti, con un rapporto insoddisfacente tra impegni e stanziamenti previsti”.
Nel sottolineare che secondo i dati dello studio della UIL nazionale, i costi della politica diretti e indiretti ammontano a 24,7 miliardi di euro (solo le auto blu e quelle grigie, secondo una stima molto prudente, costano 4,4 miliardi l'anno), pari al 2% del Pil e al 12,6% del gettito Irpef, Vaccaro sottolinea che “con una riforma delle istituzioni e tagli agli sprechi possono essere ridotti di 10,1 miliardi, cifra che equivarrebbe all'azzeramento delle addizionali regionali e comunali Irpef o a far ottenere a lavoratori dipendenti e pensionati una permanente detassazione della tredicesima con un vantaggio economico pari a circa 400 euro in busta paga.
'In Italia – aggiunge - spendiamo il 30% in piu' per il funzionamento della politica, con una dinamica di crescita doppia rispetto agli altri Paesi dell'area euro. La strada che abbiamo indicato non sara' facile, ci saranno ostacoli da parte del sistema politico che in Italia e' pesante ma siamo convinti che questa e' una cosa da fare, un obiettivo da raggiungere, non una battaglia''. Secondo il leader della Uil, ''una presa di coscienza andrebbe a beneficio del Paese, consentirebbe ai nostri uomini politici di avere un atteggiamento piu' morigerato, restituirebbe un po' piu' di credibilita' alla politica italiana, prevenendo i casi di sprechi denunciati ogni anno dalla Corte dei Conti in tutt’Italia''.
“Abbiamo scritto ai due Sindaci di Potenza e Matera – spiega il segretario generale della UIL – per chiedere di evitare aumenti della pressione fiscale per i cittadini e di privilegiare, invece, provvedimenti volti alla riduzione dei costi della politica, ad iniziare da quelli per il funzionamento di Giunte e Consigli. Ai Comuni basterebbe infatti diminuire del 20% le uscite per le spese istituzionali per recuperare notevoli risorse, evitando così possibili maggiorazioni dell’Irpef locale. Sono queste le scelte che avvicinano i cittadini alla politica e all’amministrazione del “bene comune”. Di questo la politica dovrebbe occuparsi quando pone il tema del contenimento della spesa pubblica. E’ un’operazione che “si può” e “si deve” fare perché ridurre i costi della politica non sia un semplice slogan.

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venerdì 25 febbraio 2011

Università cultura permanente, incontro a Tursi

25/02/2011 15:53
BASSabato 26 febbraio 2011,presso il santuario Maria SS. Regina di Anglona di Tursi, si terrà il primo incontro interuniversitario fra le sedi delle “Università della Cultura Permanente” istituite nel Materano,tra cui Miglionico.
Il Comune di Miglionico si avvale della consulenza scientifica del Centro Studi Anziani di Basilicata – istituto di ricerca sulla condizione adulta/anziana - per ideare programmi e sperimentare progetti innovativi volti a soddisfare i bisogni, i valori e l’identità sociale della propria popolazione in età adulta/anziana. In tal senso, da ottobre 2010 si è concretizzato il progetto formativo denominato Università della Cultura Permanente (UCP), finalizzato al benessere delle persone adulte/anziane attraverso proposte culturali specifiche. Per la sede di Miglionico sono 13 gli iscritti che settimanalmente si incontrano presso l’istituto comprensivo “D.Donato Gallucci”,trattando argomenti di cultura generale vari.
In questo primo anno, il tema proposto per la lectio magistralis che si terrà a Tursi, sarà “Cultura e Salute”, tenuta dal dott. Giuseppe Ditaranto - Responsabile Centro studi per la formazione permanente dell’Azienda Sanitaria di Matera.
Saranno presenti, oltre ai frequentanti,i docenti e collaboratori nonché dei sindaci, gli assessori e alcuni responsabili degli Uffici socio-culturali che accompagneranno le sedi universitarie dei Comuni da loro rappresentati.
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In Basilicata è record per le malattie tumorali
di MARISA INGROSSO
Fonte : la gazzetta del mezzogiorno
Se i dati sono esatti, l’incidenza dei tumori tra i lucani è superiore a quella che si registra nel resto d’Italia. Nemmeno nelle regioni del Nord, che pure sono zeppe di fabbriche, i maschi presentano un’incidenza simile. Tanto che - ipotizzando eventuali correlazioni con fattori ambientali - sono stati avviati supplementi d’indagine dal Dipartimento della Salute della Regione Basilicata e dall’Arpab. La curva che descrive meglio il fenomeno (relativa ai lucani, da zero a 84 anni) è contenuta nello studio «Current cancer profiles of the italian regions». E fa spavento. Dal 1970 in poi, la maledetta curva che assomma tutti i tumori maligni, cresce vertiginosamente; cresce come nessun’altra e, soprattutto, è previsto che continuerà a crescere nel prossimo futuro.

«Gli autori (Andrea Micheli, Silvia Francisci, Paolo Baili e Roberta De Angelis - n.d.r.) appartengono ad un gruppo dell’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con l’Istituto Tumori di Milano e con dati dei Registri regionali dei tumori, oltreché dell’Istat», spiega Silvia Bruzzone, responsabile dell’indagine Istituto nazionale di statistica «Mortalità per causa». Gli studiosi hanno operato su dati sanitari certi ed hanno fatto delle proiezioni che arrivano fino al 2010. Purtroppo, anche in questo caso, per i soli lucani, le previsioni sono fosche. «Tra gli anni Ottanta e Novanta - spiega la Bruzzone - i tumori sono stati una delle cause principali di morte, soprattutto al Nord. Generalmente, dopo c’è stato un decremento. La Basilicata, invece, è in controtendenza ».

CURVE COME FALCI - Capire «cosa» stia facendo ammalare i lucani non è semplice. Inutile fare raffronti con quanto accade nei territori vicini: in Puglia, in Campania e in Calabria, dagli anni Novanta in poi, l’incidenza delle neoplasie maligne tra gli uomini diminuisce. In queste regioni, quindi, la curva che descrive il fenomeno sembra una collina: cresce fino ad un massimo (rispettivamente, nel 1990, nel 1999 e nel 1994), eppoi cala, più o meno rap idamente. A livello nazionale, il picco più alto dell’incidenza delle neoplasie è stato raggiunto nel 1985. Da quel momento, gli italiani si sono ammalati sempre meno, ed è previsto che continui così (soprattutto al Nord).

La curva dei lucani, invece, sembra la lama di una falce infinita. Non presenta un picco massimo, non diminuisce mai. Enrico Grande (che ora è in forze all’Istat, ma proviene dall’Istituto Superiore di Sanità) offre due chiavi di lettura: o c’è stato un errore nell’elaborazione dei dati da parte dei suoi ex-colleghi, oppure «il rischio di contrarre tumori in Basilicata è in crescita, con un trend superiore rispetto alle altre regioni. È il trend meno favorevole d’Italia».

I TUMORI E LE USL 1 E 4 - Purtroppo, pare proprio che la curva sia in linea con quanto accade: il cancro sta davvero colpendo duro tra i lucani. Lo conferma Gabriella Cauzillo, dirigente dell’Ufficio regionale della Basilicata per le Politiche della prevenzione sanità pubblica, Medicina del lavoro, sicurezza nei luoghi di vita e lavoro, nonché responsabile del Centro operativo regionale dell’Osservatorio epidemiologico lucano: «L’incidenza dei tumori maligni in Basilicata è in aumento e lo confermo. Inoltre, la velocità di aumento dell’incidenza da noi è superiore». «Anche per questi motivi - spiega l’esperta - stiamo facendo degli approfondimenti che tengano conto pure degli eventuali fattori ambientali».

Infatti, su iniziativa dell’Agenzia regionale per la Protezione dell’ambiente (che s’è dotata di un settore di epidemiologia), prima dell’estate è stato firmato un protocollo con il Dipartimento alla Salute della Regione Basilicata ed ora si lavora anche a correlare patologie e dati ambientali. Proprio guardando con attenzione i dati contenuti nella «Relazione di attività» redatta dal Registro tumori di Basilicata, si scopre che - tra il 1997 ed il 2005 - sono stati soprattutto i maschi della Usl1 (Venosa) ad ammalarsi di leucemie e di neoplasie alla prostata, al polmone, al retto, al colon, allo stomaco. Mentre sono soprattutto le femmine della Ausl4 (Matera), ad ammalarsi di tumori all’utero, alla mammella e all’ovaio.

«Su questi dati possono influire vari fattori - dice la Cauzillo - ma noi abbiamo comunque avviato un supplemento di indagine in alcune aree individuate come critiche. Per esempio, nel territorio circostante l’impianto Itrec (a Trisaia) e nell’area Sud, ai confini con la Calabria per le rocce con amianto ». È fondamentale che si venga a capo di queste «anomalie» lucane. Ma, come sottolinea, la dirigente lucana, «l’epidemiologia è una scelta esatta e necessita di risorse professionali e dedicate». L’auspicio è che - responsabilmente - le istituzioni locali e, ancor di più, nazionali, non facciano mancare il loro supporto.
ingrosso@gazzettamezzogiorno.it

Concorso sedi farmaceutiche, interrogazione di Pici (Pdl)

25/02/2011 11:33Il consigliere chiede di conoscere “le sedi vacanti o di nuova istituzione, i motivi e le responsabilità del mancato espletamento del concorso, le iniziative intraprese per la riapertura dei termini del bando”
ACR
“Perché mancano le farmacie nei Comuni della Basilicata?” E’ la domanda posta dal consigliere regionale del Pdl, Mariano Pici all’assessore alla Sanità, Attilio Martorano. Il consigliere dell’opposizione, con una interrogazione a risposta scritta, ha chiesto di “fare chiarezza sul concorso per l’assegnazione delle sedi farmaceutiche nei Comuni della Basilicata, causa di gravi disagi per i cittadini e di notevole danno ai giovani farmacisti, ingiustamente privati della possibilità di lavorare”.

“Da circa sei anni - precisa Pici - con delibera della Giunta regionale è stato bandito il concorso per il conferimento di sedi farmaceutiche vacanti e di nuova istituzione per i Comuni della regione”. Pici, pertanto, chiede di conoscere “le sedi farmaceutiche vacanti o di nuova istituzione disponibili per il privato esercizio nei comuni della Regione; i motivi e le responsabilità del mancato espletamento del concorso; le iniziative intraprese per la riapertura dei termini del bando, visto il lungo lasso di tempo trascorso tra la scadenza dello stesso e il suo espletamento”. “Tutto ciò - conclude Pici - per permettere ai candidati di aggiornare i propri titoli professionali e consentire ai nuovi farmacisti di partecipare, poiché per quest’ultimi, i tempi di acquisizione dell’idoneità sarebbero dilatati ulteriormente”.
L'EDITORIALE

Con la libertà  

di EZIO MAURO 

Tutto l'Occidente si interroga sull'esito della rivoluzione che scuote la Libia, con gli insorti che guardano a Tripoli dalle città liberate, il regime che spara sulla folla e promette ora le riforme che non ha voluto concedere per 42 anni.

In Europa, l'Italia è con Malta il Paese più esposto davanti all'esplosione libica. Proprio per questo, se si comprendono le preoccupazioni del governo è giusto anche pretendere chiarezza nei comportamenti, e prima ancora nei giudizi politici.

L'Italia, con il suo Presidente del Consiglio e il suo ministro degli Esteri, è arrivata per ultima a condannare le violenze, e non ha ancora chiamato per nome il regime dittatoriale contro cui il popolo è sceso nelle piazze, sfidando le armi e i mercenari del Colonnello.

Da questa incapacità di giudicare (che nasce dall'imbarazzo per i ripetuti baciamano a Gheddafi di Berlusconi) discende una posizione a-occidentale: perché riduce la questione libica ad un'emergenza domestica per l'ondata immigratoria, mentre è invece una grande questione di libertà che investe l'Occidente.
Incredibilmente, il nostro governo continua a pensare che Gheddafi possa ancora negoziare un piano di riforme con il suo popolo, come se ne avesse la credibilità e la legittimità. Altrettanto incredibilmente, si pensa che il dittatore possa essere protagonista di un piano di riconciliazione nazionale, dopo che Obama ha parlato di una violenza di regime "che viola la dignità umana".

È umiliante che con le navi da guerra nel Mediterraneo il premier tenga governo e Parlamento in scacco per studiare cinque misure di salvacondotto dai suoi processi: prescrizione breve, conflitto di attribuzione, improcedibilità, processo breve, più riforma della Consulta. Qualcuno gli spieghi che quando i popoli possono riconquistare la loro libertà, l'Occidente ha un dovere preciso che viene prima di tutto: stare dalla loro parte. Questa e solo questa è la risposta alla minaccia di una deriva nell'integralismo islamico. Non la mediazione con i dittatori.  
Fonte : Repubblica

Riforme e costi Fondi per formare i dirigenti degli enti locali in due università

Dieci milioni per insegnare federalismo

I soldi agli atenei (uno del Nord e uno del Sud) saranno assegnati dal Ministero senza una gara pubblica

Riforme e costi Fondi per formare i dirigenti degli enti locali in due università
Dieci milioni per insegnare federalismo
I soldi agli atenei (uno del Nord e uno del Sud) saranno assegnati dal Ministero senza una gara pubblica
Mariastella Gelmini (Fotogramma)
Mariastella Gelmini (Fotogramma)
ROMA
- Ai disfattisti accaniti contro la riforma dell’università di Mariastella Gelmini dev’essere sfuggito. E come a loro, dev’essere sfuggito anche a chi si lamenta che il federalismo fiscale rischia di essere un guazzabuglio difficile da capire per gli stessi amministratori locali. Ebbene, mentre la Cgil denunciava che le università italiane si vedranno ridurre quest’anno i fondi statali di 839 milioni e i poveri ricercatori restavano quasi all’asciutto, proprio nella riforma Gelmini è spuntato un finanziamento nuovo di zecca: due milioni l’anno per cinque anni. Totale, dieci milioni. Da destinare a uno scopo decisamente particolare: spiegare ai dirigenti degli enti locali i segreti del nostro futuro federalista. Ci credereste?
Quei soldi, c’è scritto nell’articolo 28, servono al ministro per «concedere contributi per il finanziamento di iniziative di studio, ricerca e formazione sviluppate da università » in collaborazione «con le regioni e gli enti locali». Tutto ciò in vista «delle nuove responsabilità connesse all’applicazione del federalismo fiscale». Atenei, beninteso, non soltanto pubblici: potranno avere i quattrini pure quelli privati, nonché «fondazioni tra università ed enti locali anche appositamente costituite». E qui viene il bello. Perché dopo aver stabilito questo principio, la legge dice che non ci potranno essere più di due beneficiari, uno dei quali «avente sede nelle aree dell’obiettivo uno». Cioè nelle regioni meridionali ancora considerate sottosviluppate dall’Unione europea. Insomma, una norma fatta apposta per distribuire un po’ di soldi a una università del Nord e a uno del Sud. Le loro identità? La riforma Gelmini dice che a individuarle ci penserà il ministero. Quanto al modo che verrà seguito, è del tutto misterioso. L’articolo che istituisce il fondo prevede che «con decreto del ministero, da emanarsi entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge », cioè prima del 29 maggio prossimo, «sono stabiliti i criteri e le modalità di attuazione delle presenti disposizioni». Aggiungendo però che sempre con il medesimo decreto «sono altresì individuati i soggetti destinatari». Perciò, se abbiamo capito bene, il 29 maggio sapremo quali saranno i due soggetti pubblici o privati scelti da Mariastella Gelmini, e perché. Senza una gara, né un concorso pubblico. Fatto piuttosto singolare, visto che al Fondo per la formazione e l’aggiornamento della dirigenza» possono accedere anche istituzioni private. A meno che, circostanza assai probabile, non si sappia già a chi devono andare i soldi.
Perché poi le università prescelte devono essere proprio due, di cui una al Sud? Forse che per un amministratore di Agrigento è più facile raggiungere, poniamo, Bari, anziché Roma? E per un sindaco friulano è più agevole recarsi in una città del Nord, come magari Torino, invece che nella capitale? Dove peraltro lo Stato già possiede proprie strutture create appositamente (e appositamente finanziate) per formare gli amministratori? Non esiste forse una meravigliosa scuola superiore di pubblica amministrazione, che peraltro ha sedi anche a Caserta, Acireale, Reggio Calabria e Bologna? E non disponiamo perfino di una magnifica scuola superiore di economia e finanza, la ex Ezio Vanoni, in teoria la struttura più idonea per dare lezioni di federalismo fiscale? Perché chi deve istruire gli amministratori locali su quella riforma, se non chi l’ha fatta? La verità è che questa storia emana un odore molto simile a quello della vecchia vicenda della Scuola superiore della magistratura, che Roberto Castelli aveva dislocato, oltre che a Bergamo e Latina, pure a Catanzaro: sede che il successore del ministro leghista, Clemente Mastella aveva poi dirottato nella sua Benevento. Odore, dunque, decisamente politico. Anche bipartisan, come vedremo.
Imperscrutabile, infine, è il legame fra il ministero dell’Università e il federalismo fiscale. A meno che la riforma Gelmini non sia stata soltanto un pretesto. Lo ha sospettato, senza peli sulla lingua, Pierfelice Zazzera. Quando il 23 novembre del 2010 l’emendamento istitutivo di questo fondo per la formazione, recapitato all’improvviso in aula dalla commissione Cultura della Camera presieduta dall’azzurra Valentina Aprea, è stato messo ai voti, il deputato dipietrista ha fatto mettere a verbale: «In un momento in cui non si trova la copertura dei soldi previsti per i ricercatori, si trovano comunque due milioni per fare corsi sul federalismo fiscale. Mi sa tanto di lottizzazione politica dei finanziamenti o di qualche marchetta ». Sfogo inutile. L’articolo che fa spendere dieci milioni per questa curiosa iniziativa è passato con una maggioranza schiacciante grazie anche ai voti del Partito democratico, che pure ha bombardato la riforma Gelmini. È successo pochi giorni prima della clamorosa bocciatura rifilata invece all’emendamento presentato da Bruno Tabacci e Marco Calgaro che puntava a dirottare appena 20 milioni di euro dai lauti rimborsi elettorali destinati alle casse dei partiti alle buste paga dei ricercatori universitari. Anche in questo caso, con un aiutino dal centrosinistra.
Sergio Rizzo
25 febbraio 2011
Dal corriere della sera

Tumori: la Provincia di Matera avvia progetto monitoraggio

Secondo il presidente dell'ente, e' una scelta non rinviabile

24 febbraio, 14:50

giovedì 24 febbraio 2011

I veleni di Taranto

I veleni di Taranto
(11:20)
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Taranto è una città a rischio estinzione. Un luogo benedetto da Dio e stramaledetto dagli uomini. Si respirano diossina e benzopirene in quantità industriali e i tumori sono ormai la norma. Il solito ricatto "lavoro o salute", come se le due cose fossero inconciliabili e non si potesse lavorare senza inquinare l'ambiente e uccidere le persone. A Taranto oltre all'Ilva ci sono due inceneritori, uno, come sempre, della Marcegaglia. Per non farsi mancare nulla ieri sono stati sequestrate 27 tonnellate di rifiuti ferrosi radioattivi con tasso elevato di cobalto 60 destinati all'Ilva per produzione dell'acciaio.

Intervista a Federico Catucci organizer degli Amici di Beppe Grillo di Taranto.
Vi vorrei parlare della mia meravigliosa città, che è stata la capitale della Magna Grecia e che ha chiuso con un dissesto di circa 637 milioni di Euro nel 2008.
Se guardate Taranto attraverso Google Maps noterete che è un cratere nero, scomparso, c’è la polvere di carbone, la polvere di ferro che ci sommerge da cinque decadi, da quando hanno deciso che in questo luogo bellissimo con due mari, questo luogo incredibile doveva essere sede della più grande acciaieria d’Europa. In più c’è l’Eni che è un petrolchimico, Cementir... tutta una serie di aziende pesanti che si trovano a meno di 100 metri, tutto questo potete immaginare quanto sia benefico per la salute.
Taranto è un catere nero (espandi.jpg espandi | comprimi.jpg comprimi)
Taranto, visto che si trova in questa situazione per la sanità e l’ambiente, nel 1986 è stata dichiarata a elevato rischio ambientale. Nel 1998 è stato approvato un piano per il disinquinamento del territorio della Provincia e il risanamento dello stesso territorio, tuttavia è rimasto e rimane sulla carta, nonostante gli impegni, nonostante la nostra azione di protesta e di proposta, seguite da una serie di promesse da parte della parte industriale, della politica e dei sindacati,

Mezzo secolo di diossine (espandi.jpg espandi | comprimi.jpg comprimi)
Sono 50 anni che vengono emessi quantità di diossina, la Regione sotto l’insistenza da parte dei cittadini tarantini ha creato una legge farlocca promettendo di far abbassare i valori di inquinamento da diossina a livelli delle norme europee, ma in realtà, siccome la legge è stata realizzata per perdere tempo e hanno legiferato in materia ambientale, c’è stata da parte del governo l’eccezione di competenza e sono state svuotate completamente la legge e i suoi valori.

Il referendum scomparso (espandi.jpg espandi | comprimi.jpg comprimi)
Nonostante il desiderio da parte della politica di mantenere lo status quo perché è di interesse per scaldare le loro poltrone, i cittadini organizzati in vari comitati, hanno richiesto tantissimi interventi. Uno dei più importanti è il referendum per la chiusura della zona più inquinante di questo colosso acciaieria, Ilva, oppure della chiusura totale, perché siamo dell’opinione che se c’è un problema di questo livello non possiamo sperare in ambientalizzazioni.
Dal blog di B.Grillo

La democrazia si sta sciogliendo

«Il trasferimento del processo al Tribunale dei ministri implica l’autorizzazione a procedere, che sarebbe negata dalla maggioranza compiacente: quindi mira all'impunità».

23/02/2011
Adriano Sansa, magistrato
Adriano Sansa, magistrato
Impazziti. Così sembreremmo a chi arrivasse d’improvviso tra noi. E così sembriamo alle democrazie occidentali nostre amiche. Usciti dal fascismo, capaci di una formidabile ricostruzione morale e materiale, vincitori sul terrorismo, progrediti con istituzioni fondate su una bella Costituzione, abbiamo preso a demolire la nostra casa: la patria, nell’anniversario dei suoi 150 anni.

Un uomo contro tutti, il potere economico, mediatico, politico di uno contro lo Stato. Il Governo che sottomette il Parlamento e attacca la Magistratura e la Corte costituzionale. In aggiunta, un esempio riprovevole di condotta privata di un uomo pubblico posto ai vertici dello Stato. La complicità di molti cittadini lo lascia fare.

Questo significa il rifiuto del processo da parte di Berlusconi. Il tentativo di far passare l’intervento abusivo a favore di una ragazza minorenne a lui gradita per atto di Governo ha sfidato il senso comune, ma non senza un motivo. Il trasferimento del processo al Tribunale dei ministri implica l’autorizzazione a procedere, che sarebbe negata dalla maggioranza compiacente: quindi, mira all’impunità.

Schiere di deputati e avvocati fedelissimi percorrono le televisioni sostenendo l’impossibile, sostituendosi con disinvolta arroganza ai giudici. I quali vengono minacciati con annunci di leggi vessatorie. Ma la cittadinanza in buona parte tace, davanti all’uso delle istituzioni a fini personali, mentre la casa brucia per problemi urgentissimi di lavoro, ambiente, giovani, famiglie, sempre irrisolti. Lo stesso problema della giustizia troppo lenta è in disparte, la sola riforma che preme alla maggioranza è quella che scioglie dall’obbedienza alla legge il premier- sultano.

Stiamo per ottenere un singolarissimo risultato, un primato nella storia: una democrazia che si scioglie, si auto-affonda; una cittadinanza che rinuncia a istituzioni conquistate con fatica e drammatici passaggi perde l’orgoglio di sé e si consegna a un capo. Che la tratterà come ora tratta le donne.
Adriano Sansa
Da Famiglia Cristiana 

Cirenaica, la Libia "ribelle"

Da sempre influenzata dal Vicino Oriente, è stata la prima a liberarsi di Gheddafi. Ma permane il rischio dell'Islam fondamentalista.

24/02/2011

“Cirene, orto dolcissimo, t’incorono di canti”, cantava il poeta Pindaro. La Cirenaica, detta la Grecia d’Africa, è terra di grande archeologia, di templi, di antiche e solitarie chiese bizantine. Bengasi, la capitale è città di mercati, di architetture italiane e orientali. Ed è anche da sempre la regione più ostile a Gheddafi, culla del contropotere, storicamente ostile alla Tripolitania, il “regno” del Colonnello. Si tratta di un’area di 850 mila chilometri quadrati che occupa la fascia orientale della Libia e confina a Est con l’Egitto, a sud-est col Ciad e a sud con il Sudan, molto legata al mondo mediorientale e arabo. Ha un passato legato al dominio ottomano, prima di diventare la prima colonia italiana, nel 1911, dopo la guerra italo-turca.

Fu anche il principale teatro della Seconda Guerra Mondiale in Nord Africa. Le rivolte dei giorni scorsi hanno provocato centinaia di morti e quasi mille feriti, secondo le cifre più diffuse.
La città è ora retta da un comitato di salute pubblica composta da 15 persone, per lo più giovani e avvocati. Per il momento la sfera religiosa islamica non influisce più di tanto. Lo spettro dell’islam fondamentalista, assicurano i giovani, non c’entra nulla. Ma i timori permangono.Nonostante vi sia una foltissima comunità cristiana la maggioranza del Paese è islamica e questo desta molte preoccupazioni per la tenuta della convivenza interreligiosa. Nei giorni scorsi c'è stato l'annuncio in Cirenaica della ''nascita di un emirato islamico della Libia Orientale”.

Tutto questo ha destato le preoccupazioni degli osservatori occidentali, a cominciare dal ministro degli Esteri Frattini: “I fautori dell’emirato hanno annunciato la volonta' di combattere per volere divino e resa nota la volonta' di rapire occidentali. Queste frasi di islamismo radicale ci preoccupano perche' la loro provenienza si colloca a poche centinaia di chilometri dalla Ue”.
Francesco Anfossi
Da Famiglia Cristiana

Chi ha venduto le armi a Gheddafi

Italia, Francia, Gran Bretagna e soprattutto Russia. Le mitragliatrici che sparano contro i cittadini libici arrivano da qui.

21/02/2011
OCCASIONI PER TUTTI

Chi ha venduto alla Libia le armi con cui il Colonnello oggi fa ammazzare centinaia di civili? Dal 2003, cioè da quando il Rais ebbe l'illuminazione e trascinò la Libia tra le nazioni di nuovo gradite all'Occidente, c'è stata la corsa verso Tripoli degli armigeri di ogni parte del mondo, finalmente liberi di commerciare con il dittatore di una potenza petrolifera dopo tanti anni di blocchi ed embarghi. Lui, Gheddafi, non ha tradito le loro aspettative: oggi la Libia, con solo 6,5 milioni di abitanti, è il quarto importatore di armi dell'Africa Settentrionale, con una spesa annua di oltre 400 milioni di euro.


Un reparto dell'esercito del Rais.
Un reparto dell'esercito del Rais.
COOPERAZIONE E AMICIZIA 

 Tra i più svelti, com'è tradizione, ci siamo noi italiani.
Il primo colpo lo mettemmo a segno già nel 2006, vendendo all'esercito libico 10 elicotteri per un importo di 80 milioni di euro. L'articolo 20 del Trattato di cooperazione e amicizia firmato nel 2008 prevede "un forte e ampio partenariato industriale nel settore della Difesa e delle industrie militari". In quello stesso anno il fatturato delle fabbriche d'armi italiane con la Libia era già di 93,2 milioni di euro (56,7 l'anno prima), somma che faceva del Paese africano il nostro nono miglior cliente. Importante anche l'accordo siglato il 28 luglio 2009 tra Finmeccanica e Lybian Investment Authority (il fondo sovrano libico) per una joint venture destinata a operare in tutto il Medio Oriente nel settore della Difesa.

Noi svelti, sì, ma i russi grossi. Così, dopo essere passato da Roma, nel 2008 Gheddafi volò a Mosca per incontrare il presidente russo Medvedev. Tenda piantata entro le mura del Cremlino, la promessa di una base d'appoggio per le navi russe nel Mediterraneo e un po' di shopping militare: aerei, missili e carri armati per quasi 1,5 miliardi di euro. Devono essersi trovati bene perché non sono mancate le repliche: nel 2009, 730 milioni di euro spesi da Gheddafi soprattutto in caccia Sukhoi; nel 2010, 1,3 miliardi di euro per i soliti aerei e carri armati ma anche per sofisticati sistemi d'arma per la difesa antiaerea.





LA MISSIONE DI CARLA BRUNI   
    
Non male neppure la Gran Bretagna, che solo in queste ore ha bloccato le licenze per l'esportazione di armi in Libia e in Bahrein: 240 milioni di euro di armi al Rais nei soli primi 10 mesi del 2010. E la Francia? Ricordate nel 2007 il caso delle cinque infermiere bulgare arrestate e condannate a morte in Libia, la folgorante missione a Tripoli di Carla Bruni Sarkozy, la liberazione delle infermiere e gli applausi del mondo? Bene. Una settimana esatta dopo la liberazione delle poverette, Sarkozy firma con il Rais una fornitura di armi francesi per il valore di 300 milioni di euro. Tra Francia e Libia sono poi seguiti altri accordi (centrali nucleari e di nuovi ordigni di distruzione). Ma quello siglato con l'aiuto della Bruni passerà comunque alla storia. Se non altro, per eleganza.

     E per finire, gli Usa. Nel 2008 l'azienda americana General Dynamics ha firmato un contratto da 150 milioni di euro per fornire alla Libia i più moderni sistemi di comunicazione. L'attrezzatura era destinata in particolare alla Seconda Brigata d'élite, un corpo scelto agli ordini di Khamis Gheddafi, uno dei figli del Rais. La Seconda Brigata è stata impegnata nella repressione delle proteste nella città di Al Bayda, dove ci sono state decine di morti.

Fulvio Scaglione
Fonte : Famiglia Cristiana