martedì 3 maggio 2011


Una giungla politica
Il sociologo Carlo Donolo, autore di Italia sperduta, racconta lo scenario di un Paese disorientato in preda a una crisi. Che è cognitiva prima di tutto
di Donatella Coccoli, da " Left"

Un’Italia improvvisata che arranca impaurita di fronte a problemi più grandi di lei. Un’Italia preda del populismo e della volgarità del linguaggio politico che non produce un pensiero tale da comprendere e interpretare il reale per promuovere un progetto per il futuro. In questo scenario raccontato in modo estremamente efficace nel saggio Italia sperduta (Donzelli) da Carlo Donolo, sociologo e docente all’università La Sapienza di Roma, il Paese si avvia al voto amministrativo.

Professor Donolo, nel suo libro parla di un’informe richiesta di cultura delle riforme e di risposte adeguate sia ai problemi accumulati nel tempo sia alle sfide del presente. Lei però dice che questa domanda non si esprime nemmeno nel voto elettorale, semmai nell’astensione. È questa la tendenza?
Penso che quest’area aumenti anche per il disorientamento, visto che in mancanza di serie alternative non si sa cosa scegliere. Accade anche per quelli che hanno votato il Pd, quelli che hanno partecipato alle primarie e che hanno dato la dimostrazione di tenere a questa entità virtuale vagamente riformista e in difesa della Costituzione. Ecco, allora era molto un affidamento, uno “speriamo che”. Va detto però che non c’è stata una grande reattività da parte del partito verso questo popolo che vorrebbe una società più civile, più affidabile, ma che non viene mai presa sul serio. Anche tra costoro c’è molta disillusione.

Il fatto che un candidato alle elezioni comunali di Milano sia l’autore del manifesto “Via le Br dai tribunali”, cosa significa?
Il candidato disperato diventa eversivo, ricorre a qualunque mezzo per conquistarsi una frazione di voti. Credo quindi che sia la campagna elettorale che la stessa elezione sono fortemente inquinate da una irrazionalità di fondo. Anche sociologicamente parlando, sarebbe difficile ricostruire come siamo arrivati a tanto. Lo si avverte nella disperazione delle parole del presidente Napolitano quando dice che siamo arrivati al limite. Il limite è già stato superato. Quando si arriva a un manifesto così, siamo in una zona di giungla politica, in cui può veramente capitare di tutto. Siamo di fronte a un imbarbarimento graduale però molto accelerato. Ma in questo discorso del linguaggio, dello stile, non è che il centrosinistra abbia saputo reagire con forza. Sì, ci sono persone che stimo molto che hanno sempre mantenuto uno stile alto ma la media è molto bassa. Anche dire che questo costume del linguaggio triviale tra politici è una cosa generalizzata, non mi sta bene. Perché ragionando così, con quel linguaggio, succede che poi il pensiero non c’è più. Con le parolacce non ci puoi fare un ragionamento, al massimo puoi fare un insulto. è quello che si è visto in Parlamento.

Venendo al problema delle scelte, perché i moderati non convincono?
Questa è una delle stravaganze della situazione. Uno penserebbe che il polo moderato dovrebbe tirare molto adesso, in un momento in cui sono cadute le polarizzazioni, il Pd è in difficoltà e il grosso della società per stato sociale, reddito e anche per abitudine, tende a essere, come si diceva una volta, un ventre molle di moderatismo. Invece paradossalmente, sommando i frammenti politici in cui questo moderatismo si divide, non si arriva mai a grandi cifre. Insomma, il moderatismo non si fa forza politica in grado di condizionare poi le altre forze politiche. Forse perché è troppo moderato, perché non ha un programma e poi perché presuppone una platea di cittadini molto opachi, indifferenziati, poco chiari nelle loro richieste. Si raccoglie un po’ di disagio, sì, ma non si va mai oltre questo livello.

Quindi per il terzo polo e Montezemolo non vede un terreno fertile.
Hanno le loro difficoltà, perché in effetti è un campo già molto seminato, già molto sfruttato e per certi versi organizzato; ciascuno coltiva i suoi. Il radicamento territoriale di queste entità è stabile nel tempo e mostra sempre gli stessi numeri, poi si possono aggregare fra di loro variamente ma ci sono anche ostilità. Tra Udc e Idv è chiaro che c’è una lontananza. Se non si dà una smossa, il moderatismo in pratica resta un fantasma, pur essendo in ipotesi qualcosa che risponde ai bisogni di una parte della nostra società. Però è un moderatismo poco colto, poco programmato, poco valoriale. Moscio, direi. Troppo pavido perfino per i nostri moderati.

Lei ha accennato al Pd che perde i pezzi; la guida di Bersani non riesce a rendere concreta quell’entità virtuale?
Forse quel pragmatismo che è la cultura di Bersani - molto apprezzabile quando ricopre un ruolo ministeriale - poi, dovendo ricostruire da macerie un partito, risulta insufficiente e non è un fattore aggregante. Sì, con il buonsenso si fanno molti passi in avanti, soprattutto in una situazione di generale irrazionalismo, però poi a sua volta mostra la corda. C’è poca analisi della società, c’è poca prospettiva, non si va mai veramente al fondo delle cose. E ci sono  molti paradigmi obsoleti, per esempio quello della crescita che viene sempre messo sul piatto come risposta a tutti i problemi. Quindi c’è una visione delle cose forse ancora un po’ paleo, paleoindustriale direi perfino, che non corrisponde al reale stato della società. E poi ci sono i fattori interni di dissenso, delle varie componenti, delle varie sensibilità. E quelle, con il solo pragmatismo non le conquisti.

Un’altra domanda, sulla crisi italiana che lei dice essere crisi cognitiva. Cosa significa?
Qui torniamo al centro della questione. Il mio testo è legato più all’analisi dei processi sociali che alla questione politica. Infatti anche di Berlusconi ne parlo abbastanza poco, perché è della società che dobbiamo parlare. Ma questo non si lo si fa molto. E invece ci sono tanti problemi da analizzare: la questione settentrionale, i nuovi temi  della questione meridionale, il nodo delle diseguaglianze sociali e mille altri problemi di questo genere. Ora, su alcuni di questi temi qualcosa sappiamo, manca però la capacità di mettere insieme i cocci per fare un programma politico, per avere una visione del futuro. Questa non la prospetta nessuno. Potremmo dire che la crisi cognitiva della società italiana dipende dal fatto che c’è stata una modernizzazione molto veloce, molto accelerata, molto superficiale, non accompagnata adeguatamente da uno sviluppo di processi formativi consistenti, di tipo repubblicano. L’Italia, quando si è buttata nella globalizzazione si è spaventata: da qui il leghismo, il populismo. è in pratica un rifiuto del futuro, perché non si conosce il presente. Allora c’è da fare molto non solo dal punto di vista analitico ma anche dal punto di vista politico. Perché se non hai un’idea del futuro possibile da prospettare, perché la gente dovrebbe rinunciare alle piccole certezze, alle piccole rendite con cui tira a campare?

Cosa c’è da fare allora?
Un grande lavoro culturale, come si diceva una volta, per  eliminare dal campo pseudoproblemi, quelle maschere che pure utilizziamo continuamente, le maschere delle figure sociali, dei discorsi ideologici e delle varie retoriche che imperano anche sui giornali. Ma oltre questo lavoro di spiazzamento, ci vuole un lavoro più positivo e propositivo. Ci vuole un programma di azione basato però sull’analisi dei temi e dei termini reali dei problemi della nostra società. Tutto ciò che in parte conosciamo ma che andrebbe più detto, anche con insistenza. Per esempio, nessuno parla dell’esistenza di una enorme questione fiscale: c’è una diseguaglianza pazzesca ma non è in agenda per nessuno, così come la questione del Sud o quella delle aree metropolitane. Se uno pensa a Napoli, c’è da far drizzare i capelli, visto che là tutto è stato trattato con piccole primarie che poi risultano fasulle! Quella è una sconfitta colossale del pensiero oltre che dell’azione politica. Di cose da fare ce ne sono tante però è come se mancasse quel collante che mette insieme i frammenti di discorsi e ne fa uno sguardo politico generale che può convincere una vasta area di elettori.

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