Amado, i tre modi per essere felici
Natura, sesso e cucina brasiliana: così i suoi bestseller
non passano mai di moda
Una curiosa coincidenza tra le date di nascita (10 agosto) e di morte (6 agosto) fa sì che oggi si possa celebrare insieme il centenario della nascita e l’undicesimo anniversario della morte di Jorge Amado. Amado viene definito il cantore di Bahia (Salvador de Bahia, Brasile), anche se non vi era nato (era di Itabuna), ma certo scelse di abitarvi quando le vicende personali glielo permisero. In verità, la vita di Amado non fu proprio quella di un sedentario. Suo padre, proprietario di un’azienda di coltivazione del cacao, fu ridotto da un’annata infelice a semplice bracciante, e perciò quasi alla miseria. Amado ebbe modo di conoscere le penose condizioni dei lavoratori, e ad esse dedicò i suoi primi scritti, come Cacao. Compì studi regolari, giungendo sino alla facoltà di Giurisprudenza: era studente nel 1931, quando pubblicò il suo primo romanzo, Il paese del Carnevale, che criticava l’uso turistico e socialmente ipnotico di quella festa, la cui celebrazione, tanto a Rio quanto a Bahia, ha fama mondiale.
La politica ebbe una parte notevole nella vicenda di Amado, che nel 1941 divenne comunista militante, e nel 1945 fu eletto membro dell’Assemblea Costituente brasiliana. Nel 1947, però, il Partito Comunista fu dichiarato illegale: di qui i lunghi anni di esilio, prima in Francia, poi in Cecoslovacchia. Anche la seconda moglie, Zélia Gattai, figlia di immigrati italiani, oltre a condividere la vocazione letteraria (era infatti scrittrice notevole, anche di libri per l’infanzia), era a sua volta impegnata politicamente: sulle orme del padre, si era votata alla promozione di un socialismo dalle sfumature anarchiche. Quando ritornarono definitivamente in patria, la politica era però ormai solo un ricordo: Amado uscì dal Partito nel 1956, in seguito a quei fatti d’Ungheria che furono un trauma per molti comunisti.
Altro elemento che contribuisce a suggerire un’immagine molto sfaccettata dello scrittore è la sua attrazione per il candomblé, la religione afrobrasiliana, mista di tratti totemico naturalistici e di elementi cristiani. In complesso, si nota in Amado la coesistenza di elementi provinciali (la creazione, in gioventù, di rivistine letterarie senza futuro; l’attaccamento, anche post mortem, a Bahia, del resto splendida; la preferenza per Bahia anche come teatro di molti suoi libri, che sono quasi repertori delle vie e dei quartieri della città) e cosmopoliti (l’esilio, le amicizie con scrittori e pensatori di tutto il mondo).
Come scrittore, uno dei più conosciuti e tradotti del Novecento, Amado ha messo in atto una trasformazione improvvisa e singolare, quasi una conversione. Nasce infatti come scrittore realista: entro uno spirito di denuncia delle ingiustizie della società in genere, e di quella brasiliana in particolare. Il primo suo libro di successo mondiale, Jubiabá, del 1935, ha come protagonista un giovane di colore (Bahia, lo ricordo, ha più neri che bianchi) accolto da una ricca famiglia di bianchi che però, vedendolo innamorato della loro figlia, lo accusa ingiustamente di averla insidiata, e lo caccia. Vive come un mendicante, sinché ritrova la sua Lindinalba diventata prostituta, e riceverà in dono, da lei morente, il bambino appena partorito. Schema strappalacrime per un libro comunque bellissimo.
La sua seconda maniera si caratterizza invece per l’apertura al surreale e al fantastico, pur senza cancellare l’interesse sociale. Tra i romanzi più notevoli di questa serie, stanno Gabriella, garofano e cannella, del 1958, e Dona Flor e i suoi due mariti, del 1966 (noto l’abbondanza di titoli che mettono al centro donne, molto spesso mulatte: aggiungo Teresa Batista, stanca di guerra, 1972, e Vita e miracoli di Tieta de Agreste, 1977). Gabriella, garofano e cannella sarebbe soltanto un grande romanzo d’amore, anche se giocato con uno stile visionario e magico, se non fosse che Nacib è un immigrato siriano, e Gabriella unamulatta: ci troviamo insomma in piena problematica razziale. E per di più, sullo sfondo s’impone lo scontro fra i vecchi latifondisti e una nuova classe più aperta e liberale. L’intrecciarsi dei problemi è dominato magnificamente, e umanamente, da Amado.
Dona Flor ha anche uno schema originale (poi imitato infinite volte): la protagonista avvia le sue narrazioni partendo dalla descrizione di una ricetta culinaria. E le sue narrazioni sono singolari: vedova di un marito carissimo, viene corteggiata e infine sposata da un farmacista, che però è eroticamente molto meno entusiasmante. Dona Flor, in verità, continua a ricevere profferte dal primo marito, che le appare in visioni notturne, e si mostra molto disponibile a soddisfarla. Curioso progetto di adulterio, che solletica una sensualità pur non sempre esplicitata dai protagonisti. Cucina, sesso: due elementi che collaborano a qualche progetto di felicità, e che il mondo circonda di sospetti e restrizioni. Con il suo stile visionario e, insomma, con una splendida fantasia, Amado tenta forse di liberarci.
di Cesare Segre, dal Corriere
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