di MARCELLO SORGI, dalla stampa
Caduto in un’altra giornata non facile per il governo, il nuovo alt del Pdl in Senato al proseguimento dell’iter parlamentare della riforma del mercato del lavoro ha un forte sapore preelettorale (la prossima sarà l’ultima settimana di campagna prima del 6 maggio) e un evidente effetto di logoramento di un quadro politico già stressato, se solo si considera il numero di vertici di maggioranza già dedicati all’argomento, sempre conclusi, va ricordato, con l’affermazione, subito smentita, che finalmente era stato raggiunto un accordo su un testo «definitivo».
Quando a frenare sull’articolo 18 erano Pd e Cgil, all’indomani della correzione dell’articolato il Financial Times con un’intervista a Emma Marcegaglia diede il segnale di un mutato atteggiamento rispetto a Monti, e il Wall Street Journal se ne uscì con due editoriali che accusavano il governo di aver ceduto troppo. Ora che è il turno del Pdl - che ha abbracciato buona parte delle ragioni di Confindustria, specie sulla flessibilità in entrata, considerata dagli imprenditori a rischio, nella formulazione attualmente in discussione, di trasformare i precari in disoccupati -, la cosa più probabile è che si perdano un paio di settimane preziose, rinviando in avanti l’approvazione del più tormentato, finora, provvedimento del governo tecnico.
Dietro la mossa del centrodestra, illustrata in termini piuttosto ruvidi dal capogruppo al Senato Gasparri - che ha voluto sottolineare la scarsa efficacia delle misure anticrisi varate finora dai tecnici, e ricordare il sensibile calo di consensi nei sondaggi a cui Monti sta andando incontro nelle ultime settimane -, ci sono anche un paio di ragioni più coperte. La prima è che gli stessi polls segnalano tra gli elettori del Pdl nientemeno che un settanta per cento di contrari all’appoggio al governo Monti: di qui, almeno alla vigilia del voto amministrativo, la necessità per il partito di prendere più esplicitamente le distanze dall’esecutivo.
La seconda è che sempre all’interno del Pdl continuano le divisioni sul tema delle riforme e si allarga il numero di quelli che preferirebbero lasciar tutto com’è, senza metter mano neppure alla nuova legge elettorale e all’annunciato recupero del proporzionale. Questo partito nel partito annovera in blocco gli ex An, di cui Gasparri è uno degli esponenti di spicco: abituati ormai ad essere strategici nella corsa elettorale maggioritaria, con il ritorno al vecchio sistema rischierebbero di diventare in buona parte aggiuntivi. Di qui, in vista di una più esplicita resistenza, la frenata di ieri.
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