lunedì 23 aprile 2012

"partito dei tecnici" spaventa il Pd


Il "partito dei tecnici" spaventa il Pd

di CARLO BERTINI, dalla stampa
Seduto su un divano in Transatlantico, il giorno dopo gli annunci di Casini e Pisanu, un dirigente Pd della minoranza, tra i più informati sui movimenti tellurici nei tre poli, butta lì una manciata di numeri ipotetici, che più di una suggestione assumono il sapore di un brutto presentimento: un Pdl attestato al 15% e svuotato delle sue compagini più moderate, idem per il Pd, ma sul lato sinistro del campo, dove la concorrenza delle forze di Vendola, Di Pietro e Grillo insieme potrebbero totalizzare il 20% dei seggi; e tutto il resto, un bacino di consensi potenziali del 35-40%, suddiviso tra il nascituro Partito della Nazione dei terzopolisti e un ipotetico listone civico nazionale; che per semplicità potrebbe esser definito «partito dei tecnici». «Ecco, se tra un anno il quadro politico si presentasse mutato fino a questo punto, magari in assenza di una legge elettorale riformata, cosa succederebbe?».

E anche se è evidente che trattasi solo di fantapolitica, queste domande segnalano se non altro quanto i movimenti centristi agitino anche i vertici Democratici, che pure non lo danno a vedere facendo finta di nulla. Perché se questo nuovo progetto di Casini si saldasse con il «partito dei tecnici» (magari benedetto dai berlusconiani di fede montiana) la lunga corsa verso la vittoria alle urne del Pd (oggi in vantaggio nei sondaggi dopo lo spappolamento del centrodestra) potrebbe infrangersi contro un muro. Non sono infatti casuali le battute di Bersani che da giorni mette in guardia dalla tentazione di dare uno sbocco alla crisi della politica con nuove soluzioni «eccezionali» come fu quella di Berlusconi nel ‘94, facendo perno su una gigantesca sfiducia delle fasce più popolari verso i partiti, alimentata per motivi diversi da tutti i media. Il fastidio dei bersaniani di ferro come il responsabile economico Stefano Fassina per le aperture ai centristi sono un’altra spia di queste ansie. Sull’Unità di ieri Fassina bacchettava il cattolico Fioroni che, pur garantendo di non voler spiccare il volo dal Pd, invitava a non sottovalutare l’operazione messa in piedi da Casini. Bollata però da Fassina come puro marketing elettorale, «un ripackaging di ceto politico, magari con qualche innesto tecnico, senza un programma credibile». Programma che invece il Pd si vanta di avere ben imbullonato nel solco dell’area progressista europea, sperando di blindarsi dietro una vittoria di Hollande, che verrebbe salutata come pioggia benefica dopo anni di siccità per la sinistra, battuta sonoramente anche in Spagna.

Anche i politici Dem più strutturati e riflessivi come l’ex segretario del Ppi Castagnetti, in questi giorni tracciano scenari da far tremare i polsi: «Io prevedo da qui a qualche mese un Monti bis con dentro i politici, per riuscire ad andare avanti tra mille difficoltà, perché si è usurata la formula di provvedimenti che non tengono conto dell’indispensabile mediazione sociale e che i partiti vedono solo dopo». L’esponente cattolico ricorda che «Bersani a novembre evitò di entrare nel governo per non pagare dazio, ma ora lo stiamo pagando lo stesso senza avere neanche la possibilità di intervenire per tempo sulla preparazione delle norme più delicate». E come molti altri nel suo partito, ritiene poco probabile un’interruzione anticipata della legislatura. E non è un mistero, come ammette uno dei tre massimi dirigenti del Pd, che «al nostro interno vi siano personalità interessate a fare da sponda al cantiere di Casini. Ma sul piano del consenso elettorale questa operazione ci toglie terreno al centro e ci obbliga a recuperare a sinistra, anche se è stata fatta troppo presto con l’effetto di spaventare tutti e di frenare la mediazione in corso sulla legge elettorale».

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