NON SONO SOLO AMMINISTRATIVE
A volte i risultati delle elezioni amministrative anticipano quelli delle successive elezioni politiche e a volte no. Nel 1975 il successo del Partito comunista alle Amministrative anticipò la sua forte affermazione nelle elezioni politiche del 1976. Ma un analogo successo dell'erede del Pci, il Pds di Achille Occhetto, nelle Amministrative del 1993 non anticipò affatto il risultato delle Politiche del 1994 (il Pds venne allora sconfitto da Silvio Berlusconi). Quali che saranno gli esiti delle Amministrative parziali di oggi, nonché gli «insegnamenti» e i «presagi» che gli esperti in divinazione elettorale ne trarranno, difficilmente quegli esiti potranno darci i nomi dei vincitori e dei vinti delle elezioni politiche generali dell'anno prossimo, del 2013. Soprattutto se, come appare probabile, sarà andata in porto, nel frattempo, la riforma del sistema elettorale.
Molte incognite pesano sul voto. C'è la questione della tenuta del Pdl. Una sua forte sconfitta potrebbe imprimere una accelerazione al processo di disintegrazione, già in atto da tempo, di quella formazione politica. Nessuno però potrebbe sapere come, in tal caso, andrebbe a riorganizzarsi quell'area politica e con quali chance di successo in vista delle elezioni del 2013. Né è dato di sapere cosa accadrà alla Lega. Da un lato, in quanto «grandi oppositori» del governo Monti, i leghisti dovrebbero intercettare una parte almeno della protesta che le politiche del governo alimentano. Dall'altro lato, però, la Lega si trova a fronteggiare uno scandalo di tale forza da averne terremotato i vertici investendo il suo stesso fondatore e capo carismatico. E anche il Pd ha i suoi problemi (dalle inchieste giudiziarie alla agguerrita concorrenza che subisce da parte di candidati locali che si collocano alla sua sinistra).
Insomma, comunque vada, anche dopo che si saranno tenuti i ballottaggi, difficilmente l'incertezza e la confusione oggi regnanti si dilegueranno.
La complessità della situazione è data dal fatto che il voto sarà influenzato da tre fattori il cui rispettivo peso resterà difficile da valutare. Peseranno, prima di tutto, come è ovvio (anche se i commenti del giorno dopo, tradizionalmente, tendono a dimenticarlo) le specificità locali. Molti elettori voteranno semplicemente con lo sguardo volto all'amministrazione della loro città. Troppo spesso, si attribuiscono valenze politiche generali a un voto che, come è naturale e giusto che sia, è condizionato da ragioni locali.
Però, è anche vero che, soprattutto in tempi di crisi, una parte almeno degli elettori, anche in un voto amministrativo, risponde a stimoli e pressioni di ordine generale. La complicazione è data dal fatto che sono congiuntamente in atto due crisi, fra loro distinte, anche se collegate, entrambe suscettibili di influenzare il voto.
C'è, in primo luogo, la crisi del sistema politico, determinata dalla fine (o dalla forte attenuazione) della ventennale contrapposizione fra berlusconiani e antiberlusconiani. È la crisi del bipolarismo all'italiana: ci si aspetta che essa inneschi a breve termine una ristrutturazione/ricomposizione delle forze politiche fin qui dominanti. Il voto amministrativo cade, cioè, nel mezzo di una confusa transizione di cui sono espressioni sia la presenza del governo detto tecnico (che si trova a svolgere, di fatto, il ruolo del traghettatore verso equilibri politici diversi da quelli del recente passato) sia la drammatica perdita di credibilità dei partiti esistenti.
La seconda crisi è, naturalmente, quella economica: qui più che le specificità italiane giocano le dinamiche mondiali. E gioca ciò che l'Unione europea fa o non fa per contrastare la crisi (o si ritiene che debba fare o non fare). In Italia, come in molti altri Paesi, è cresciuto un sentimento di ostilità verso l'Europa, e verso la Germania, che dell'Europa è il dominus , che difficilmente mancherà di lasciare la sua impronta persino sulle nostre elezioni amministrative (parziali). Così come su qualunque altra elezione, nazionale o locale, che si tenga in qualunque altro Paese europeo. È, fra quelle in atto, la tendenza più pericolosa. L'Unione europea si è sempre retta sul consenso (passivo, quanto meno) dei più: se il consenso si riduce sensibilmente, come sta avvenendo oggi in molti Paesi europei, se il dissenso manifesto si gonfia oltre una certa soglia, l'Unione avrà a disposizione sempre meno risorse politiche per fronteggiare la crisi e trovare soluzioni. Non solo, come è più ovvio, la sfida per le Presidenziali in Francia fra Hollande e Sarkozy, ma persino una elezione di secondaria importanza come le nostre Amministrative odierne diventano altrettanti test sul futuro dell'Europa.
Si è molto parlato di antipolitica, soprattutto con un occhio ai sondaggi che danno il movimento di Beppe Grillo in crescita, ma si è collegato il fenomeno solo alla crisi del sistema politico italiano, e al discredito dei nostri partiti. Ma questa è solo una faccia del problema. L'altra faccia è rappresentata dal fatto che gli umori antieuropei circolanti nel Paese (come in altri Paesi) sono alla ricerca di sbocchi politici, di rappresentanza. E, inevitabilmente, finiranno per trovarla.
L'interdipendenza, anche politica, in Europa è ormai tale che persino elezioni comunali non sono senza effetti sugli equilibri europei. In fondo, vale per l'Europa ciò che vale per i partiti italiani. L'una e gli altri o riescono a trovare soluzioni credibili, serie, per i problemi che ci attanagliano o riceveranno schiaffi sempre più forti da elettori disorientati e alla ricerca di alternative più o meno illusorie.
di Angelo Panebianco, dal corriere
6 maggio 2012 | 8:34
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